Il Leviatano - anno I - n. 1 - 4 novembre 1979

Dove va il Nicaragua? A POCO PIÙ DI DUE MESI DALLA VITTORIA popolare del Fronte Sandinista contro la dillatura di Somoza, la situazione politica nel Nicaragua sembra ancora fluida. li Fronte, com 'è noto, raggruppa tendenze diverse, che spaziano da un castrismo di rigida osservanza a un socia/democratismo di tipo occidentale. Queste diverse tendenze si esprimono nella composizione della Giunta sandinista e nella divisione degli incarichi di governo: a un Alfonso Robe/o, che dichiara all'inviato di «Le Monde» (11 ollobre) di essere «per il socialismo ma non per il totalitarismo» e che preannuncia il suo ritiro dal governo nel caso in cui vifosse «uno scivolamento sul problema dei dirilli dell'uomo e della libertà», si contrappone un Alvaro Ramirez Gonza/ez, per il quale la libertà di stampa deve rispellare i «principf della rivoluzione»; e aggiunge che fissare i limiti di questa libertà spella al «popolo, ossia al Fronte sandinista che lo rappresenta» (Intervista a Mario Cervi sul «Giornale nuovo» del 21 ottobre). Ma soprattutto due orientamenti del nuovo governo nicaraguegno appaiono particorlamente preoccupati; i passi di politica estera fin qui compiuti e il fallo che la vittoria contro Somoza non sembra sarà coronata, a breve scadenza, da una consultazione ele//orale nel rispetto delle dovute forme democratiche. In politica estera, la Giunta si è allineata senza esitazioni sul blocco sovietico: il Nicaragua ha appoggiato Castro alla recente conferenza dei paesi non allineati, ha scambiato ambasciatori con l'Unione Sovieticama non con la Cina (anzi vengono mantenuti i rapporti con Taiwan), ha ricevuto recentemente il primo ministro vietnamita Pham Van Dong del quale appoggia senza riserve la politica in Indocina, appoggia prudentemente il governo di Khomeini nell'Iran («Non considero il khomeinismo una tendenza regressiva, ma un modo peculiare di espressione della volontà popolare in Iran», ha dichiarato Ramirez Gonzalez, dice - ministro degli esteri, comunista, nell'intervista già citata). Ancora più grave è, a nostro parere, la decisione sandinista di non far svolgere elezioni almeno per tre anni. Sergio Ramirez, membro della Giunta, ha anzi dichiarato che «i nicaraguegni che vogliono elezioni ravvicinate auspicano, in realtà, che il Fronte Sandinista di liberazione nazionale abbandoni la scena politica». L'obiettivo principale di altri movimenti di liberazione contro la dillatura è stato, nel passato, proprio quello delle elezioni, di un 'Assemblea costituente o di un 'assemblea legislativa. Si ricordi, recentemente, il caso del Portogallo o, in altre. epoche, la stessa Resistenza in Italia. Invece quei movimenti che non sono sfociati in elezioni democratiche, come la rivoluzione russa, o il castrismo o, più recentemente, l'Iran di Khomeini, hanno fallo la fine che hanno fatto. D'altra parte è difficilmente credibile che eventuali elezioni in Nicaragua costringerebbero il Fronte sandinista ad abbandonare la scena politica. Piuttosto esse consentirebbero di apprezzare i rapporti di forza all'interno del fronte stesso; e in particolare consentirebbero di sapere se gli abitanti del Nicaragua, dopo quarant'anni di dillatura somozista, intendono sollo24 porsi a un 'altra dillatura, comunista questa volta, o se invece preferiscono un regime democratico di tipo occidentale. Ma è proprio questa resa dei conti che, apparentemente, una maggioranza dei sandinisti, non vuole a breve scadenza. A noi sembra, invece, che solo elezioni democratiche darebbero al governo nicaraguegno quella /egillimità che, da sola, la lolla contro la dittatura non può dare: visto che non sarebbe la prima volta che un dittatore è abbattuto da un altro dittatore, un totalitarismo sostituito da un altro totalitarismo. I VITA DI CHIERICI I (segue da pag. 4) lo spe//acolo di Dario Fo La storia del soldato, che doveva segnare la riconciliazione della Scala con il «movimento» e che è stato disertato sia dal pubblico colto, per ovvie ragioni, sia da quello incolto, che ha annusato, non a torto, aria di strumentalizzazione? Per non dire che quest'ultimo spettacolo, da solo, ha aperto un buco di ottocento milioni. Ma quel che è peggio, dell'alluale gestione della musica in Italia, è che essa ha fatto venire a molte persone oneste la nostalgia dei democristiani. Non foss 'altro costavano meno. Il «partito francese» IL 30" ANNIVERSARIO DELLA FONDAZIONE della Repubblica Democratic_aTedescaè stata solennemente celebrato non solo a Berlino Est, dove Breznev ha pronunciato un importante discorso sulla pace, ma anche aMilano e Roma. Nella capitaledel culto brechtiano ha provveduto alla bisogna il Berliner Ensemble, che per un 'intera sellimana ha sciorinato davanti ai milanesi tutto il suo repertorio a base di «straniamenti» ed altre novità. A Roma invece il compito è caduto sulle solide spalle della Staatskapelle di Dresda, una delle più prestigiose orchestre del mondo, che in un programma classicissimo (Wagner, Schumann, Beethoven) ha mostrato di fare onore alle sue tradizioni. I buoni musicisti tedeschi non sòno nuovi ad omaggi del genere: al Maggio musicale fiorentino d'anteguerra erano di casa i Berliner Philarmoniker col loro direi/ore Wilhe/m Furtwiingler e dal 1° al 4 maggio 1942 l'Opera di Stato di Dresda, direi/a dal giovane Karl Bohm, mise in scena Fidelio e Il cavaliere della rosa, giusto compenso al fedele alleato. Gli esiti artistici dovettero essere superbi, come lo sono in genere quelli delle tournée del Bolscioj di Mosca o del Malij di Leningrado, a Roma per due anni consecutivi da quando c'è il sindaco comunista. Una signora ignara si chiedeva quando avremmo avuto in Italia una visita dell'Opéra di Parigi, del Royal Bai/et di Londra o della New York Philarmonic. Dispiace deludere tali rosee speranze, ma quegli enti culturali non sono succursali del ministero degli esteri. E poi, dai tempi della Repubblica cisalpina, non si è più visto in Italia un «partito francese» intenzionato a prendere il potere. 4 NOVEMBRE 1979

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