Fine secolo - 23 marzo 1985

del 1979, operante dal 1981. Ma la cooperazio.– ne italiana ha ricevuto il suo statuto filosofico, per così dire, la sua definizione concettuale, solo con la risoluzione parlamentare dell'8 aprile 1982: dalla critica del modello passato alla dichiarazione della necessità di mettere al centro gli uomini e il loro diritto alla vita, ga– rantito solo da un sviluppo endogeno, "auto– centrato", come si dice. La cooperazione coin– cide col dialogo politico condotto con pari dignità; i settori d'intervento prioritari vengo– no individuati col criterio dell'autosufficienza alimentare: agricoltura, agroindustria, sanità, formazione professionale, energia rinnovabile. Dico subito che all'affermazione di questo im– pianto-concettuale la battaglia di Pannella e dei radicali ha contribuito decisivamente. Per– fino con quella incredibile combinazione di universalismo idealista e di minuziosa spregiu– dicatezza che la distingue. Tuttavia l'azione pratica è ancora ben lontana dal realizzare quell'orientamento. Perché? In primo luogo per l'inadeguatezza della legge del 1979, che faceva i conti con un problema inedito, e che inoltre era nata per un aiuto di qualche decina di miliardi; oggi la brusca ed entusiasmante impennata del nostro impegno finanziario sta troppo stretta dentro quello strumento. Si aggiungano poi le lentezze delle procedure, il frazionamento dei"pòteri, ecc. In secondo luogo, pesano negativamente gli in– teressi imprenditoriali. Molto chiaramente, sa– rebbe infantile immaginare che la mobilHazio- . ne di migliaia di miliardi per la cooperazione, e per di più con l'impiego previsto per legge di materiali di produzione italiana, non suscitasse gli appetiti e le pressioni delle aziende. Non è di questo che si deve scandalizzarsi, ma dei ri– schi che l'interesse aziendale sottometta il pro– getto cooperativo - e non viceversa. Qui è il compito di una buona politica. Quali sono gli strumenti fi– nanziari della cooperazio– ne La cooperazione passa per pochissimi stru– menti. Uno è il "dono", che viene firmato dal dir.ettore generale alla Cooperazione. Uno è il . l~llll1!t1liiflf!t FINE SECOLO e SABATO 23 MARZO Nella paginaaccanto Il presidente della Tanzania, Jtilius Nyerere, con Mario Raffaelli . r33 . ~ ... In l&iso: Goree, l'B>la deglischia- 1 . vi, di fronte a Dakar, la ,-Nt..i.. del :·_.·._;. ,,~ \\:;., "credito d'aiuto", al tasso del 2,25% e per 13- 15 anni, e un periodo di grazia dai 2 ai 4 anni, che viene erogato su proposta del Ministro de– gli Esteri con decreto del Ministro del Tesoro, e controfirmato dal Ministro per il Commercio con l'Estero. Poi c'è il "credito misto", co11:ces– so cioé a tassi in parte equivalenti a quelli com– merciali correnti, intorno ali' 11 per cento, in parte equivalenti al credito d'aiuto, cioé il 2,25%: questo perchè si ritiene che certi pro- ~getti fìnanziariamente molto impegnativi, che non sono interàmente riconducibili alla logica della cooperazione, la coinvolgono però in parte. Per esempio un intervento nel campo della pe– sca, che contribuisca ad accresc~re l'autosuffi– cienza alimentarç del paese cui è destinato. Im– maginiamo un investimento di 60 milioni di dollari, di cui si valuti che per un terzo rientri nella previsione cooperativa: 40 111ilionisaran– no forniti all'l l %, e 20 al 2,25%. È chiaro che il risultato finale è una forte riduzione del tas– so d'interesse complessivo. Questo può funzio– nare come moltiplicatore dei fondi pe.r la coo– perazione, ma anche come un potente strumento di guerra commerciale fra i diversi paes1. Chi aiuta deve fare i conti con chi è aiutato C'è poi il problema, essenziale, dell'interlocu– tore. Nei paesi africani,,e in genere.nel Terzo mondo, si ha a che fare spesso con regimi mili– tari, sempre con regimi più o meno autoritari. Amnesty International non riconosce ad alcun paese africano la qualifica di "libero". Si deve ricordare che per_la legge del 1979 il governo italiano poteva esaminare solo proposte di cooperazione che provenissero dai governi dei paesi beneficiari (con la nuova legge questa condizione é stata positivamente modificata). L'intenzione era di tutelare la trasparenza e il disinteresse degli interventi; in pratica può sue- - cedere il contrario, che la corruzione agisca dove i progetti vengono proposti. Naturalmente, la collaborazione col governo rispettivo è una condizione indispensabile. Di nonna la cooperazione è tanto più efficace w,4'!·' \ .•.