Fine secolo - 25-26 gennaio 1986
timi decenni del secolo scorso) gli europei si trovarono a combattere contro èserciti che era– no, sì, più numerosi, ma dotati di un arma– mento primitivo e inadeguato. Questo avven– ne, a volte: ma non sempre. Il mercato interna– zionale delle armi era molto attivo !!ià nell'Ot– .tocento: chiunque poteva procurarsele. Gli In- glesi, per esempio, ne rifornivano Abd el– Kader, ribelle ai Francesi. In India, Maratta e Sikh poterono disporre in alcurle occasioni di invidiabili artiglierie, per di più ben governate. Ma in generale, sostiene Kiernan, le armi mo– derne nelle mani di afro-asiatici erano ràra– ·mente efficaci. Poca disciplina, scarso adde– stramento al fuoco, spesso l'assenza di vere strutture statali dietro gli eserciti, erano altret– tanti elementi .dì debole:u.a contro eserciti nu– mericamente scarsi, ma fondati su un'organiz– zaziom:.e una disciplina consolidate da tempo. Dei Dervisci, combattenti· straordinari e tena denzialmente «kamikaze», ma «tjratori impre– cisi ed eccitabili al massimo», si diceva che avrebbero fatto assai meglio se avessero conti– nuato a usare ·le lance. Shaka, il grande capo zulu, fece appunto questa scelta, che gli permi– se alcuni successi. Ingegneria e ca~noniere Ma ·accostiamoci ora separatamente a questi due bei libri. Headrick (che è professore a Chi– cago) tende a sottolineare il raolo che i muta-· menti tecnologici esercitarono sulle varie fasi dell'imperialismo ottocentesco europeo. Lo fa però con molto equilibrio, guardandosi bene dall 'assoluti:u.are la propria tesi o dal sostitui– re all'economia un nuovo «primo mobile». Le sue analisi lo portanQ, piuttosto a cogliere, di volta in volta, interazioni e contraddizioni di– verse tra uomini e tra gruppi, tra interessi eco– nomici, politici e militari, tra mezzi e motiva– zioni. I «casi» che egli presenta sono, ciascuno, di grande chiarezza e interesse per il lettore. Le cannoniere, battelli a vapore a basso pescaggio e armati, permisero agli lngl_!:Si di penetrare nei fiumi, estendendo verso l'intèrno dei continen- • ' ti quel dominio che avevano da tempo in mare aperto o lungo le coste. E tuttavia esse si affer– marono solo dopo aver superato non tanto difficoltà t~iche quanto divergenze politiche . che l'autore puntualmente ricostruisce. La pe– netrazione degli europei in Africa, verificatasi solo nell'Ottocento, e cioè più di tre seèoli dopo che essi ne controllavano_ quasi ovunque li;:coste, fu resa possibile dai chinino. Prima di allora, dissenteria, febbre gialla e tifoide; ma soprattutto la malaria avçvano condotto a morte la maggioranza dei bianchi che si erano avventurati nell'interno. Fucili a retrocarica, a · ripetizione, soprattutto la mitragliatrice . ("arma economica -scrive Kiernan- che per– metteva a forze poco numerose di sottomettere e mantenere sotto~esse grandi popolazioni"), dettero negli anni Settanta agli europei una su– periorità militare che prima non c'era stat:{ o era stata relativamente lieve. L'affermarsi della navè a vapore indusse una serie di importanti conseguenze. Negli anni Trenta, scrivere dal– l'India una lettera in Inghilterra, e ricevern~ ri– sposta, implicava un lasso di .tempo di due anni. Vent'anni dopo, questo tempo si era ri– dotto a due mesi. La rotta del mar Rosso si af– fermò decisamente su quella tradizionale del Capo, che circumnavigava l'Africa. Questa ri– voluzione fu completata dalla costruzione del Canale di Suez, che rese il viaggio da Bombay a Londra interamente marittimo. Ma l'affer– marsi della rotta del mar Rosso spinsé anche gli IngÌesi a impadronirsi di porti nell'Oceano Indiano (principale tra tutti quello di Aden), di cui servirsi come basi intermedie. La conquìsta di Aden, come quelle della Birmania e ~el Pun– jab, furono opera dell'India_britannica, e solo successivamente vennero accettate·a malfocuo– re dal governo britannico. Il possesso di nuovi territori nella penisola araba e in Mesopota– mia (più tardi dello stesso Egitto) dette agli In– ·glesi la possibilità di collegare l'l'1ghilterra, al– l'India mediante un cavo telegrafico sottomari– no che passava da Gibilterra, Malta, Alessan– dria, Suez, Aden, Bombay, sempre