R. LOURAU nale. Un settore sempre più esteso di attività provvisorie, avventizie, marginali o clandestine (lavoro nero), tende a instaurarsi. In questo settore vediamo sorgere delle esperienze autogestionarie collocate non più sotto il segno (o sotto l'unico segno) dell'estetica, del pedagogico-terapeutico o dell'eventuale lotta politica, ma sotto il segno molto più modesto della sopravvivenza economica. Non sempre le attività di questo genere implicano l'autogestione. L'autogestione ha tuttavia qualche possibilità di apparire, qualora un collettivo di lavoro (o di sopravvivenza) decida di lanciarsi in assenza d'un padrone-datore di lavoro e ... in assenza d'ogni capitale di partenza. Se la crisi dell'energia diventasse, almeno per un certo periodo, una penosa realtà (elettricità, benzina ...), è molto probabile che la gestione della penuria, assieme alla gestione della disoccupazione, faccia fiorire l'autogestione come una delle belle-arti sociologiche «povere» (come, ad esempio, si parla di « arte povera » in pittura). Ancor più che le forme estetiche, pedagogico-terapeutiche dell'autogestione, ed allo stesso livello dell'autogestione delle lotte politiche, questo tipo di autogestione economica di sopravvivenza è caratterizzata dalla tendenza all'autodissoluzione, non come limite insuperabile, ma come modo di funzionamento normale - precisamente nell'ottica di lavorare per il superamento delle contraddizioni a misura ch'esse si presentano nella pratica. In questo senso, il movimento autogestionario, libertario o cooperativo, ecc., dovrebbe interessarsi più da vicino alle esperienze dell'avanguardismo politico, artistico-politico e artistico. Certo, tale movimento è quasi sempre marcato dalla preminenza della fase estetica, cui si è già accennato a proposito delle comunità di lavoro e di vita. Ma questo non significa che le avanguardie siano sempre e forzatamente costituite da borghesi o da piccolo-borghesi per i quali l'auto-dissoluzione sarebbe un piacere senza rischio alcuno. Una volta che la rottura con le istituzioni è stata più o meno apertamente consumata (col mercato dell'arte e della cultura, con le organizzazioni politiche egemoniche, con lo stato), una volta che i pon~i sono stati tagliati e che la disoccupazione (qui come altrove) impedisce di appoggiarsi alla confortante idea d'un « secondo mestiere » per sopravvivere, l'auto-dissoluzione, in certe circostanze, diviene la pratica più radicale nella lotta anti-istituzionale. Non solo di fronte alle istituzioni esistenti, ma vis à vis alla 210
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