Fine secolo - 19-20 ottobre 1985
tativo riformistico di governo, senza un con– senso largo della opposizione sociale e politica. Nel 1968/76 si consuma la grande sconfitta di un riformismo di governo e di un riformismo di opposizione. Mentre il paese cresceva sul piano dell'acquisizione non solo di vantaggi sociali, ma in consapevolezza della crescita di diritti, grandi movimenti di liberazione erano venuti alla ribalta della storia italiana all'inter– no di un involucro fragile di democrazia. Perchè la democrazia italiana viveva in questa consapevolezza della sua fragilità, e quindi– non creava le condizioni del ricambio: questo è il punto centrale della società italiana. Quando una democrazia non ha le condizioni di un ri– cambio nel suo interno è una democrazia fragi– le che subisce i rischi delle suggestioni reazio– narie della destra e ribellistiche della sinistra. Questo è il punto in cui il sistema politico ita– liano deve fare chiarezza e ancora oggi vivia– mo in questa difficoltà. Una democrazia robu– sta è una democrazia che accetta le condizioni del ricambio, che coinvolge la generalità delle forze sociali e politiche del paese nella prospet– tiva del cambio e del ricambio di governo del paese. E allora nel 1968/76 non a caso avven– gono movimenti forti nella sinistra che surri– scaldano l'atmosfera, ma dall'altra parte vi sono tentativi di comprimere lo sviluppo della democrazia italiana, e non a caso è proprio quello il periodo delle grandi intrusioni nella democrazia italiana di forze esterne, nazionali e internazionali, di condizionamenti, di poteri paralleli, la regolamentazione anche def con– flitto 'sociale e politico attraverso la regola– mentazione degli opposti estremismi, della uti– lizzazione di forme di terrorismo, sul versante della destra e della sinistra. Non vi fu una grande risposta riformistica nella società italia– na, e in effetti nella società italiana la risposta riformistica è la risposta che coinvolge la gran parte del paese e che rappresenta il punto più alto della rivoluzione possibile. E allora sono state covati nell'area della destra rigurgiti rea– zionari, nell'area della sinsitra sono rinate for– me di diperazione che hanno portato, non lo dico per giustificare, ad esasperazioni e a vio– lenze, ma oggi noi non possiamo affrontare quel tema nè sotto l'angolo semplice delle co– municazioni giudiziarie o delle ragioni umane, ma affrontando il tema politico. Possiamo creare le condizioni di una democrazia forte nel nostro paese: il primo corollario è la pàcifi– cazione generale nazionale, che chiude una vi– cenda che è propria della democrazia fragile ed apre la prospettiva invece del ricambio demo– cratico nella società italiana. Ecco perchè io dico queste cose avendo un passato di chi non ha mai civettato con i movimenti insurreziona– li di destra o sinistra. Anzi io devo dire una cosa: che ho molto criticato non chi era nei movimenti, ma chi al di fuori dei movimenti ci– vettava con questi. Io ho visto uomini di go– verno agli inizi degli anni '70 che dismettevano l'abito degli uomini di governo e la domenica erano alla testa dei movimenti antifascisti nelle piazz.e dev~ guida_vano i giovani. Non ha im- portanza chi. Io ho conosciuto Capanna all'i– nizio degli anni '70 al congresso nazionale del– la FGSI. Capanna parlò a modo suo espri– mendo le sue idee: io non criticai Capanna, cri– ticai quelli che volevano sopravanzare Capan– na nel congresso della FGSI. Io dissi "Capanna sa bene ciò che fa e ciò che dice, for– se ha una funzione democratica importante di canalizzare e di fissare sul terreno democratico e istituzionale le proteste disperate della so– cietà italiana. Quello che è grave è che gli altri non facciano il loro mestiere, che è quello di affrontare la questione della crisi della soci.età riformistica italiana." Questo è il tema della mia riflessione e può essere quello della rifles– sione collettiva della sinistra italiana sulle sue occasioni sprecate. Dopo il '68 viene sconfitto il riformismo di governo perchè non-ha.base di massa. E perchè viene sconfitto il riformismo . di opposizione? Perchè era caduto nell'interno della spirale della concezione della democrazia fragile, e quindi della compromissione sociale e della moderazione e non del riformismo. Fu la grande responsabilità della politica dei comu– nisti, moderati e non riformisti. Ma la modera– zione sociale a metà degli anni '70 confligge con le condizioni nuove dello sviluppo della società italiana. Lo sviluppo della società ita– liana non crea occupazione, entra in crisi, ed è una crisi di lungo periodo, quella che poi viene chiamata crisi dello stato sociale che poi è una crisi di cambiamento degli equilibri di fondo della società italiana. Quindi l'incapacità del riformismo di governo di_avere basi di massa e del riformismo di