Fine secolo - 14-15 dicembre 1985

Questa foto e quella della pagina a frontesono di Jane Bown, 1952. se non imitiamo la clemenza di Cristo», scrive il Castellione. Il cristianesimo è imitazione di Cristo, non discussione sulle dottrine; Castel– lione afferma di odiare gli eretici, ma di consi– derar.: sommamente contrario al cristianesimo che qualcuno ven!!a fa,tto oggetto di violenza, come un de.lmquenLeo un sedizioso, in nome della difesa dell'ortodossia. «Cristo e gli apo– stoli... non avevano perseguitato nessuno ma erano stati perseguitati da tutti»: e finchè era durata la persecuzione era sopravvissuta anche ·la vera Chiesa. Ora, le C<?se sono cambiate: nessuno si occupa più di imitare Cristo e tutti sono impegnati nella caccia agli eretici. La polemica contro l'usq della forza in materia di religione dettò al Castellione alcune delle sue pagine più giusta– mente celebri: molte di queste però non faceva– no che riprendere e portare alle estreme con– clusioni la tradizione antica secondo la quale la coercizione esteriore nulla. poteva in materia di convinzioni profonde (solo volontariamente si può credere, «credere non potest homo nisi volens», aveva scritto S.Agostino). Ma nello scritto sul caso di Serveto di avanzò una pro– posta ben altrimenti innovativa: la riduzione della religione a prassi morale e il rifiuto della discussione teologica come moralmente irrile– vante e sostanzialmente incapace di approdare a una verità indiscutibile, finivano col portar fuori dal cristianesimo in quanto religione sto– rica. L'eretico diventava irriconoscibile con· criteri oggettivi, nel senso che la molteplicità delle accuse d'eresia finiva col vanificare ogni tentativo di fornire dell'eresia stessa una preci– sa caratterizzazione. L'erètico è, in sostanza, solo la proiezione dei nostri pregiudizi: «Nous estimons hérétiques tous ceux qui ne s'accor– dent avec nous en notre opinion». Il buon cristiano e il turco La _relativizzazionedella verità tèologica è qui esplicita; essa ha preceduto di qualche decen– nio la relativizzazione del concetto di «barba– rie» fatta da Miche! de Montaigne con parole molto simili («chacun appelle barbarie ce qui n'est pas de son usage»). In ambedue i casi, l'a– pertura degli orizzonti europei e il confronto con altri popoli sembrano essere stati solo un incentivo estemq_ad una critica di se stessi av– viata dall'interno. Nel caso di Castellione, del Curione e di quanti si riconoscevano nelle loro affermazioni la cosa appare evidente da un in– dizio infallibile: il confroqto fra cristiani e altre religioni e in particolare tra cristiani e turchi. Se prendiamo gli scritti di Erasmo sulla que– stione turca, non è difficile scoprire che il più efficace difensore di una concezione del cristia– nesimo fondata sulla mitezza e sulla non vio– lenza non esitò a sostenere la liceità e la neces– sità di una guerra contro i turchi (dei quali di– pinse un'immagine truculenta); secondo Era– smo, i cristiani dovevano però ritornare ai veri caratteri della loro religione per poter vincere un confronto che non era solo militare. Le sconfitte militari, anzi, si spiegavano proprio col venir meno dell'assistenza divina al suo po– polo che si era andato abbassando al livello dei Turchi («Turcae pugnamus cum Turcis», era l'addolorato commento di Erasmo). Con l'ap– profondirsi delle divergenze religiose tra cri– stiani, tuttavia, le differenze coi Turchi non sembrarono più così radicali e finirono anzi con l'apparire mi~ri di quelle che separavano tra di loro chiese e~tte cristiane: «... I cattoli– ci, i luterani, gli zwingliani, gli 'anabattisti... si perseguitano a vicenda più di quanto facciano i turchi nei confronti dei cristiani». L'esplodere dei contrasti inteny finiva dunque col far ap– parire secondario la barriera secolare di odio e di paura eretta nei confronti del nemico ester– no, col quale si scopriva anzi di avere in comu– ne un dato basilare di fede religiosa: il mono– teismo. («...I turchi ...credono nel Dio del quale