la Fiera Letteraria - XV - n. 16 - 17 aprile 1960

LA FIERA AUGURA UNA BUONA PASQUA A TUTTI I SUOI LETTORI LAFIERA LETTERAR 'Anno XV • '· 16 SETTJMANALE DELLE LETTERE DELLE ARTJ E DEDLE SCJENZ Domenica 17 aprile 1960 SI PUBBLICA LA DOMENICA QUESTO NUMERO L. 100 DlRI::ZlUNE, AMMlNlSTRAZlUNE: Roma - Via di Port.a Castello, 13. Telefoni: liedaz.ione 655.48'ì _ Amml01straz1ooe 655.158 • PUBBLICl'lA': Ammmtstraz1one: e L..A FIERA LET'l'E.RARlA a- • Via dJ Poeta Castello. 13 - Homa • TAHlFl•·A: L. l50 al millimetro • A BBONAMENTl: Annuo L ◄.000 • Semest:e L. 2.150 • Trimestre L. 1.100 • Estero: Annuo L. 7.000 • Copia arretrata L. 150 • Spedlzton,. tn conto corrente p0stale (Gruppo Ol • Cont.o corrente postale n. 1 131426 SUGGER/Jl1ENT! E CONFESSIONI * UN TESTO AJ"\'ONil\IODEL '300 * Lauda ella Crocefissione Teatrosenzafrontiere Pianga la terra, pianga lo mare, planga lo pesce che sa notare, plangan le bestie nel pascolare. plangan l'aucelli nel lor volare; Piangano fiumi e rigarelli, piangano pietre et arvoscelli; tutti facciamo pianti novelli, ed io dolente plu che chivelli! Pianga ]o sole, pianga la luna, pianga pianeta onnenessuna, l'aire e lo foco curo faccia bruna siano a lo pianto che s'araduna; Pianga lo bene, pianga lo male, pianga la gente tutta ad uguale; mort'è lo rege celestiale e no de morte sua naturale Mort'è lo lume e ·10splendore, mort'è la manna del gran dulciore d'ambra e moscato mort'è l'odore. de neve e rose mort'è 'l colore; Mort'è lo bello a remirare, mort'è raglioso ad odorare, dolce ad audire et a sapÒrare suavetoso ad abbracciare! O'so ]'apostoli poverilli che Cristo amava più che chivelli so desperati li tapinelli, tristi ed afflitti in loro mantelli- Como filiali Cristo li amava, e la sua mamma raccomandava; che l'ho perduto morto lo grava non meno a mene ch'el abbracciava. Prego el Signore, si po' advenire, che faccia in lagreme convertire l'ossa, la carne, e 'l sangue escire: che chi mal vive ben l'è murire. Unn Passione suggesth-a Fra le tante laudi e rap– pre.senta..:ioni sulla passio– ne di Cristo abbiamo scelto e trascritto que.sta conside– rata fra le più belle del '300, La ripetizione insisten– te del «pianga» all'inizio dei versi nelle prime quat– tro strofe non è solo una elementare forma per la -ricerca del ritmo ma mi pare scandisca con sìncera adesione umana il signifi· cato del dolore cosmico per la mOTte del Redentore. Non Si pUO fare a meno di -ricordare H Cantico di Fra– te Sole; San Francesco in– vestiva le c-reature della sua gioia nel lodare Dio e cosi come il santo d'Assisi nelt'iterazione del « lauda– te» trovava la parola giu– sta e semplice per il suo emusiasmo in questa lauda l'ignoto compositore affida la sua partecipazione do– lente al « planga u chi.a- mando al suo pianto tutte le creature tanto che anche questa risulta un vero pian– to delle creature; z•ma.zio– ne più naturale che se ne può trarre è che abbia. ap– punto, la sua oTigine spiri– tuale dal clima francescano. FOTse istintivamente - per- quanto la laude non ha mai. come hanno avvertito i filologi. soltanto un fondo popolare - l'ignoto laude– se ha raccato anche il si– gnificato totale della Re– denzione come centro della sto-ria misticamente espres– so attraveTso il richiamo a tutte le cose del creato. La parte centrale si fer– ma alla figura di Cristo di cui è data un ingenuo di– segno non privo di qualche suggestione cosi come l'ac– cenno agli apostoli. " tristi ed affli.tti nei. lcr mantelli>, bada sopr.atutto alla forza immediata e visiva. VALERIO VOLPINI Eugenio Dragutescu: Venerdl santo ad Assisi. (La pagina 6 è interamente dedicata a dìsegni pasquali del pittore rumeno) ARTJl§TJ[ JOJl JlERJl :E DJl