opposizione di cogliere ,gli elementi della democrazia conflittuale nella so– cietà italiana sono le ragioni che hanno fatto nascere negli-anni '70 la grande instabilità. E la grande instabilità è un fenomeno che si presta molto al gioco della destra, dei reazionari, agli interessi esterni ed interni; ricordate che sono state scritte anche a sinistra, anche dal movi– mento, pagine importanti di studio e di rifles– sione su quello che è stato l'utilizzo del feno- . meno eversivo da· parte dei servizi nazionali e internazionali, e come questi servizi hanno po– tuto utilizzare questi strumenti. Ed oggi, in una situazione di grande delicatezza che ri– guarda non solo il nostro paese ma il bacino interno nel quale noi siamo chiamati ad espri– mere le nostre ragioni politiche, stiamo attenti: che può nascere una situazione di grande diffi– coltà. E se non vi è una grande riflessione nel sistema politico italiano e nella sua sinistra: che la democrazia deve essere più robusta e deve accettare le condizioni del ricambio, e che nell'interno della sinistra una riflessione sulla trasformazione riformistica, non violenta, del– la società, è la strada unica, noi ci troveremo di fronte ad altri brutti pericoli. Foto T. D'Amico FINE SECOLO* SABATO 19 / DOMENICA 20 OTTOBRE Vittorio Alllerl, Francesco Bellosl, Enzo Fontana, Gabriele Grlmaldl, Sebastiano Masala I piediper terra 19 Vorremmo dire la nostra sui problemi suscitati dal caso Ramelli. «La violenza è», titolava un foglio della sinistra extra-parlamentare duran– te l'autunno caldo. Non un giudizio di valore, ma una constatazione di fatto. La violenza era, nelle cose, nelle lotte, nelle te– ste. Ma violenza e lotta armata non sono mai state la stessa cosa. Tra il servizio d'ordine più tru– culento e le formazioni armate, tra il gruppo più massimalista e le organizzazioni comuniste combattenti la differenza non è mai stata quantitativa, ma qualitativa. Politicamente, una differenza netta, nonostan– te i tentativi di fare.apparire il contrario. Ma moralmente? ·ç-è forse più giustificazione morale in un omicidio a colpi di spranga che in un omicidio a colpi di pistç>la?C'è forse meno violenza in un agguato con le chiavi inglesi a un ragazzo di diciannove anni che in un atten– tato a mano armata? Non è certamente facile rispondere a domande come questa. Anche pei-chè i servizi d'ordine, nati cpme strumento di autodifesa antifascista e contro le cariche della polizia, restarono imbrigliati nelle dinamiche stesse dello scontro e il concetto di autodifesa si dilatò, sotto l'incalzare degli eventi, fino a perdere il significato originario. Non bisogna dimenticare che se per molti gruppi della sinistra rivoluzionaria chi faceva la lotta armata veniva considerato ·«un compa– gno che sbaglia», per molti militanti dei servizi d'ordine chi faceva la lotta amata diventava progressivamente un punto di riferjmento. ~on si capirebbe altrimenti perchè interi spez– zoni dei servizi d'ordine siano confluiti poi in organizzazioni comuniste combattenti: più dif– ficile che scelte del genere _venisserofatte da al– ti:i settori di lavoro politico come la commis– sione fabbriche e di quartiere. Noi siamo stati sconfitti: una sconfitta umana prima ancora che politica, politica prima anco– ra che militare. Uno shock (e lo diciamo ora senza ironia) che ci ha permesso di rompere fi– nalmente il guscio del conformismo e di supe– rare quel rigido schema di comportamenti retrò, legati alla nostra particolare esperienza. Ma è veramente solo nostra questa sconfitta? O le fughe all'indietro che noi abbiamo fatto, alla ricerc_adi vecchie risposte nei confronti di una trasformazione sociale i cui contenuti es– senziali ci sfuggivano completamente, sono state solo la manifestazione più evidente ,di una generale incapacità della sinistra a cogliere il nuovo? Il caso Ramelli e il recente dibattito sugli anni '70 hanno sollevato il nostalgico velo della memoria di avvenimenti, entusiasmi, ingenuità e ricordi di un tempo che fu anche il nostro. Avvenimenti e tensioni etiche che han– no inciso sulle storie personali e collettive. La ricchezza delle problematiche originarie (il '68, l'autunno caldo) venne progrèssivamente meno e tutto proseguì per forza di inerzia, in– canalato, a colpi di stragi, nella paranoia del colpo di stato e della dietrologia. Un mondo intero stava cambiando sotto i nostri occhi; la composizione di classe ne sarebbe uscita radi– calmente modificata, l'emarginazione allarga– ta, il neocorporativismo vincente. Ma niente di tutto questo veniva captato dalla sinistra. Eroina, rifugio nel privato e crisi della militan– za furono i sintomi di un disagio che investì l'intero movimento. Sopravvissero gli interessi di ca~ta e le strutture, orinai vuote, -in virtù di dinamiche interQe.
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