scrisse Mosè, e in ciò senza controversia con– vengono con giudei e cristiani: fino a questo punto la fede di queste tre nazioni ·è comu– ne...»). Dalla riflessione sugli effetti laceranti dell'uso della violenza in materia di religione nasceva dunque anche un uso nuovo dello specchio offerto dai «divèrsi>>per eccellenza (turchi ed ebrei, appunto): riflettendosi in loro, nelle regole dèlla loro società - ai Turchi furo– no dedicati allora i:eportages assai numerosi - si imparava di riflesso a conoscere e a criticare gli usi aberranti delle proprie. Ne derivava di conseguenza Ùn desiderio di maggiori cono– scenze e di un diverso modo di porsi reciproca– mente: «I Giudei o i Turchi non condannino i Cristiani, e a loro volta i Cristiani non disprez– zino i Turchi o Giudei, ma insegnino piuttosto e conquistino con la pietà». Come si vede, anche in questo appello ad,eli– minare le barriere dell'odio, il rapporto tra i cristiani e gli altri non è ancora di parità. Tocca anco·ra ai cristiani insegnare e conqui– stare gli altri, se non con le armi almeno con la superiorità morale. Con questo si rende evi– dente un carattere non secondario e, da un cer– to punto di vista, un limite non da poco della proposta umanistica di tolleranza religiosa. Sono almeno due i limiti rintracciabili in una proposta di cui non si può certo negare l'im– portanza e il coraggio. Il primo riguarda l'am– piezza e l'applicabilità• all'interno della società cristiana del metodo della mitezza e della non violenza, identificato come l'unico che poteva consentire di superare i problemi del dissenso religioso. Ebbene, la validità della proposta era esplicitamente limitata ai reati di eresia, fermo restando che la pena di morte - ·nellefor– me crudelmente spettacolari, «esemplari», tipi– che dell'epoca, doveva continuare ad essere applicata agli altri tipi di delitti-: (...) Ammettere la liceità del ricorso alla pena di morte da parte dei magistrati cristiani apriva una falla .nella dottrina umanistica della tolle– ranza: lo si vide qualche anno dopo in..modo esemplare quando il predicatore Tobias Egli, FINE SECOLO* SABATO 14 / DOMENICA 15 DICEMBRE discepolo di Bullinger, oppose a un interlocu– tore (che citava la parabola della zizzania per negare al Consiglio di èoira il diritto di punire un eretico) un sillogismb così articolato: i ma– gistrati debbono puniry con la spada i malfat~ tori; gli eretici· sono dei malfattori («male agunt»); ergo, i niagisfrati debbono punirli con la spada (...). ' L'altro limite aella concezione umanistica del– la tolleranza è, come si è accennato, rintraccia– bile nel rapporto instaurato tra l'Europa cri– stiana e gli altri. E' pur vero che l'insistenza sui diritti della coscienza retta e l'accentuazione della morale a scapito della teologia portavano a un atteggiamento di tendenziale rivalutazio– ne degli elementi di morale naturale presenti nelle religioni non cristiane. Tuttavia, il segno sotto cui tutto ciò era posto era quello della vocazione europea e cristiana alla unificazione del mondo. L'idea della creazione di «un solo ovile e un solo pastore» fu allora una delle più' tenaci presenze nelle rappresentazioni mentali del futuro in ambito europeo: predicatori, pro– feti, visionari annunciarono ripetutamente il prossimo avvento di un'età felice in cui non solo i Turchi ma tutti gli abitanti del mondo si sarebbero convertiti alla vera religione. E' noto quanto un'attesa di questo genere abbia sorretto l'espansione europea nel mondo, da Cristoforo Colombo in poi (.,.). · In conclusione: l'improvvisa enorme crescita dei roghi e della «zizzania» da bruciare aveva posto oggettivamente il problema della vali– dità di regole antiche e aveva scosso il senso di identità del cristianesimo europeo; tutta una costruzione plurisecolare, fondata sul rifiuto di cittadi~anza al dissenso dottrinale e sul più chiuso etnocentrismo, doveva fare i conti con una realtà improvvisamente irriconoscibile. Il volto intollerante del cristianesimo si rivelò al– lora su larga scala, con tratti che si.riflettevano 19 identici da una cittadella all'altra dell'ortodos– sia, ormai frantumata in più~hiese. All'interno delle singole chiese, l'intolleranza poté essere teorizzata e praticata senza prob_lemi.