Interrogations - anno VI - n. 17-18 - giugno 1979

TEORIA DEI BISOGNI anche a ricondurre l'impresa all'economia di mercato e a verificare al suo interno le leggi del mercato. Ma la postulazione teorica di queste finalità non elimina il fatto che la grande impresa, appunto perché isomorfa a bisogni massificati, sia costretta ad agire secondo una programmazione in cui - in coerenza con la natura giuridica del suo capitale che è pubblico - interviene il potere politico. Può trattarsi, è vero, di una programmazione policentrica anziché centralizzata, ma è ciò sufficiente per escludere l'obbligo di adeguarsi a direttive provenienti dall'alto? - « Sarebbe erroneo pensare - scrive Rudolf Bicanic che la pianificazione policentrica sia un sistema in cui non vi è alcun programma centrale. Difatti vi sono diversi programmi centrali che differiscono per quanto riguarda gli agenti impegnati, i traguardi, la dimensione e gli strumenti di politica utilizzati nei diversi campi. Il punto importante è che nessuno di essi ha il potere di imporsi agli altri o di imporre un'indiscutibile priorità negli obbiettivi determinati sulla base di una scelta nazionale » ( 17). Gli scopi medesimi della grande impresa costringono questo ente a dipendere continuamente da un fattore trascendente, qual è appunto la programmazione: con tutti gli svantaggi che ciò comporta. Svantaggi e limiti tanto più accentuati in quanto ogni programmazione è condizionata dagli scopi di una determinata classe politica. Dove è ammesso un solo partito, è difficile pensare che le decisioni dei lavoratori associati non siano frustrate da quelle che i dirigenti del partito prendono per proprio conto. Questa è una delle critiche fondamentali mosse all'esperimento autogestionale jugoslavo, ma sarebbe pertinente anche in un contesto pluripartitico, perché tutti i partiti cercano di controllare gli enti economici primari, tra cui va appunto annoverata la grande impresa, come l'esperienza dei paesi occidentali dimostra chiaramente. I caratteri della grande impresa si armonizzano con la proprietà «pubblica» dei mezzi di produzione. Nel caso, l'opinione dei teorici sembra coerente con i connotati fondamentali di questo tipo d'impresa, benché non_ sia impossibile ipotizzare anche qui forme di capitale misto. Ma la natura pubblica del (17) Rudolf Bicanic, Economie Policy in Socialist Jugoslavia, 1973, trad. it. cit., p. 73. La difficoltà di attuare una vera autogestione in presenza di un piano è rilevata con chiarezza da un critico del progetto autogestionale, Albert Garand, in L'autogestion, l'entreprise et l'économie nationale, France-Empire, Paris 1974, p. 252. La critica di Garand mette in risalto correttamente il naturale contrasto tra la presenza d'una normativa esterna (piano) e l'autodeterminazione dei lavoratori. 145

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