O<Gl-Gll * Il • sacro 1n Rouault Ogni qualvolta il senti· mento tragico della vita si colloca al centro di una meditazione sull'Arte, si ba quasi sempre un ritorno alla visione cristiana del dolore e della morte: a quel sentire intenso che fa di un artista il testimone ardente di un mistero che non sarà mai definitiva– mente svelato. Ebbene, con Georges Rouault, la pittu· ra moderna si carica di pe– nombre e di bagliori san– guigni per farsi confessio– ne, squarcio di ten~bra di un mondo che sembra ri– calcare il senso della col– pa. ma si riscatta attraver– so il sentimento dell'asso– luto. Rouault ama e s'im– medesima, fino a soffrire, colla vita. Avverte soprat– tutto la dimensione spiri– tuale che lo lega al dolore di Cristo. La sua poetica è perciò eccezionale, e attin– ge costantemente dalla pietà la sua carica .espres– siva. Non si tratta di una rinwizia alle ricerche più sottili che sono tipiche del– la pittura moderna; ma si tratta· innanzitutto di un ritorno al sacro, a quella religiosità dei nostri tem– pi, che è pur sempre diffi· cile a cogliersi quanto più si adagia sopra una visio- * di JIARl11·0 PIAZZOLLA ne apparente delle cose. Rouault ha colto invece, e in modo pieno· e plastico, la corruzione dell "uomo di oggi e, senza rifugiarsi in poetiche più o meno sibil– line. si è ritirato nella soli– tudine, ha acceso il suo cuore innanzi alle verità cri&.tiane e si è abbando– nato a seguire Gesù lungo le strade, le bettole, i luo– ghi di dannazione che for– mano l'inferno della vita contemporanea. Con Gesù, anche la pittura ritorna ad essere messaggio; s'illumi– na di un fulgore dimenti– cato; si solleva al di sopra di ogni dramma, facendosi essa stessa dramma. e Gli artisti soggettivi sono guerci, ma quelli og– gettivi sono ciechi. L'intel– lettualismo del XX secolo è una morfinomania cere– brale. Io aon credo né a quello che posso toccare né a quello che posso vedere. Credo solo a quello che non posso vedere e che sento•· Credere in quel che si sente, ecco rintracciato l'impulso originario su cui si fonda la pittura di Rou– ault. Un'arte alta e vissuta fi– no in fondo, come un mi– stero e come una vocazio- ne sempre tesa, allarmata dalla presenza della carità e illuminata da una sorta di sensuale dolcezza bizan– tina. Le immagini di que– sto pittore sono infatti vi– ste in fondo a una immo– bile notte - la notte del– l'esistenza - e avvicinate alla luce per squarci, per !rammenti, come i segni di quelJa antica tragedia eh~ fu consumata da Gesù sul Golgota. A distanza di se– coli, un segreto impeto di misticismo medioevale ri– calca la nebbia del mon– do moderno. Le parole del– l'Evangelo diventano per Rouault i segnj densi e carnosi, a volte quasi in– sangu.inat~ del volto uma– no quale il vizio e la noia hanno sprofondato nella tenebra. Rouault sente il dolore e il peccato dal fon– do del suo cristianesimo sofferto fino a una tenera ossessione. I colori che in- A pag. 3: Un racconto inedito di DO~IENICO REA cidono meglio la sofferen– za saranno quelli che da– ranno luce e buio, come in \Illa vetrata, alle sue !fi– gure, Ma sono figure non de– formate est.e.rnamente, ma logorate nell'anima, come se volessero rivelare sulla tela veccluè piaghe, quel fuoco sepolto che si fa gri– do e pazienza, anelito alla grazia e terrena osses– sione. e Devo lavorare sempre, non per giungere a qual– cosa di perfetto, che i paz– zi ammirano, ma per dar ~eglio a intendere di giun– gere alla fine dell'imper– fezionabile. Quello che mi fa attri– buire all'arte un valore co– sì alto, è il fatto che nella vera opera d'arte c'è una ardente confessione: non dirò enfaticamente e un ri– flesso all'eterno •• ma vor– rei dirlo, per