Fine secolo - 7-8 settembre 1985

FINE SECOLO* SABATO 7 / DOMENICA 8 SETTEMBRE LAPOETICA DEI ,I/UCCEi J,I NO .,_____________________________ di Giovanni GIUDICI _______________ .;;.____________ -t M i hanno detto che in un certo film che ha incontrato molta fortuna fra i giovani (non mi si chieda, per fa– vore, il titolo: purtroppo non vado mai al cine– ma). viene ampiamente citata una poesia (non mi hanno detto quale) del poeta americano Robert Frost. La notizia mi ha gradevolmente sorpreso: forse a càusa del suo positivo contra– sto con l'immagine vegliarda che di Frost ho ·sempre in me conservato; e poi anche perchè potrebbe essere il segno di un rinascente inte– resse per-un autore che, forse un po' snobbato negli ultimi decenni in quanto poco si prestava ai virtuosismi della critica egemone, è il più grande che la poesia amencana abbia avuto. Frost (che mori quasi novantenne nel 1963) ebbe il singolare, ma forse inevitabile, destino di diventare il poeta nazionale degli americani che non leggevano poesie se non per obbligo scolastico e di essere, d'altro canto, considera– to, magari fin da quando ~ra giovane, una ve– nerabile anticaglia dai pochi, ma agguerriti, ze– latori di tutti gli sperimentalismi novecente– schi. Senza prendersela sempre coi poveri semiologi contemporanei è, del resto, comprensibile che al gusto del letterato medio degli ultimi cin– quanta o sessant'anni l'indice di appetibilità (soprattutto per le chiacchiere che ci si poteva– no imbastire sopra) di un Pound o di un Eliot, - di un Cummings o di un Williams dovesse ri– sultare molto maggiore che quello di un Frost, in apparenza tutto ruralità, regolarità prosodi– ca, lessico quotidiano, volto più al narrare su– gli altri che all'autobiografico, avaro di funam– bolismi dell'inèoscio (forse proprio per quella vena di autentica e controllata follìa e furia che non dovette essere estranea al suo patrimonio genetico): e tutt'al più, quando in vena di astrattezze, propenso a contemplazioni di stcl'– le e deserti, di insetti e piante, di trascurabili creature. E tuttavia, nel secolo che ha visto in poesia il trionfo ormai calante della metafora, questo poeta non di metafore ma semmai di simboli ebbe e continua ad avere una sua forza dirom-· ______ pente. Dicono che fosse un vecchio__ terribik, Un poeta italiano ricordà Robert Frost, poeta americano amato molto dai lettori ma poco _daic_ritici.E spiega il motivo di questo destino: «Sap eva.scrivere poesie per l 'u.so ai. tutti, poesie chf! i R'!e!i a bitua ti a scrivere per i critici e per i loro stessi colleghi n_on sanno scrivere quasi mai» Fermandosi accanto al bosco in una sera di neve Di chi sia il bosco credo di sapere. Ma la sua casa è in paese: così Egli"non vede che mi fermo qui A guardare il suo bosco riempirsi di neve Troverà strano il mio cavallino Fermarsi senza una casa vièino Tra il bosco e il lago gelato La sera più buia dell'anno. Dà una scrollata al suo sonaglio Per domandare se c'è uno sbaglio: Il solo altro suono è il fruscìo Del vento lieve, dei soffici fiocchi. Bello è il bosco, buio e profondo, Ma io ho promesse da non tradire, Miglia da fare prima di dormire, Miglia da fare prima di dormire. Traduzione di Giovanni Giudici, da "Addio, proibito- piangere", Einaudi, 1982. ''\:::t~h.· Nelle foto, Robert Frost; a sinistra negli anni '40, a destra nel 1954. addirittura pestifero; dicono c_hestipendiasse negli ultimi a·nni una segretaria incaricata di ri– petergli ogni mattina che era lui il più bravo di tutti; il Senato degli Stati Uniti votava risolu– zioni augurali per segnare i suoi compleanni più importanti; e lui, che si era sempre profes– sato un «conservatore», fu chiamato a dare lu– stro poetico alla cerimonia di insediamento del presidente Kennedy ... Come miscuglio non c'è male. Però sapeva . scrivere poesie per l'uso di tutti, poesie che i poeti abituati a scrivere per i critici o per i loro stessi colleghi non sanno scrivere quasi mai. Per esempio, A Minor Bird (Un uccelletto), che a mio p~rere vale interi decenni di poesia «im– pegnata»: «Proprio ho sperato che volasse via, / E non cantasse sempre davanti a casa mia;// Gli ho battuto le mani dal limitare / Quando non l'ho potuto più sopportare.// Mio in parte il torto dev'essere stato. / L'uccelletto non era stonato.// E qualcosa non va, qualcosa manca / In chi vuol far tacere uno che canta». La traduzione è mia ed è tratta da un volume di poesie di Frost che preparai più di vent'anni fa per l'editore Einaudi; io non conoscevo que– sto poeta, accettai l'incarico come colui che non poteva permettersi il lusso di rifiutare un lavoro, cercai di fare del mio meglio e incappai anche in qualche errore che vorrei correggere se il libro si ristampasse, essendo (forse da lu– stri) e_saurito. Ma forse, ancora oggi e fra tanti libri inutili che si stampano, c'è chi pensa che Robert Frost non sia abbastanza à la page, forse per quel benedetto vizip di chjamare le cose col loro nome che non porta molta fortuna fra i letterati moderni. Le mie proposte di ristam– parlo (o di consentire che un altro editore ri– stampi quella mia vecchia traduzione) n~n hanno sortito che risposte evasive. Avrei dovu– to, forse, dire che un sicuro e attendibile inten– ditore di letteratura come J.L. Borges continua anche lui a ripetere, per iscritto e oralmente, che Frost è grandissimo: non foss'altro che per questo, meriterebbe davvero (Borges) il sospi– rato Nobel!

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