Fine secolo - 1-2 marzo 1986

GA SA JOMO. ONNA? , è il punto d'arrivo egnose attività del/' ni tanto qualche voce · e la donna? E la , Makepeace Tanner i anelli della catena. ice, selezionatrice, gazzinatrice e aifigli ne esce alla ? Si è dato un gran e dalla donna. Più · 1astoria del Grande della popolazione di transizione e cominciare ad indagare su come una popolazione con que– ste caratteristiche abbia potuto esplorare un nuovo ambiente e, probabilmente, dar luogo ad un processo di speciazione». L'irradiazione della popolazione ancestrale dà luogo alla formazione di tre linee evolutive -gorilla, scimpanzè e ominidi- che si insediano in nicchie ecologiche diverse, rispettivamente la foresta pluviale, le zone forestali meno fitte, • la savana. Lo spostamento in un habitat nuo– vo, lontano dalla foresta tropicale, costringe la popolazione di transizione tra le antropomorfe ancestrali e i primi ominidi ad adottare un nuovo modo di procurarsi il cibo. Non è ne– cessario -come nel modello del 'grande caccia– tore'- ipotizzare un cambiamento radicale e quasi istantaneo della dieta. Questa resta pre– valentemente vegetale (f anner ipotizza che lo fosse per 1'80-90%, cioè con un valore interme– dio fra il 70% dei Boscimani sudafricani e il 90-99% degli scimpanz.é). Ed è proprio nel procurarsi questo tipo di cibo che quelli che erano comportamenti occasionali e rudimenta– li rivelano la loro efficacia nel nuovo ambiente, si rafforzano e si sviluppano. E' il caso della stazione eretta, utile in un ambiente in cui le distanze da percorrere per trovare ci~ sono grandi e dove può risultare vitale avvistare da lontano eventuali predatori per fuggire in tem– po (d'altra parte, fa notare Tanner, la stazione eretta può essere risultata di per sè un efficace mezzo di intimidazione). li nuovo ambiente può aver stimolato anche un uso più sistemati– co e via via più raffinato di strumenti. Il pas– saggio da alimenti succosi, meno diffusi nella savana, a un maggiore- consumo di frutta sec– ca, noci, semi, avrà richiesto l'uso di strumenti per aprirli, mentre lo sfruttamento di alimenti sotterranei, come. tuberi e radici, avrà stimola– to l'utilizzo di strumenti di scavo. Lunghe distanze da percorrere e non immedia– ta edibilità del cibo, potrebbero essere state le cause di un altro grande cambiamento, il pas– saggio dal foraggiamento alla raccolta: «La raccolta si differenzia in ·maniera sostanziale dal comportamento di foraggiamento che, an– cor oggi, è tipico degli altri primati. li forag– giamento si basa sul consumo istantaneo del cibo trovato e presuppone che, dopo l'allatta– mento, il piccolo divenga autosufficiente. Al - contrario la raccolta implica che ci si procuri e si trasporti una grande quantità di cibo, in vi– sta di un suo consumo differito nel teplpo da parte di più individui; essa rende perciò possi– bile un periodo più prolungato di dipendenza del piccolo».· Non è chiaro se Tanner ipotizzi qui una abitu– dine alla spartizione del cibo vegetale all'inter– no della comunità. Questa possibilità è stata fino ad ora esclusa dalla maggior parte degli studiosi i quali ritengono invece che la sparti– zione del cibo vegetale avvenisse solo all'inter– no del nucleo familiare, mentre solo la carne veniva spartita in un ambito sociale più ampio (questa sarebbe, tra l'altro, una delle ragioni che ha trasformato un fattore economicamente secondario come la caccia, in un fattore social– mente primario). Resta il fatto che, essendo il legame madre-fi– glio l'unità sociale elementare, è molto proba– bile che siano state proprio le madri a comin– ciare a dividere regolarmente il cibo con i pro– pri piccoli. Se a questo si aggiunge che la ne– cessità di allattare e trasportare un figlio deter– mina, nella donna, la necessità di un maggiore apporto alimentare, si capisce perchè è possibi– le ipotizzare che le donne abbiano avuto un ruolo di particolare rilievo nella scoperta di nuovi sistemi per procurarsi il cibo: sia utensili per cercare, sgusciare e suddividere cibi vegeta– li, sia contenitori per trasportarli. Tutto questo non esclude comportamenti pre– datori, sia dei maschi che delle femmine, per procurarsi proteine animali. E' però più reali– stico immaginan: che ciò sia avvenuto a spese di insetti, uova, animali di piccola taglia e non attraverso una vera e propria attività di caccia, le cui probabilità di successo dovevano essere, a quel tempo, assai scarse. Nè queste attività predatorie avrebbero richiesto lo sviluppo di una tecnologia appropriata, essendo sufficien– te l'uso delle mani o di semplici strumenti come i bastoncini usati dagli scimpanzè per pe– scare formiche. Dunque le donne e i loro figli. E' sempre poco convincente - e spesso fuorviante - cercare di stabilire dei rapporti causali univoci nei pro– cessi evolutivi. Resta dunque ancora largamen– te oggetto di congetture perchè siamo passati alla stazione eretta e al resto. Ma, nel quadro abbozzato qui, può essere plausibile immagi– nare che una tale «scelta» si sia rivelata molto più vantaggiosa per le donne che, in questo modo, potevano trasportare