convincere di errore quelli che vedono soltanto uno sforzo com– pletamente esteriore, un riflesso più o meno corret– to di quello che hanno da– vanti agli occhi •· Questo pittore da} tocco potente, che lotta con i co– MARINO PIAZZOLLA (Conttnua"a pag. 2) JlL RECENSORE STANCO * Pe1•ché in p1•iin,1vera si lavora ntcile e Attenzione chiedo al silen– zio e silenzio all'a11e11.zjone •: a questo modo comincia Mar– tin Fierro il suo poema (no– zionale argentino). Per legge– re il quale, e sia anche w, i11- vi10, cercate l'edizione dalla copertura giallo-cromo, tra– duzione e commento di Mario Todesco. edi:. Rebdlato. Ma che ha da dire il re– censore, dopo lo strano, proe– mio? E un'entrata da recen– sore, tanto per non smentirsi. Ha da dire quel che, nell'or– dine della repubblica delle le11ere, olcre a non aver p~e– cedenti non ha nemmeno gm– stificazione. Si può dfre, in– farti, la sta11cheua? A. ~,oce :~11t at,~',~:~:;a dr;7,j~~a:~ la propria stanclle_ua: . ma_ tolto l'abito di t111t1 1 grorm e indossata la veste recenso· ;~~iu~:~~ g];o~~~o,;e::r~e::!~ nali debboi.o sparire, ti sog· gelto deve am1egarsi nell'og– getto, volta a volta . rappr_e– sencato da w, libro di poesia, da uno d1 saggi, da wz ro– manzo na:.,onale o forestiero Sempre baldo, sagace e com· piacente, sempre c~n un sor– riso di umile devo~1one al suo magistero d'informatore li: brario, il recensore non pu~ essere stanco. E se lo è, s1 nasconda, faccia a meno di scrivere, prenda il tram per /a campagna e si distenda recuba111esotto il tetto d'un faggio, in bucolica contempla– zione delle grasse ebeti nubi primaverili. Ma si dà il caso, unico e dunque per questo stesso 110- lel'ole, d1 un recensore stan– co e dichiarante in carta la suo stanchezza. Salto a piè pari la considerazione del pe– ricolo insito in simile affer– mazione: voglio solo sperare che nessun fratello di tortura colga al balzo la palla del– l'occasione, o ne uscird una inflazione di antirecensioni assolutamente improdurt1ve. LA Culwra vuole soldati vi– gili e proni, consapevoli e li– gi all'investitura. Però, non sarebbe uno spasso leggere dopodomani, da qualche par- ~j~j!t!z~~:/:'~°va~z:~:S':t, n:;~ fratello recensore anch'egli, forte del precedente che gli sto preparando, imbarcato f1 ragionare della sua medesi– ma stancheua come fosse 1111 valido argomenio letr1:rario? Spero, in tutta conf1de1~, che ciò non avvenga ma,: non vo"ei essere ricordato, nei secoli, proprio come SO': versivo dell'ordine recensorto costituito. Si sa come è fat- * di PIETRO CU.IATTI to il mondo: uno lavora cen– t'anni a una grande opera e w1 giorno, per sgranchirsi le dita intorpidite, scrive venti righe sulla stanchezza, venti righe legittime dopo tanto la– voro, tonia applicazione: eb– bene, dell'opera sua monu– mentale nessuno vuol sentir dire, nessuno se ne accorge, e invece le cronaclze lettera– rie s'empiono di commenti sulla sua effimera divagazio– ne. LA gloria, dicevo Rilke e si sa, è sempre frutto di alcuni equivoci incrociati. Pa– solini l'Ilo letta e falla sua da gwv011e questa sentenza, e come lui allri, che lavorano d'impegno ad incrociare equi– voci sul loro conto, fiduciosi come Penelopi nell'arrivo ve– Ieggiruzte della gloria. * LA stancheua è un proble– ma culturale solo per scrit– tori alti vi: 11011 vale per nor– mali recensori, burocrati del– la gloria altrui. Quando co– minci questo mestiere, non peggio di tanti altri s'intende, sai quel clte ti aspelta: devi essere presente, attivo, resi– stente all'usura di tutti i fat- tori esterni, dalla famiglia al passo delle stagioni; devi di– ventare oggettivo come una bottiglia e un giornale ra– dio, imparziale come 1l mal– tempo. Eccomi, impltcitameu– te, reo