(...) Ma all'esternò - si trattasse. delle frontiere di ciascuna confessione cristiana o delle più am– pie frontiere europee - l'intolleranza non era praticabile: o perché i rapporti di forza non consentivano di aggredire e cancellare gli «ere– tici», insieme agli «infedeli» e agli «idolatri», o perché la morale cristiana della mitezza si of– friva come uno strumento più efficace della teologia cristiana dell'intolleranza. Ecco dun– que affacciarsi la necessità di stabilire regola– menti provvisori che permettessero di rinviare . lo sconfro armato ad altro tempo e di soppor– tare intanto le differenze che -teologicamente . apparivano intollerabili. Ma, sul piano di una soluzione non provvisoria, l'unica proposta che si affacciò allora, come veramente alterna– tiva alla guerra santa, fu quella di una modifi– ca profonda dello statuto del cristianesimo tale da rendere secondarie le divergenze dottrinali a vantaggio dell'accordo sulle norme morali. ( ... ) Dissimulazione e tolleranza C'era un'altra possibilità: che non si apparte– nesse a nessuna ortodossia e che pertanto non fosse· necessario fingere ininterrottamente e cambiare e adattarsi di continuo. Questa possi– bilità si realizzò, nell'Europa del '500, in una misura che è ben difficile precisare, per la stes– sa natura del fenomeno, ma che certo fu signi– ficativa. Ebbene, è proprio per opera di chi teorizzò e praticò la simulazione e la dissimu– lazione in mat\!ria di fede che si ebbero le for-· mulazioni più \!Splicite della tolleranza. Qual– chi! esempio: nella discussione sull'uso, della forza in materia di fede era ammesso in genere il diritto del magistrato cristiano di ricorrere alla pena di morte in determinati casi. Il fran– cescano spagnolo Alfonso de Castro, suò as– sertore, si soffermò tuttavia a discutere il testo di un avversario nel quale intuì la presenza di un argomento radicale, quello del rifiuto totale jdel ricorso alla pena di morte: era un testo di Otto Brunfels, dedicato alla questione della tolleranza (De antichristianis tolerandis). Qui non ci si limitava a negare l'utilità della pena di morte, come fece più tardi Castellione (con la celebre espressione: «Uccidere un uomo non è difendere un'idea, è uccidere un uomo».): si insinuava, con un accorto uso dei passi della Bibbia, eh~ il fatto stesso di uccidere fosse di per sé anticristiano. Ora, Otto Brunfels fu un convinto sostenitore di una concezione tutta spirituale e interiore della religione, al punto di rifiutare tutte le chiese esistenti e di teorizzare la necessità della simulazione e della dissimula– zione. Altri, cmpe lui, davanti allo spettacolo della violenza sanguinaria del cristianesimo uf– ficiale, si convinsero che le pretese di verità delle varie chiese non avevanQ fondamento e si disposero a vivere sìmulando idee che non ave– vano e dissimulando quelle in cui credevano. ( ... ) Del resto, una delle più precoci testimonianze di uso del termine tolleranza nella forma astratta si trova proprio in un contesto del ge– nere: fu Erasmo da Rotterdam a còniare l'e– spressione «extrema tolerantia» per descrivere una situazione immaginaria sommamente an– gosciosa: quella di una definitiva vittoria dei «barbari>>Turchi e della necessità per i cristia– ni di vivere sotto il loro giogo. Ai cristiani che si fossero trovati in quella condizione egli pro– poneva nient'altro chè una divisa di questo ge– nere: simulare l'obbedienza, dissimulare in cuore la.vera fede («...sit hoc extremae toleran– tie, foris servire barbaris, intus Christum ser– vare in pectore»). Come si è visto, questa prati– ca della tolleranza dal basso doveva trovare at– tuazione non tra i barbari ma nel cuore della civiltà cristiana europea.

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