AMEDEO BERTOLO zato e/o al lavoratore dipendente, del tutto estranei al potere decisionale. Per dirla con le parole di R. Ambrosoli: « In Italia la tecnoburocrazia cooperativa si pone a metà strada, grosso modo, tra la tecnoburocrazia dell'impresa pubblica e quella dell'impresa privata. Di questa ha la capacità di svolgere un ruolo economicamente attivo e quindi socialmente rilevante. Di quella ha l'estrazione partitica, il che determina sia la possibilità di usare tale estrazione per acquistare potere, sia l'obbligo di « ricambiarlo » con prestazioni di vario tipo a vantaggio del partito ispiratore. [ ...] E' un fatto che molti studiosi moderni della cooperazione indicano in essa uno degli strumenti adatti a rendere più incisiva e «vincolante» l'opera di programmazione economica dello stato, per adesso ancora« indicativa». E' chiaro che questo non potrebbe avvenire che tramite un« accordo» tra il potere politico e le tecnocrazie cooperative, di cui verrebbe utilizzato il ruolo dirigenziale per asservire la cooperazione ai bisogni dell'economia pubblica. In tal modo le tecnocrazie cooperative si troverebbero ad essere equiparate a quelle delle grandi imprese di stato. » 19. La dirigenza politica rientra a buon diritto nella nuova classe dominante tecno-burocratica, non solo perché essa gestisce il potere politico ed economico complessivo dello stato - assieme agli altri settori della tecnoburocrazia ed assieme alla grande borghesia capitalistica - , ma anche perché nella sua articolazione partitica essa svolge con i sindacati il ruolo di gestore della conflittualità sociale. Nelle complesse e « delicate» società tardo-capitalistiche, questa forma di controllo « democratico» sugli uomini (in quanto «cittadini» non meno che in quanto « produttori ») è di fondamentale importanza. Luogo di questo potere sono, oltre agli organi governativi, gli apparati dirigenti dei partiti sia di governo sia di opposizione istituzionale. Dopo la classica analisi del Michels, la natura sostanzialmente oligarchica dei partiti politici non ci sembra mai stata seriamente contestata, se non a livello ideologico-propagandistico. Per quanto democratiche possano essere le modalità formali per la nomina dei dirigenti e per quanto libero possa essere il dibattito in seno al partito (e a maggior ragione quando questi caratteri di democraticità e di libertà siano di diritto o di fatto negati), la sua stessa natura di struttura gerarchica fa sì che sostanzialmente tutte le decisioni vengano prese da una 56
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