POLITICA ESTERA GIANNI FINOCCHIARO Lo squallore della VII legislatura LA PIÙ PRESTIGIOSA RIVISTA DI POLITICA internazionale pubblicata in Italia ha trionfalmente osservato, qualche mese fa, che nel corso della, testè spirata, settima legislatura si è realizzata fra le forze politiche italiane una convergenza nella politica estera quasi unanime constatando «il dato di fatto che dalla unità d'Italia, con l'eccezione del ventennio fra le due guerre, il governo non aveva mai avuto una così massiccia adesione alla sua politica estera». Il compiacimento della rivista potrebbe, anche in linea generale, rallegrare tutti gli italiani per la raggiunta unità nazionale di fronte al mondo intero. Così come potrebbe rallegrare tutti la «maturazione dell'opinione pubblica» nonostante il piccolo, quasi trascurabile, neo per cui si è verificata, di converso, «la rarefazione delle grosse discussioni che frequentemente si svolgevano nelle assemblee plenarie dì Montecitorio e Palazzo Madama nelle precedenti legislature». Tuttavia, a questo elemento, che positivo proprio non ci sembra, «ha fatto riscontro un'intensa attività nelle sedi più ristrette delle Commissioni esteri della Camera e del Senato, con dibattiti preventivi e successivi formali e informali». Insomma, come dire, fra amici. Così come il collegamento con la Farnesina è stato mantenuto costante grazie ad «incontri informali e riservati» tra l'Ufficio di presidenza delle Commissioni esteri della Camera e il ministro o un sottosegretario da lui delegato». E «in tali incontri dedicati agli aspetti più critici della scena mondiale il governo ha fornito informazioni riservate che probabilmente non avrebbe dato in riunioni formali di Commissione e di Assemblea». Cortesia d'altronde ricambiata dai parlamentari recatisi alla farnesina poiché essi «hanno garantito il massimo riserbo». Non sappiamo se l'Autore dell'articolo pubblicato, peraltro in prima pagina, nel n. 22 (2 giugno 1979) di «Relazioni Internazionali», si è reso conto delle orribili cose scri~e in si poche righe. N_ésappiamo se le cose sono veramente andate così come descritte: Tuttavia propendiamo a credèrlo sia per la serietà della rivista, sovente usata come portavoce della Farnesina, sia perché l'articolista ci risulta serio ed informato. Sia, infine, perché effettivamente da lungo tempo non si sente parlare di una politica estera italiana. E allora non ci resta che aggiungere, al pianto sulle degenerazioni della democrazia di questo Paese, almeno una lacrima sulla sua politica estera. Poiché a furia di «andare avanti» sulla strada della «partecipazioni», della democratizzazione, della pubblicità degli atti dello Stato, l'Italia ha già percorso, almeno in politica estera, un bel girotondo riportandosi ad almeno mezzo secolo addietro, se non addirittura ad un secolo. Cioè alla diplomazia e alla politica estera segreta. Alla meraviglia ci piace aggiungere un'osservazione che giriamo senza mezzi temini ai comunisti che sessant'anni fa salutarono come un avvenimento storico /2 nelle relazioni internazionali la decisione del primo governo bolscevico, guidato da Lenin, di aprire gli archivi e rendere pubblici i più delicati documenti del ministero degli esteri russo. Eppure i comunisti nella settimana legislatura hanno avuto una grande influenza nelle commissioni parlamentari ivi comprese quelle degli esteri della Camera e del Senato. Anzi, oseremo avanzare l'opinione che più di un atto governativo di politica estera porta il segno delle sollecitazioni comuniste. Fin qui le nostre osservazioni toccano il grado di effettiva democrazia di questo nostro paese ove al costante «allargamento della partecipazione popolare» corrisponde una sempre più aguzza verticizzazione del potere nel condurre gli affari dello Stato. Poco importa che esse siano opera di una oligarchia omogenea o pluralista: sempre oligarchia è. Da quel che è stato detto (e non detto) e quel che è stato compiuto emerge chiaramente che la politica estera italiana è stata (ed è ancora) praticamente nelle mani di pochissime persone che tacciono, mantengono segreti e riserbi, si scambiano informazioni in privato e poi vanno gabellando tutto questo lavorio attorno al nulla come un esempio di avanzata democrazia. Ma le cose fossero soltanto queste si potrebbe anche sperare di raddrizzare una situazione francamente abnorme, com'è stata quella verificatasi negli anni del pre-compromesso storico, cioè proprio nel corso della settima legislatura. Ma dietro c'è dell'altro. E l'altro è che una politica estera italiana in realtà non è esistita se non per mostrare incertezze, dare esempi di abulia e riaffermare banalità e ovvietà. Eppure fra il 1976 ed oggi vi sono stati alcuni rilevanti avvenimenti internazionali nei quali non risulta che lo Stato italiano abbia portato un, sia pur modesto, contributo nella politica internazionale. Ne accenniamo alcuni: la Conferenza di Belgrado di verifica della Conferenza per la sicurezza europea; I'invasione vietnamita della Cambogia; l'accordo di pace fra Israele ed Egitto con la mediazione americana; il tentativo di sganciamento dalle ipoteche sovietiche della Somalia; il dibattito sulla bomba al neutrone; il grande dibattito internazionale sui diritti umani; il conflitto cino-vietnamita; l'esasperazione della crisi energetica, le convulsioni dell'Iran. Sono avvenimenti sui quali tutti i paesi d'Europa di una certa dimensione politica ed economica (anche di gran lunga inferiore a quella dell'Italia) hanno assunto posizioni rilevanti e chiare. Certo, nessuno pensa che la politica estera italiana possa avere le dimensioni planetarie di quella delle superpotenze, né quelle extra-europee della Francia, dell'Inghilterra e, al limite, della Germania. Ma qualcosa più della ventina dì righe rese da Forlani alla televisione il 23 giugno 1977 sarebbe stato decente attendercelo dal paese che vanta di essere il settimo fra i più industrializzati del pianeta e il terzo fra i più demograficamente numerosi d'Europa. Per il Paese che afferma, pe, oocca del suo ministro degli esteri, che l'Europa è «cuore» della sua politica estera, e il Mediterraneo il polmone, restano emblematiche le vicende tragicomiche dell'adesione data, ritirata e ridata allo SME, il corrucciato silenzio sugli accordi Sadat-Begin, mentre mugola con gioia sensuale all'idea di invitare Arafat. Che questo squallore non sia altro che un dato di fatto indiscutibile ce lo dice la stessa «Relazioni Internazionali» nella cui annata del I977 si possono fare le edificanti letture di 8 (otto) comunicati congiunti concernenti atti di politica estera del governo e 4 NOVEMBRE 1979
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