ciale per creare una società senza conflitti; detto in altre parole, è possibile istituzionalizzare la fraternità a colpi di burocrazia e di violenza. D'altra parte, nel momento in cui il socialismo si è identificato così fortemente con il culto della burocrazia, i fautori della decentralizzazione economica e politica, liberali e conservatori, si scontrano fatalmente con esigenze sociali ed ecologiche imperative che il gioco dell'offerta e della domanda non può assolutamente risolvere e che diventano sempre più numerose. È possibile che in un certo Paese, le soluzioni radicalmente liberali che porterebbero, per esempio, a una gigantesca disoccupazione, potrebbero compensarla con la rapida crescita economica e con l'aumento della produttività; tuttavia, essendo impossibili tali situazioni per notorie ragioni sociali e politiche, i governi sono contrari a cercare vie d'uscita intermedie, sempre incerte e zoppicanti. In breve, dalle due parti tutte le soluzioni radicali sono peggiori delle malattie che esse pretendono di guarire, mentre le soluzioni parziali e non radicali sono necessariamerite provvisorie e non possono soddisfare gli spiriti in cerca di prospettive grandiose di un mondo defintivamente salvato. Le ambiguità ecologiche Una contraddizione simile si ritrova nei movimenti e nelle idee nazionaliste. Bisogna distinguere, naturalmente, tra le nazionalità veramente oppresse - e nell'impossibilità a causa della violenza esterna di sviluppare la loro propria cultura -, gli oppressori, i gruppi etnici minoritari nei paesi democratici, e le unità tribali sprovviste di coscienza storica chiara e ben identificabile. Si nota comunque una certa tendenza parallela in condizioni ben differenti: la comunità culturale che è la nazione si identifica con lo · Stato; una volta proclamati i supremi valori nazionali, questa identificazione sfocia naturalmente nel culto dello Stato e di uno Stato che possiede tutti i diritti nei confronti degli individui. Così si vedono da una parte i nazionalismi bizzarri il cui punto centrale è uno Stato senza omogeneità etnica, e dall'altra il protezionismo e l'isolazionismo culturale in condizioni in cui non esiste una vera oppressione politica e dove evidentemente si crede che le libertà nazionali poggino sull'accrescimento dei posti di dogana e delle guardie di frontiera. Ancora una volta, dunque, è il miraggio di una solidarietà «naturale» e «organica» che si traduce facilmente nella glorificazione del tribalismo oppressivo. Anche i movimenti ecologici hanno delle ambiguità analoghe. Quando si tratta di esprimere con slogan generosi il bisogno di proteggere la natura contro la distruzione, chi non approverebbe? Ma quando si tratta di scelte reali, i problemi si moltiplicano. Non si può domandare allo stesso tempo: «fermate la costruzione delle 10 centrali nucleari» e «dateci infinita energia a buon mercato!». Bisogna dire chiaramente: «Siamo pronti ad avere meno di quello che abbiamo: minor alimentazione, meno viaggi, minor riscaldamento, meno di tutto». E questo non è esattamente ciò che essi intendono, ma piuttosto: «voi, lo Stato, siete obbligati a fornirci tutte le qualità di energia di cui abbiamo bisogno, ma senza pericolo e senza rovinare il bel paesaggio; e allora cercate di inventare qualche cosa!». Anche qui, come dappertutto, dobbiamo fare delle scelte che si basino su un calcolo razionale di rischi, di minutaglie, di potenzialità tecniche e di tutte le conseguenze sociali. L'ecologia, se non è che un'ideologia, esprime frequentemente questo stesso infantilismo, che, da una parte, crede all'onnipotenza dello Stato e dall 'altra, vorrebbe sbarazzarsene. Nessun uomo politico, nessun movimento politico, può permettersi di dire ai cittadini delle società relativamente ricche: «voi avt>tetroppo, potete certo contentarvi di meno»; gli individui possono dirlo e devono dirlo se è necessario; le chiese possono dirlo ugualmente, e a volte lo fanno, senza grande successo. Altrimenti si ha sottomano un'altra comoda espressione: «consumismo», che è permesso impiegare tutto il tempo durante il quale si vuole muovere un rimprovero morale impreciso ma senza provare a tradurlo in proposizioni sociali ben definite. Nessuno può prevedere ciò che risulterà dal confronto di queste forti e opposte tendenze nei decenni a venire. Noi sentiamo che le ideologie così come le formazioni e le divisioni politiche ereditate non corrispondono più né alle esigenze che impone la demografia e la tecnologia moderna, né alle enormi sproporzioni, che probabilmente si aggraveranno, tra le diverse regioni del pianeta. Sentiamo, non meno vagamente, che i nostri meccanismi di democrazia rappresentativa non sono più adatti a queste esigenze benché siano sempre i migliori che abbiamo per proteggerci contro il dispotismo. Altre forme attuabili di governo democratico e rappresentativo sembra non siano state ancora proposte e tanto meno messe alla prova. È possibile che, se esse emergeranno, ognuna delle forze in conflitto vi contribuirà, benché non ci si debba attendere delle «sintesi» che possano formarsi in altro modo da come è avvenuto nel corso di tutta la storia umana, vale a dire attraverso convulsi oni drammatiche. (Traduzione di Francesca Cernia) Il testo che precede è una comunicazione di L. Ko/akowski al I Encontro lnternacional I UNB 1979 4 NOVEMBRE 1979
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==