contemporanea– mente il cibo e il piccolo, nonchè avvistare i predatori e difendersi meglio. Un vantaggio -quello di essere buone raccoglitrici e buone camminatrici- che si traduceva direttamente non solo in maggiori possibilità di sopravvi– venZli per sè, ma anche per la prole, quindi in più elevate possibilità di trasmettere quei ca– ratteri. I maschi invece, in quella fase di transi– zione, non erano in grado di riconoscere i loro figli e non contribuivano alla sopravvivenza della loro progenie come entità distinta dagli altri piccoli della comunità. Il loro principale obiettivo -era dunque la sopravvivenza indivi– duale e il bipedismo aveva valore soprattutto per mantenersi in contatto con le femmine du– rante le loro lunghe escursioni nella savana. Le referenze dei maschi Dal nucleo femmina-figlio, alla inclusione del maschio. Ci sono ricercatori che ritengono che, in alcune specie animali, la scelta del par– tner sia affidata a chi investe maggiormente nei figli. Se questa ipotesi fosse valida anche per gli ominidi di transizione, avrebbero dovu– to essere le femmine ad effettuare la selezione sessuale. «Le femmine -scrive infatti Tanner– probabilmente avevano un maggior numero di rapporti sessuali con quei maschi che si accom– pagnavano più spesso con loro, giocavano con i loro figli, le aiutavano a proteggerli, spartiva– no di tanto in tanto la carne e i vegetali raccol– ti e che, in genere, avevano atteggiamenti ami– chevoli». Così i maschi con queste caratteristi– che avrebbero avuto maggiori possibilità di ri- da "National Geografie", novembre1985 FINE SECOLO * SABATO 1 / DOMENICA 2 MARZO to selezionato, tra i maschi degli ominidi di transizione, è la capacità di essere estremamen– te socievoli, ma al tempo stesso sufficientemen– te aggressivi, in caso di necessità, e quindi l'a– bitudine a compiere sottili discriminazioni a seconda delle situazioni. In questo modo i ma– schi della popolazione di transizione sarebbero diventati più simili alle femmine di quanto non fossero i maschi della popolazione ancestrale». Insieme alla pressione del nuovo ambiente, se– lezione naturale e selezione sessuale contribui– scono dunque a rafforzare alcuni tratti emer– genti -ed emergenti soprattutto fra le donne- di questa popolazione di transizione. Comincia così il «lungo viaggio dell'umanità». Naturalmente il modello proposto da Nancy Makepeace Tanner è molto più complesso e documentato di quanto possa apparire qui. Anche così salta però agli occhi che vi è una differenza di fondo fra immaginare che il cam– mino evolutivo della. specie umana si sia svi– luppato fin dall'inizio, e per qualche milione di anni, avendo al proprio centro la caccia e i•ma– schi che la praticavano e al contrario, pensare che la molla della divergenza ominidea sia sta– ta, e abbia continuato ad essere per milioni di anni, la raccolta, effettuata in particolare dalle donne. Quel primo modello aveva però un ·vantaggio, dava conto, a suo modo, di una se– rie di fenomeni, dall'aggressività umana, alla guerrà, alla subordinazione delle donne, inter– pretandoli come fenomeni intrinsecamente umani, "naturali", come il camminare eretti o la liberazione delle mani. «Gli archivi della storia umana -scrisse per esempio Raymond Dart- grondanti di sangue e traboccanti di stragi, dai più antichi documenti egizi e sume– rici sino alle più recenti atrocità della seconda guerra mondiale, sono in sintonia con l'antico cannibalismo universale, con i sacrifici animali e umani (o con i loro surrogati nelle religioni formalizzate) e con le pratiche, in uso in tutto il mondo, dello scotennamento, della caccia alle teste, delle mutilazioni corporee e della ne– crofilia, nell'indicare in questa sete di sangue, in questa abitudine alla rapacità, il marchio di ' Caino, che distingue l'uomo -sul piano dieteti– co- dai suoi parenti antropoidi e lo associa piuttosto ai più feroci carnivori». Se però, come suggerisce Tanner, la caccia e l'alimenta– zione carnea sono diventate centrali solo in una fase molto più avanzata dell'evoluzione -alcuni studiosi pensano che questo sia avve– nuto in corrispondenza con la glaciazione di Wurm, tra i 100.000 e i 50.000 anni fa- allora quelle spiegazioni non reggono. Si badi bene: non reggono le spiegazioni, perchè è invece in– dubbio che il maschio è cacciatore, è aggressi– vo e continua a voler tenere subordinate le donne. Ma non si può parlare di «natura in– trinsecamente umana», intesa come inestrica– bile intreccio primordiale fra il «successo evo– lutivo» (se così si può dire!) dell'umanità e questi comportamenti. Forse non cambierebbe molto scoprire che non siamo nati così, ma che così siamo diventati. O forse, invece, aiuta. Come scrive Tanner, «noi tutti vogliamo sape– re quali sono stati i nostri antenati, qual é stata la nostra origine e, nel vero senso della parola, che specie di esseri siamo diventati». Il suo li– bro, in questo, é molto stimolante, anche nel lasciare aperti numerosi interrogativi. Spero che questo 'riassunto' vi abbia fatto venir vo– glia di leggerlo. 5

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