Fine secolo - 8-9 febbraio 1986

FINE SECOLO * SABATO 8 / DOMENICA 9 FEBBRAIO ·3. ESILIO La sera si avvicinano gÌi amici, le ombre delle colline. · Oltrepassano lente la soglia, offuscano il sale, offuscano il pane e fanno discorsi col mio silenzio. Fuori nell'acero si alza il vento: Mia sorella, l'acqua piovana in _f~ss~calèarea, · · pngiomera segue il passaggi~ delle nuvole.. · Va' col vento, . dicono le ombre. L'estate ti posa la falce di ferro sul cuore. Vattene, prima che nella foglia d'acero arda lo stigma dell'au!unno. Sii fedele, dice la pietra. L'alba si leva, quand0 luce e fronde · si confondono insieme e il volto svanisce in una fiamma. GLI ANGELI Un fumo, un'ombra si alza, attraversa la stanza, dove una vecchia, l'ala d'oca nella debole mano, spazza lo sporto del camino. Un fuoco arde. Memento mei, sussurra la polvere. N:ebbia di novembre, pioggia, pioggia e sonno di gatti. Il cielo nero e limaccioso sul fiume. Da un vuoto spalancato scorre il tempo, scorre sulle pinne e branchie dei pesci · e sugli occhi gelidi degli angeli che vari giù dietro il sottile crepuscolo con volute fuligginose dalle figlie di Caino. Un fumo;· un'ombra si alza, attraversa la stanza. .Un fuoco arde. Memento mei, sussurra la polvere. Poesie d.i Peter Huchel traduzione di Viviana Finzi Vita OLIVO E SALICE Nella salita ripida di terrazze piene di crepe lassù l'olivo, lungo il margine del muro. lo spirito delle pietre, ancora la leggera marea di grigio argento nell'aria quando il vento volge verso l'alto la pallida superficie inferiore delle foglie. La sera getta la sua rete tra i rami. L'urna di luce sprofonda nel mare. All'ancora ombre nella baia. Ritornano, confuse nella nebbia, imbevute del vapore di canne dei prati del Brandeburgo, le vèndiche madri dei salici, le vecc_hieverrucose dal seno squarciato, sull'orlo degli stagni, delle acque chiuse dagli occhi scuri, i piedi che scavano nella terra che è la mia memoria. · LA CREATURA La lente focale di ghiaccio sottile che nuota nel secchio al mattino indica la posizione del sole. Un uomo in giacca consunta nel cortile in cerchio statico si trascina dietro la mula, la pelle piagata dal collare. Zoppica, quasi avesse un sasso sotto il ferro allentato dello zoccolo posteriore sinistro. Cola il ciuffo di peli sul garretto. Strigliando con un fascio di paglia il fianco della bestia fissa con volto sudato e vuoto i monti. Vede la biada nella cassetta, umida e piena di muffa, assalita dai funghi. Vede la mula dai denti cattivi, i fianchi incavati dalla fame nelle nuvole. Contro il muro fuligginoso dello scorticatoio il sole volge agli inferi. MALERBA Neanche ora che l'intonaco si gonfia e si sfoglia dal muro della casa, che in larghe corde appaiono le metastasi della malta, voglio scrivere col dito nudo nella parete porosa il nome dei miei nemici. I calcinacci che cadono nutrono la malerba, ortiche, pallide di calcina, lussureggiano sull'orlo pieno di crepe della terraz– za. I portatori di carbone che di sera mi riforniscono in segreto di coke, che ceste trascinano allo scivolo della cantina, non stanno attenti, calpestano le enotere. Io le rialzo. Benvenuti sono gli ospiti che amano la malerba, che non rifuggono il sentiero di pietra ricoperto dall'erba. Non ne viene nessuno. Vengono i portatori di carbone, rovesciano da ceste sporche il lutto nero spigoloso della terra nella mia cantina.

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