confesso di leso me– stiere, in scandalosa posa an– trrecensiva. Ma è primavera, non c'è niente da fare, è pri– mavera e, scrisse Mann itr Tonio K.ruger: e si sente nel sangue un formi.eolio inde– cente, e vengono a tentare (il recensore: aggiunta persona– le) una quantità di inoppor– ruue sensazio,ii che, appena esaminate, si rivelano roba decisamente triviale e total– mente iuutiliu.abile •· Con rutto questo, come si può biasimare la primavera, l'il– letterata trionfante, e la mi– litare primavera / in divi– sa leggera •? Lo riconosce Kruger-ilAann medesimo alla pagina seguente: • non mi posso risolvere a biasimarla e a disprezzar/a: il fatto è che mi vergogno davantt ad essa, mi vergogno davanti al– la sua pura naturalezza, alla sua fresclteu.a vittoriosa•· • Si lavora male in prima– vera•: seguita Thomas .llam1. che era w1 la1·oratore, e fi- gurarsi io, clze Ilo sempre soghato di morire amiegalo nell 'oc.io , ubriaco di una stanche:za congenita e mo,.... tale, primaverile ed eterna. • Come sono stanco! Muoio di sranclteu.a •, annotò Rim– baud nello « Nolte dell'infer– no •, dall'c oc.iosa giovinezza a 11ato asservita•: la sua, e quella di rntti, anche I po– veri recensori. Non so se qualcuno si è mai accorto cM lo Stancltez..– za è un sentimento ostenta– tamente romantico: i classici non la dimostrano mai, se ne vergognano anzi come di una vacanza immorale, o di una malaltia indecorosa. C tm classico non è mai stanro, mai opaco, mai sciallo, mai sbadato e assonnato. Al più, appisolandosi, sogna Omero in un classico sogno. LA stau– chel,Z.a è moderna. * Perché si lavora male in primavera? ·La domanda è metd mia e Metastasio, di– rebbe Petrolmt, anzi metà mia e metd Thomas Mamt– Touio Kruger, il quale si ri– sponde con questo parados– so: e Perché si sente. E solo 1i11 acciarpane può credere che a chi crea sia permesso • sentire. Ogni artista vero e sincero sorride dell'ingenuità di questo errore.da ciabarto– ni: malinconicamente, forse, ma sorride •· Ciò che non va– le solo per l'artista, ma an– che, •creazione• a parte, per il recensore, questo trionfo letterario dell'inutiUtd : in primavera si sente, npren– diamo da capo, l'inutilitd del– l'opera reccuoria, si sente lo voglia di sentire qualcosa cJie non sia il libro d'un altro dLi recensire con la solita ti– ritera di casti luoghi comuni (magari attentamente rove– sciati) imparati onnai cosl bene clze si potrebbero det– tare in sonno rece,isendo un sogno qualsiasi, anche scol– lacciato, ùnparati e usati si– no alla nausea e alla coper– tura del bilancio familiare. Ridesto a primavera dal– l"1bernale letargo recensorio il nostro schiavo s'acccrge brutalmente di essere un im– portuno alla vita, ai fiori, al– le ragazze alleggerite perico– losamente, ai ragau.i cresciu– ti tutto d'un colpo, più alti d'una biblioteca; e si rifugia nella stanchezza per non but– tare tutto il suo (utilissimo, vitale) armamentario di scar- PIETRO CIMAITI (Contino;-; pag. 2) * di DIEGO FABBRI Il ,wstro Direttore ho dettato per la rivista e Premières • dell'lstilUto lntema.tionale del Teatro - il qua.le l'ha diffuso in lingua france.se , inglese, tedesca e spagnola - l'ar– cic.oloche qui sotto pub– bli.chia.nzo in originale. Sono innanzitutto i temi propri di un autore che danno alle sue commedie una più o meno vasta risonanza intemaziona!e, vale a dire una maggiore o minore traducibilità. Se un tema o un problema interessa il pubblico di molti paesi, state pur certi che gli altri problemi di forma inerenti alla rap· presentazione passano in seconda linea e possono essere risolti con relativa facilità: parlo dei proble· mi di traduzione e di mes– sinscena. Arrivo perfino