Fine secolo - 1-2 marzo 1986
FINE SECOLO* SABATO 1 / DOMENICA 2 MARZO 2 S opra un aereo a elica, zeppo di monta– nari e bagagli, i tre amici atterrano nella valle del Chitral a pochi chilometri dal confine afgano, del tutto ignari del destino che li aspetta. Atterrano _dimattina e hanno tutto il tempo per trovare un albergo, la legna, certi– ficati, fogli e bolli, neanche un dépliant, e una noia leggera, come di chi è in un posto stretto. Zahihullah, I suppose Tutto era pronto per arrivare al 22 sera quan– do all'improvviso sbucò da un angolo una Volkswagen bianca e frenò dolcemente davan– ti ai tre. «I am Zabihullah, mujahideen Nuri– stan». Un loden grigio e alto, un paio di baf– fetti, un ottimo inglese, esce dalla macchina; dietro un altro ragazzo, con un mitra più gros– so di lui, e un vecchio con una barba bianca come la Volkswagen che sparisce rapidamente in un dedalo di case. Preamboli in inglese e strette di mano, mentre la noia scompare. «Cosa ci fate in un posto come questo?» E tu? «Io per ora ci abito. Sono un profugo afgano, sto a Drosh, un paese qui vicino, perché non venite a trovarmi; sarete miei ospiti». Noi ab– biamo già deciso, ci carichiamo su una jeep di linea che va a Drosh e salutiamo Zabihullah, ciao, ci vediamo a casa tua. Tutte successo in un attimo e ora i tre amici cavalcano una jeep su una strad·a impossibile verso un tramonto di montagna, tra polvere e burroni e una piogge– rella. Arrivano al buio davanti a tre case, que– sta è Drosh. E Zabihullah? «Sta là, venite, v'accompagno». Cavalcano la jeep per un altro miglio fino a una tenda, ma Zabihullah non c'è. Un sacco di gente esce al buio; e riempie la tenda, accende il fuoco, porta il thè: tutti pa– renti di Zabihullah che ancora non c'è. «Sen– z'altro arriverà domani e non vi dovete preoc– cupare che tanto è come se lui fosse tornato. Quanto tempo è che lo conoscete? come? quanti anni?» Quanti anni, l'abbiamo cono– sciuto oggi, sì, molti anni. E la tenda si riem– pie, il fratello, il cugino, un altro cugino, la stufa scalda. Lui arriva sulla Volkswagen bian– co e dice: «Good evening, I am Zabihullah, mujaheddin Nuristan». Appesi a un filo La Volkswagen scivola su una strada ancora più assurda, scavata sasso per sasso a mani e morsi. ,Il fiume se ne va nel verso opposto. Strada e fiume s'incrociano, si sfiorano, si toc– cano; la strada si arrampica e il fiume rimpic– ciolisce a rigagnolo. Subito dopo i rumori si confondono e il fiume pare immenso e limac– cioso e la strada sempre più in.:assata, tornanti e guadi, ponti sfondati e scomparsi, e un gran silenzio. A destra fiume e burroni, a sinistra un muro di pietra e noi nella macchina bianca in deroga alla fisica e alla metafisica. · Poi la macchina si rompe, sfiancata; un filo di plastica e rame aggiusta l'acceleratore. Si ri- LA PARTITA ASCACClll, ALLA VIGTT,TA DF:1,T,APRIMA VERA AFGANA di_Renzo LULLI La valle del Chitral, alle soglie del/' Afganistan. Tre viaggiatori italiani, un ospite afgano, e il suo vecchio padre. E lo scacco del pedone ali' armata. parte a spinta, con la batteria che non va più, in un silenzio che non rompe più neanche il fiume. Arriviamo a Chitral in tre ore; ci aspetta un camino acceso, thé e dolci sciolgono il gran si– lenzio, la stan7.a si riempie di domande e rispo– ste e si preparano rullini e filmati, nikon, obiet– tivi e piumini. Intanto Zabihullah tenta di ri– parare la Volkswagen in un garage senza luce, senza attrezzi, senza niente, salvo un meccani– co con la tuta unta di grasso. Lo troviamo all'imbrunire, sporco di grasso anche lui e la macchina invece sempre uguale, con l'acceleratore slabbrato; al filo di plastica e rame ci pensa lui. Ripartiamo per la stessa strada, e il fiume questa volta ci accompagna, coi fanali strabici, uno che guarda le stelle e l'altro i sassi, ma la luna piena basta a illumi– nare tutto. Il gran silenzio è fuori, ma nell'auto bianca si parla e si ride e non si vede niente. Zabihullah racconta di come suo padre gli scelse la moglie e lui se la prese, era già laurea– to, e le voleva bene e avevano due figli. E di quella volta che suo pad1e credeva che i Russi l'avessero ucciso e lui lo raggiunse sulle monta– gne e allora suo padre fece uccidere una mucca e fece una grande festa per la sua vita. E tra una storia e un'altra, senza mai veder la stra– da, arriviamo senza accorgercene dentro la tenda; la stufa è già accçsa e tutti ci aspettano, salamalecum, oh alecumsalam! Sotto la tenda «I Russi sono entrati di qui, dal Nord», e ci di– segna la cartina su una lettera di accredito un po' arrangiata. «Sono entrati nel Balk, diretta– mente a Mazar-j-Sharif, contemporaneamente da Shirkan, e sono scesi al Sud verso Kabul, traversando le regioni di Samrgan, Baghlan e Parwan. Hanno occupato Kabul, la capitale, e Jalalabad, verso il Khyber Pass, al confine col Pakistan, controllando così la strada che porta a Peshawar. Nello stesso momento hanno in– vaso il Pamir, il tetto del mondo, traversando la catena dell'Indukush da Wakhan, un passo di seimila metri. Inizialmente le truppe sovieti– che erano formate da soldati di leva delle re– gioni confinanti con I' Afganistan, tutte regioni una volta musulmane con usi e costumi simili ai nostri. Questo forse per rendere meno pe– sante l'invasione alla riostra popolazione; ora invece cambiano di continuo il loro esercito perché hanno paura che i soldati disertino». Zabihullah continua a parlare mentre ci porta– no cena, ciapati, due uova e una manciata di agli crudi, e noi mangiamo, affamati. «Jnviaro– no un'intera guarnigione di Vietnamiti, dieci– mila, e soltanto duemila son tornati a casa, gli altri sono morti qui in Afganistan». L'aglio crudo è buono e il fiato diventa sempre più mortale. «Il territorio afgano è comunque libe– ro all'ottantacinque per cento, i Russi occupa– no solo le grandi città, il resto è compito dell'e– sercito di K.annal, che di giorno controlla e vi– gila e di notte si rinchiude ne11e caserme perchè è impotente di fronte all'insidia dei Mujahi– deen».
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