sotto con– trollo britannico. Ne derivò una rapidità di comunicazioni (verso la fine del secolo un tele– gramma impiegava mezz'ora) che ebbe conse– guenze strordinarie sull'economia come sulla strategia militare. Era infatti possibilè, ora, ço– gliere quasi istantaneamente, da Londra in In– dia, un'occasione commerciale favorevole, o organizzare -un rapido soccorso reciproco tra le diverse parti dell'impero. (Entro_i primi anni del nuovo secolo tutto il mondo era ormai col– legato da cavi sottomarini.) Nel frattempo, l'affermazione definitiva delle grandi navi a vapore provocava la trasformazione in grandi città portuali di piccole città (o addirittura vil– laggi): Karachi, Bombay, Singapore, Hong Kong, Shanghai. La costruzione in India -;iiun gigantesco sistema ferroviario, «saldo ·eimperi– turo monumento del dominio britannico», ebbe effetti assolutamente sconvolgenti dal punto di vista strategico-militare, perchè per– mise il completo controllo del sub-continente e la mobilità delle truppe un caso di disordini (una· mobilità che era in parte mancata in oc– casione della Great Mutiny-dei sepoy-del 1857). Cavalli e vapore Non meno sconvolgenti furono gli _effetti sul piano culturale ed economico, col favorire la rottura dell'isolamento tra regioni e tra villaggi FINESECOLO * SABATO 25 / DOMENICA 26 GENNAIO e con l'accelerare la trasformazione dell'econo– mia indiana inlesportatrice di materie prime e '""'··,matrice di manufatti britannici. Il diffon– dersi di strade eferrovie nelle colonie ebbe per– sino un effetto[decisivo (e in questo caso, senza ombra di dub~io, del tutto positivo) sulla sorte degli animali qno ad allora ampiament_e usati nèlle operazio?i· belliche. Cavalli, muli e cam– melli (è Kiernan a ricordarlo) avevano cono– _sciuto per de9enni stragi spaventose, per gli stenti o in battaglia: la loro situazione migliorò ~ I . ora radicalmente. Ma ancora durante la Gran- de guerra, ndlla sola campagna dell'Africa orientale (in ura regiòne povera di vie di co– municazione moderne), gli Inglesi persero 50.000 cavalli.I Se Headrick privilegia lo studio delle innova– zioni tecnolomche 'legate all'imperialismo, del ~oro contesto ~otitico e. sociale e dei loro effet– ti, Kiernan studia invece l'imperialismo euro-. peo dal punto tli vista della sua dimensione mi– litare. Storico inglese tra i più noti, Victor G. ,Kiernan ha in~gnato a Edimburgo dopo aver vissuto a lungd in.India. Il suo Eserciti è imperi è un libro a iolte facce. Vi si trova, innanzi– tutto, una storia militare delle conquiste èolo– niali, dagli inizi del-secolo scorso fino alle indi– pendenze e al [tramonto degli imperi europei. Ma Kiernan nr,n è attento solo alle battaglie e all'evoluzione tlegli armamenti. Grazie all'uti– lizzazione di uh insieme assai vasto e vario di fonti, egli riesce a dirci chi erano; in concreto, i conquistatori, bome si svolgeva la loro ·vita in colonia, quali iontraddizioni dividevano i fun– zionari coloniali dai rispettivi governi, _quale cultura stava llla base delle cQnquiste, chi ne sopportava il tosto, in che modo il coloniali– smo incideva ~ulla mentalità della gente nella stessa madrepktria. Pagine interessanti sono dedicate persirto a raccontai,-e la nascita (an– ch'essa coloniJle) dei moderni corrispondenti di guerra, chJ Lord Wolseley chiamava "la maledizione degli eserciti moderni" e conside- .rava inutili parassiti che consumavano il ran- cio senza far nhlla per meritarlo. Come si può vedere, sarebtx/ impossibile entrare qui _nelme– rito di questi temi. Basti qualche spunto. Una sol!ataglia · · . i~battibf le . Kiernan insiste particolarmente nella descri– zione dei colo,iziatori. Gli ufficiali erano at– tenti alle càrriere, appassionati di uniformi e di medaglie, di cabce e di polo, nella grande mag– gioranza incolt~, privi persino d'interesse (se si eccettua una diffusa sensibilità al fascino sotti– le dell'Oriente)[per i popoli su cui dominavano e per le loro culture. Quanto ai soldati, erano spesso la fecci1 della società e dell'esercfto: le guerre coloniali erano anche un modo per al~ 3 lontanarla dalla Francia o dalla Russia o dal– ·r.Inghilterra. ("Fu