Fine secolo - 13-14 aprile 1985

FINE SECOLO* SABATO 13 / DOMENICA 14 APRILE 30 Sin Kyeong-Lim Nato nel 1935. Il suo primo ro– manzo scritto a 20 anni, "La Dar1zadei contadini", fu proi– bito. Oggi leader della poesia popolare, continua a respinge– re la tradizione nichilista, quel– la del destino accettato. Sono stato allevato in un villaggio isola– to di una regione mineraria. I ricordi del paese natio che custodisco nel più pro– fondo della memoria sono quelli della gente del villaggio al lavoro, delle loro deliberazioni a proposito della festa an– nuale, e poi delle loro danze e dei loro canti, tutti insieme. Diventato adulto, ho capito che tutto ciò dava loro una immensa forza per affrontare la vita. Quando ho cominciato a scrivere poe– sie, ho avuto sempre presenti quei canti della gente del villaggio natio, e la cura di far rivivere nella mia poesia quei can– ti e quelle danze ai quali essi attingono la loro forza per vivere. Perché scrivo poesie? Insomma, per of– frire alla gente di oggi qualcosa che sia una forza e una gioia, e mi sembra che il mio dovere sia di far rivivere e confluire nella mia poesia le canzoni, le danze e tutte le cose nate ad un sol tempo col la– voro, nella nostra vita quotidiana, nel corso dei secoli. CUBA Nicolas Guillen Nato nel 1902 a Camague. Sul suo biglietto da visita: deputa– to, membro del Comitato cen– trale del Partito comunista, presidente dell'Unione degli scrittori. Premio Lenin per la Pace. Sulla carta, la poesia meglio ritmata del movimento afro-cubano degli anni '20 e '30. A Cuba noi abbiamo rivolto lo sguardo con una nobile curiosità verso la nostra tradizione letteraria, cpe corrisponde al– i' opera degli scrittori più progressisti del secolo XIX, e in generale verso ciò che elaborò in fatto di arte la classe econo– micamente più sviluppata della società cubana, che, in modo tacito o esplicito, fondò sulla schiavitù il suo apogeo e il suo prestigio, ma anche su quella for– mata dagli schiavi africani stessi, la cui presenza nell'integrazione nazionale fu sempre dissimulata o negata dai loro sfruttatori. José Marti, l'eroe nazionale cubano, alla vigilia del 1895, ci annunciò che dopo aver vinto la Spagna avremmo do- vuto affrontare l'America del nord. Se non che fu l'America del nord, antici– pandoci, ad affrontare noi, col desiderio di mettere in rotta la Spagna, a vantag– gio proprio, e non di un popolo che ave– va combattuto duramente pressoché per un intero secolo per la propria l'ibertà. Così le generazioni letterarie cubane nacquero oppresse dal lancinante pessi– mismo che danno i grandi insuccessi, i cataclismi morali irreparabili. Per que– sto la nostra rivoluzione non é stata solo contro il politico, l'economico, il sociale che erano marci a Cuba, ma an– che contro ciò che vi era di corrotto nel– la cultura cubana a causa della vicinan– za imperialista. Ecco il cammino che noi abbiamo co– minciato a percorrere. Stiamo facendo i primi passi, ma sono passi sicuri. Cuba e l'America sperano di essere studiate, difese, presentate, secondo il loro lin– guaggio spirituale e non secondo un 1 in– guaggio preso in prestito o in affitto. Non é la stessa cosa parlare da una trin– cea o farlo in una riunione pacifica e di– gestiva. E chi é colui che non avendo sentito fischiare il piombo né respirato il fumo dei fucili sarà in grado di punire o di perdonare, cioé di giudicare? Confesso che soffro a vedere il sacrificio di un agnello, ma l'esecuzione di un tra– ditore mi lascerebbe impassibile. Io scri– vo dunque per quelli che non hanno po– tuto scrivere, repressi dal fischio del piombo e dal fumo dei fucili nemici puntati contro i grandi desideri dell'u– manità progressista. GuillermoCabrera Infante Le sue "Tre tristi tigri" resta– no le più magnifiche passeggia– trici dell'Avana decadente di Batista. Perché per un adole– scente nato nel 1929 in un'o– scura campagna dell'isQla, non c~ sono lumi se non da quella città-. Socrate lo sapeva. Interrogare é più fa– cile. Per di più, ci sono domande più elevate di ogni risposta possibile. Tra le altre, "perché scrivi?". Che dire? Esisto dunque scrivo? Ovvero scrivo per viv_ere e vivo per scrivere? O ancora, scrivo perché non so fare altro? Nel mio caso, tutte queste risposte in forma di interro– gazione sarebbero veritiere e menzogne– re. I am the only english writer who wri– tes in spanish. E' una scommessa che mi ha portato alla scrittura. Quando nel 1947 all'Avana ho sentito lodare uno scrittore centro-americano come un fu– turo premio Nobel, mi sono detto in ita– liano "Anch'io sono scrittore". Davanti all'esaltazione di una tal mediocrità, feci la scommessa che anch'io potevo scrive– re se quella roba (designata col dito-) era letteratura. Lo feci. Il racconto, mia pri– ma opera di invenzione, fu accettato dalla rivista più popolare di tutti i Ca– raioi, subito pubblicato, e oltre a quella immeritata notorietà fui ricompensato con uno chèque che rappresentava allo– ra per me una fortuna da Mille e una notte: "Sesamo apriti!". Ci riprovai con un'altra parodia seria (questa volta con un autore americano guarnito di Nobel) e di nuovo fui pubblicato e ben pagato. E' così che sono diventato un professio– nista della letteratura prima d'essere uno scrittore. La scommessa diventò co– stume, il costume mestiere e il mestiere abitudine. Come con tutte le droghe pe– santi. Oggi, junkie letterario, non posso vivere senza scrivere e vivo dello 3crive– re. La fanfaronata degna di Don Gio– vanni si é convertita in un invito eterno ai miei convitati di pietra: tutti gli scrit– tori morti. Io soffro di un male più gra– ve, letterariamente, del senno di poi: soffro del senno della macchina da scri– vere e non posso esprimermi se non da– vanti ad essa, davanti al foglio bianco, che mi sconforta meno dello spirito bianco lontano dalla mia praxis quoti– diana. So che penso all'unisono con i migliori spiriti della mia generazione (quelli che, secondo il poeta, hanno li– quidato la follia: conosco io stesso que– sto inferno, e il mio psichiatra si chiama dottor Caronte [é un personaggio di José Lezama Lima]) ma scrivo con una goffaggine che il mio cervello rifiuta di considerare possibile. E' possioile? Tut– tavia, devo scrivere per poter pensare. Io penso, ma non esisto che nella scrit– tura, nel giro delle frasi, nelle frasi che mi circondano come di una aura.perma– nente. Per me Descartes é un gioco di carte ma anche un gioco d'azzardo. Ecco (quasi) tutto.

RkJQdWJsaXNoZXIy