pesanti, tanto più dannose da portare frequentemente alla morte dei tossicodipendenti, oltre a incoraggiare varie forme di delinquenza legate alla necessità di procurarsi il denaro necessario. (Non si comprende però perché, se questo è lo scopo che anche i radicali vogliono ottenere, debbano fare la loro battaglia lanciando assurdi slogan come «fumare è bello», « Viva l'erba» e simili: voler depenalizzare per ragioni sociali un atto finora considerato reato è cosa diversa dal propagandare l'atto in sé che difficilmente può essere giustificato come socialmente o individualmente utile). Così, pur non conoscendo il caso particolare della condanna di Fabre in Francia, siamo in linea generale favorevoli all'obiezione di coscienza, purché l'obiettore sia disposto a un servizio sostitutivo di quello militare. Ché altrimenti tutti si pretenderebbero obiettori, e allora sotto la difesa dell'obiezione di coscienza si mascherebbe in realtà la rivendicazione del disarmo unilaterale o, che è lastessa cosa, l'abolizione dell'esercito (ciò che peraltro, in effetti, i radicali chiedono); richiesta anche questa peraltro legittima, ancorché assurda. Ma non si vede perché dovrebbe esser lecito intanto a qualcuno di sottrarsi a ogni servizio finché l'esercito c'è e la maggioranza, che in democrazia si esprime nel parlamento, intende (saggiamente) mantenerlo. Ma supponiamo pure che Fabre non voglia far propaganda per l'uso della droga ma abbia solo la preoccupazione, che è anche nostra, di contenere il dilagare dell'eroina; perché mai il segretario di un partito che ha una non piccola rappresentanza in parlamento dovrebbe, anziché seguire la democratica procedura della proposta di legge, sia pure sostenuta da forme di propaganda verso l'elettorato e di sensibilizzazione dell'opinione pubblica, scegliere invece la aperta disobbedienza alle leggi tuttora in vigore? Se il Partito radicale ritiene di avere il consenso della gente su questa iniziativa, il fatto di proporla porrebbe gli altri partiti nella necessità o di accettare la proposta o di rischiare di spostare consensi del proprio elettorato verso i radicali; se invece non ritiene di avere il consenso necessario,perché pretende che le sue proposte debbano in ogni caso essere accettate? Ma ammesso pure che questo ragionamento non convinca Fabre e che egli ritenga doveroso, pur di imporre il problema all'attenzione del pubblico, di violare la legge e di farsi arrestare (ricordiamo che la segreteria radicale invitò formalmente le forze dell'ordine a presenziare al compimento di quello che ancora è un reato; Fabre cioè volle essere arrestato; come il consigliere comunale Bandinelli, offrendo lo «spinello» al sindaco di Roma, deliberatamente ricercava l'arresto, minacciando Petrose/li di una denuncia per omissione di atti d'ufficio qualora questi non lo avesse denunciato per spaccio di droga). Ebbene, se questa è una deliberata e consapevole scelta, perché mai levare poi cori di proteste perché la legge è effettivamente applicata? Così in Francia. Non tutti forse sanno che Fabre, il giorno prima di arrivare a Parigi, scrisse su «Libération» un articolo intitolato Deux poids deux mesures, nel quale, scrive «Le Nouvel Observateur» «il s 'indignait de ce que des insoumis comme lui fussent en prison alors que lui-meme circulait librement sur le territoirefrançais». Se Fabre ha ritenuto giusto richiamare l'attenzione dei francesi sull'ingiustizia della locale legge sull'obiezione di coscienza citando come ingiustizia il fatto che egli non fosse, come gli altri, in prigione, perché poi chiedere la propria liberazione, avanzando, per esempio, l'argomento delle proprie 22 responsabilitàdi segretario del Partito radicale italiano nell'imminenza di un congresso? A nostro parere l'una e l'altra delle cause difese da Fabre (e le condizioni politiche dell'uno e dell'altro Paese) non impongono forme di disubbidienza civile e di autodenuncia. Ma se Fabre invece ritiene di si, perché indignarsi perché quanto si è volut.osi avvera e perché atteggiarsi a vittime di una repressione che sulle idee non c'è (tanto è vero che le opinioni dei radicali sugli argomenti in questione erano note ed erano valse loro, in Italia, il conforto di parte dell'elettorato), ma che sui fatti non può non esserci? Per concludere. Quando i radicali italiani bizzarramente elesseroa loro segretario un cittadino francese, spiegarono che intendevano così ribadire una loro posizione «internazionalistica» e più specificamente «europea». «Le nostre battaglie sono comuni a tutti i cittadini europei - dissero -. Niente di strano che un cittadino francese si assuma responsabilità politiche nel nostro Paese». Benissimo. Ma come conciliano questa difesa di uno «spazio politico europeo» con la polemica contro lo «spazio giudiziario europeo», reazionaria teoria cheper i radicalispiega l'estradizione di Piperno che essi non avrebbero voluto? Vogliono forse uno spazio politico ma non giudiziario, cioè politici irresponsabili di fronte alla giustizia, liberi di fare quello che vogliono dove vogliono? Ma non erano, i radicali, contro l'immunità parlamentare? I giovani in castigo CoN L'ULTIMO NUMERO DI OTTOBRE HA cessato le pubblicazioni il settimanale della FGCI «Città Futura», diretto da Ferdinando Adornato, il cui primo numero era uscito nel maggio 1977al posto della precedente testata «Nuova Generazione». La sospensione di «Città Futura» viene addebitata al tracollo delle vendite (si sarebbescesi al di sotto delle 1 O.()()() copie allasettimana) e al conseguente deficit superiore ormai ai duecento milioni. In taluni ambienti della FGCI si sostiene però che la chiusura del settimanale dei giovani comunisti sarebbe stata decisa dalla segreteria del partito non soltanto per ragioni di bilancio, ma anche e soprattutto per ragioni politicoorganizzative: alle Botteghe Oscure, infatti, si gradiva sempre meno la pur relativa vivacità della «Città Futura» rispetto alle altre testate della stampa comunista. Non solo, ma la soppressione dell'organo della FGCI precederebbe di pochi mesi la decisione della segreteria del PCI, di sciogliere la FGCI stessa, ritenuta ormai alle Botteghe Oscure, specie dopo il clamoroso insuccesso elettorale del 3 giugno scorso tra i giovani, come del tutto incapace ed inutile ai fini del contatto tra le masse giovanili e il partito. Come è noto, la FGCI era già stata sciolta dal PCI all'inizio degli anni trenta, in piena clandestinità, e dopo la guerra venne ricostituita soltanto nel 1949 al Congresso di Livorno. Craxi e Signorile ai ferri corti PROSEGUE NEL PSI LA GUERRA DELLE INterviste. È dalla ripresa dell'attività politico-parlamentaredopo la sospensione estiva che in campo socialista lapolemica tra gli ex-alleati del Congresso di Torino si snoda tra un 'intervista e l'altra, non senza smentite, 4 NOVEMBRE 1979
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