·\\. '{ quanto migliore è la qualità del governo con cui si realizza. .,..... La nuova legge.; e il suo grande potenziate - La nuova legge promette importanti migliora– menti. Snellisce le procedure. Permette di con– centrare meglio gli interventi (ciò che altri pae– si hanno fatto da tempo e drasticamente: la Svezia, per esempio, interviene solo in. 7 _paesi): l'interdipendenza fra cooperazione e politica estera è tale che non avrebbe senso una limita– zione ad alcuni paesi a esclusione degli altri. Ma alcune priorità sono necessarie: per l'Ita– lia, si tratta di tre grandi aree soprattutto, l'A– frica Australe, il Corno d'Africa, e il Sahel. Per le prime due, c'è un evidente ragione politica -· sono zone sempre più nevralgiche - e per il Corno d'Africa anche la ragione storica del passato coloniale italiano. Per il Sahel, oltre alta drammaticità estrema della situazione og– gettiva, c'è il vincolo inaugurato con forza già da Emilio Colombo. Ma la vera 11ovità della nuova legge è proba– bilmente un'altra. Finora, per la legge n.38, era possibile l'intervento più strettamente di emer– genza (l'invio di alimenti, di medicinali, di squadre sanitarie, ·come attualmente a Ma– callé) o, viceversa, un intervento per progetti più o meno grandi - una diga, un impianto - caratterizzato da tempi lunghissimi. Fra l'uno e l'altro non c'era in pratica connessione. La nuova legge mira a dilatare l'emergenza e a connetterla con l'intervento di medio e lungo termine, Per "emergenza", anzi, non si intende più solo la catastrofe contingente e imprevedi– bile, l'alluvione o il terremoto, ma, per così dire, la "normalità" stessa che è diventata emergenza, per effetto del logoramento estre– mo del tessuto economico, sociale e fisico; con un'espressione che non sarà bella si è chiamato ciò "emergenza endemica". In sostanza questo vuol dire che si fa èentro sull'aiuto alimentare o sanitario, collegato con interventi a tecnologia semplice e di piccola e media dimensione, orientati a soddisfare biso– gni immediati. Lavori di irrigazione, di forni– tura di acqua, di costruzione di piccole strade . Senegal "'"r-- Madre e fi2lk> in Angola(foto RandiKrom) rurali; lavori che prevedano un risultato - un raccolto - nel giro di un anno e mezzo. O an– che interventi di vaccinazione, di stoccaggio. Si tenga conto che questo tipo di interventi non "forza" chirurgicamente la situazione su cui si inserisce, e anzi agevola un rapporto diretto con la gente - e non solo,coi governi e i gruppi dirigenti. L'impostazione è buona, dunque. I fatti do– vranno arrivare. La politica dell'esempio È già un fatto, comunque - Pannella ha ragio– ne a insistere sull'effetto di contagio - la riso– nanza che il varo della legge ottiene sia nei paesi del Terzo Mondo, sia fra gli altri paesi sviluppati. Dopo che Bush e Perez de Cuellar arrivano faticosamente a proporre una cifra globale di un miliardo e mezzo di dollari di aiuti alimentari, la piccola Italia che si impe– gna per 1900 miliardi "stupisce la Conferenza dell'ONU", come ha scritto il Financial Times. Entusiaste sono state le accoglienze dei paesi africani e basta a misurarlo l'infittirsi degli in– contri bilaterali. E.poi i viaggi si moltiplica– rono Ormai ho visitato la maggioranza dei paes.i africani, alcuni più volte. Dal Mozambico, poco dopo di essere stato nominato sottosegre– tario, avevo ricevuto la lettera di un coopera– tore trentino, l'avevo conosciuto nel '68, non lo sentivo da 15 anni: mi chiedeva se era un caso di omonimia, o ero io davvero. Nello stesso Mozambico ho ritrovato Luis Cabaco, che era anche lui a Trento nel '68, e si laureò in sociologia, e ora è ministro dell'informazione. Mozambico, Angola, Etiopia, Somalia, sono le situazioni in cui per un italiano con la mia sto- . ria il coinvolgimento è più profondo. Prima di andare in Etiopia passai un mese a imbottirmi di letture. Quando ci sono arrivato ero in gra– do di riconoscere tutto quello che vedevo -ma era soprattutto la differenza a colpirmi. L'am– ba del massacro di Dogali, per esempio, che i libri scolastic;i descrivono come una montagna, ed è una cunetta, né più né meno- l!na specie di emblema dell'equivoco tragico del coloniali– smo italiano. Ricordo anche l'impressione del viaggio col mio collega etiopico lungo la stra– da che va da Asmara a Massaua, che piomba in 60 kln. da un 'altitudine di 2.000 metri al 'li– vello del mare, e dai 20 gradi di Asmara ai 50 di Massaua. Quella strada era stata costruita nel 1936 da 12.000 operai italiani, in sei mesi: 700 morirono. C'è ancora una lapide in pie– montese, su un ponte: «Costi quel che costi». Discutevamo senza' riposo, io e il mio collega, di storia dell'Etiopia, di italiani, della regina di Saba, di Giovanni IV e dei mahditi: per me era una discussione appassionante, ma anche un esame. Dauid, così si chiama il mio «vis à vis», alla fine si congratulò con le mie conoscenze: «letture giovanili», risposi modestamente. Avevo finito di leggere all'alba, in albergo. L'Eritrea, e l'Alto Adi– ge ... Dopo la v1s1ta di Hailé Selassié in Italia, il viaggio di Colombo in Etiopia nel 1982 ebbe un'importanza storica. Fino ad allora sarebbe parso impensabile che gli etiopici accettassero di parlare del conflitto con la Somalia, o della questione eritrea, senza vedere un proposito di ingerenza nei loro affari interni. Da allora in poi le cose sono andate lentamente ma decisa– mente avanti, e l'Italia ha trovato un ruolo di mediazione e di pacificazione. E ha potuto an– che francamente dichiarare che la sua politic-1 di cooperazione fa tutt'uno con un program,ma di pace indivisibile per l'intera regione, le sue . . . .

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