con tali rappresentanti della · èristianità -scrive Kiernan: che i popoli afro- asiatici vennero troppo spesso .in contatto".) Decimati dalle malattie più che dalle battaglie, questi soldati conducevano una vita, oltre che pericolosa, rozza,e limitata, alleviàta ·solo dal- . l'alcool che li aiutava a vincere noia, àngosce e scrupoli morali. Tuttavia, disciplina, patriotti– smo e orgoglio razziale li univano ai loro uffi– ciali e ne facevano uno strumento di conquista e di dominio che rimase a lungo irresistibile. Nessuno storico è. riuscito ancora a spiegare adeguatamente questo fenomeno, di un nume– ro limitato di uomini che conquistava imperi lontani, spesso addossando i costi delle sue guerre ai popoli conquistati e arruolando nei · propri ranghi una parte dei vinti. Kiernan insi- · ste anche sul retro-effetto di imbarbarimento èomplessivo che le conquiste.ebbero sull'Euro– pa. Ufficiali addestrati neJle guerre coloniali furono poi chiamati a rtj>rimere in patria le lotte operaie. La tortura poliziesca fu un rega– lo fatto all'Europa dall'espebenza coloniale. E tuttavia, anche sul piano militare, l'imperiali– smo europeo dette vita· assai presto ai suoi fu– turi affossatori. Si pensi solo a queste cifre: nella prima guerra mondiale furono impiegati 1.300.000 soldati indiani (sarebbero diventati due milioni e mezzo nel '45). Guardando alcu– ni soldati senegalesi a Marrakesh, nel 1938, George Orwell si chiedeva: "Quanto tempo ci vorrà prima che girino i loro fucili nella dire– zione opposta?". Sappiamo tutti che questo è av~enuto. In qualche modo, conclude Kier– nan, le guerre còloniali "stanno ancora conti– nuàndo". Per lo meno, noi viviamo oggi in un'epoca sulla quale il rìcordo (e le conseguen– ze concrete) dell'imperialismo continuano a pesare. Dimenticarlo, in nonie di ùn proprio bisogno di "decolpevolizzarsì", significherebbe in realtà condannarsi a rion capire l'evòluzione del mondo che è in atto sotto i nostrì· occhi. Anche se, occorre subito aggiungere, l'eredità del colonialismo non può spiegare tutto da sola. Un esempio? Per molto tempo gli stoi:i~i hanno attribuito la responsabilità del conflitto tra indù e musulmani, sfociato nei grandi mas– sacrj del '47 ma anche nei "minori" massacri dei nòstri giorni, alla politica di divide et impe– ra degli Inglesi. Una spiegazione che non reg– ge, per la semplice ragione che il conflitto pre– cedette di secoli (con punte ·spesso sanguinose)· l'arrivo dei primi inglesi in India. Ci troviamo qui di fronte a U1;1a delle numerose "permanen– ze" storiche profonde cqe riemergono nel mo– mento in cui la parentesi si chiude. Quello che si può dire è che le forme in cui queste "perma– nenze" (per fare un altro esempio, le tendenze espansioniste dell'Islam) riemergono oggi, ri– sentono più o meno fortemente dell'esperienza coloniale e delle frustrazioni da essa provoca– te. E' ovvio che in un libro, come quello di Kiernan gli Inglesi facciano la parte del leone (e gli Inglesi in India più che mai): sia per la nazionalità e la biografia dell'autore, sia so– prattutto per l'obiettiva preminenza del colo– nialismo britannico. Ma Kieman dedica anche molta attenzione-alla Francia, alla Germania, all'Italia, alla Russia (che proprio nell'Otto– cento soggiogava le attuali "colonie interne" dell'URSS). Non tutte le parti del suo lavoro ~ono ugualmente originali· e soddisfacenti: si vorrebbe sapere qualcosa di più su qualche tema pur, toccato, come la vita quotidiana nel– le colonie o la letteratura influenzata dal colo– nialismo. (Quest'anno, del resto, si parlerà moltissimo di Kipling). Ma nell'insieme, sia il libro di Kiernan sfa quello di Headrick sono ricchi e stimolanti, vivaci, di lettura piacevolis– sima ançhe per un lettore non specialista. Pro– prio per questo, a maggior ragione dispiace di dover lamentare la deplorevole qualità della traduzione. Potrei fornire molte "perle", ·ma preferisco non tediare inutilmente i potenziali lettori (molti mi auguro) di questi libri. Mi li– mito a suggerire di usare cautela e pazienza, · ma anche di non lasciarsi scoraggiare: ne vale veramente la pena. ·
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