A. BERTOLO diretta, esemplificata (seppure non affatto esaurita) dalla partecipazione attiva all'assemblea. E' inimmaginabile un'assemblea decisionale di migliaia o decine di migliaia di persone. Essa può solo sancire l'approvazione od il rifiuto di proposizioni semplici, cioè precedentemente semplificate. Essa inoltre presenta il rischio di rispondere verosimilmente alle sollecitazioni emotive più che a quelle razionali, secondo le leggi della psicologia di massa. D'altro canto, se è vero che alla comunicazione diretta possono affiancarsi altre forme di comunicazione orizzontale (consentite da un uso appropriato dei mezzi elettronici e televisivi, come suggeriscono ad esempio Prandstraller e Flecchia), è pur vero che esse non possono e non debbono sostituirsi, ma solo aggiungersi alla comunicazione diretta, soprattutto nelle articolazioni federali, perché esse possono essere più strumento di controllo e/ o di sondaggio che non di formazione ed esplicazione della volontà decisionale. Dunque il primo fondamentale ambito dell'autodeterminazione collettiva non può essere altro che l'unità associativa elementare - come il primo e fondamentale ambito della libertà non può che essere l'individuo - e questa unità deve essere « a misura di assemblea ». Dunque l'approccio autogestionario al problema della dimensione deve porsi spregiudicatamente nella linea di pensiero sintetizzata dalla felice espressione schumacheriana « piccolo è bello». Si tratta di capovolgere l'impostazione logica che parte dall'esistente e dalle sue tendenze « oggettive » al gigantismo economico e politico e tecnologico per derivarne la « necessità» della grande dimensione. Ricadere in quella logica sarebbe fallimentare per la teoria e per la pratica autogestionaria, perché si arriverebbe alla dimostrazione dell'impossibilità dell'autogestione generalizzata. Sarebbe anche sbagliato, perché in realtà non sono la tecnologia, l'economia, la razionalità che impongono le macrostrutture e le macroistituzioni, ma una tecnologia, una economia, una razionalità determinate dalla logica del potere anche se, a loro volta, per un effetto di feed-back, finiscono per diventare determinanti, creando un cerchio diabolico in cui ogni elemento si alimenta vicendevolmente di motivazioni « oggettive » ed ideologiche. Viceversa, l'autogestione deve ripensare l'economia, la tecnologia, l'assetto territoriale, eccetera, a partire dalle sue esigenze, applicando la sua razionalità. Può essere che questo comporti talune riduzioni d'efficienza, ma è un costo che, se si 22
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