a dire che se il motivo ispi– ratore di un lavoro è dav– vero universale, quel lavo– ro non solo sopporta ogni buona traduzione in una qualunque lingua diversa d a 11' originaria, ma può perfino veni.re arricchito da quest·opera di trasposizio– ne linguistica. Lo stesso per quanto riguarda la realizzazione scenica. Ogni autore, si sa, scri– vendo e immaginando più o meno plasticamente la rappresentazione scenica di quanto scrive, fa un po', scena per scena, atto per atto, la regia del pro– prio lavoro, e di questa regta è indotto ad a. .1.no – tare almeno i passaggi principali nelle indicazioni talvolta numerosissime e particolareggiate, talaltra sobrie e appena indicative, che accompagnano il te– sto. Direi che l'abbondan– za progressiva delle anno– tazioni e delle indicazioni sceniche è una caratteri– stica del teatro moderno. Non direi che sia un pre– gio. anzi. Una buona com– media (e i classici ce lo insegnano) dovrebbe vi– vere tutta o almeno in grandissima parte nel suo testo letterario, e fasciare al direttore dello spetta– colo scenico la più ampia libertà di interpretazione. Non credo che una cattiva traduzione o una cattiva regia di un buon dramma possano alterarlo o de– teriorarlo sostanzialmente, come non credo che una eccellente traduzione e re– gia di un dramma sca– dente possano portarlo al successo. Un buon testo teatrale deve avere in sè qualcosa di celato che solo la rap– presentazione scenica ri,;e– la e che la lettura appena suggerisce: si tratta di quella misteriosa energia che rende viventi le paro– le letterarie. Prima della rappresentazione. prima della composizione lette– raria, l'opera di teatro è l'intuizione di una situa– zione. dì un problema umano che ha una sua vitalità e una sua autono– mia anco,r prima d'esser rappresentato e scritto. Se questa situazione o questo problema son o veri, se cioè sono radicati nel cuo– re dell'uomo, state pur certi che genereranno una opera di teatro autentica, non ristretta a frontiere nazionalistiche, ma aperta alla comprensione e all'in– teresse del mondo intero. E' proprio nella valuta·– zione preventiva· di questa universalità - vale a dire, in altre parole, di questa popolarità - che s~ ci si sbaglia. E perfino fo stesso autore può ingan– narsi su quel che scrive. Io. per esempio, quando scrissi Processo a Gesù e ne seguii le prove al Pic– colo Teatro di Milano. ero persuasissimo di aver •scritto un'opera riservata a quella categoria di spet– tatori che si è soliti defi– nire comprensivamente co– me intellettuali. E quale fu la mia sorpresa, gradi– tissima d'altronde, accor– gendomi che avevo invece scritto qualcosa dì sostan– zialmente popolare c be reggeva a ogni contami– nazione scenica e ad ogni traduzione linguistica. So bene còe i giovani sono. in generale, amanti di forme nuove, amanti di un teatro fisicizzato. in al– tre parole del teatro per il teatro, cosi come sono astrattisti in pittura e do– decafonici in musica Non credo però che i giovani si a no i responsabili di questo smarrimento: ne so– no soltanto le vittime. Chi è arrivato a una specie di nichilismo morale e socia- le sono stati i nostri pa– dri: e oggi se ne scontano le conseguenze rifugiando- si nel gioco delle forme. gioco cbe non ha mai si– gnificato niente di veramen– te solido e che ha caratte– rizzato sempre i periodi di transizione. Anche un autore impegnato com e Brecht - discutibile, ma senza alcun dubbio impor– tante - se da una parte ha affrontato coraggiosa– mente e a viso aperto mol- ti t.m:portanti problemi della nostra epoca. non ha saputo resistere alle ten– tazioni del Jinguaggio Jet· terario. per cui, convinto di battersi per un teatro µopOlare, destinato a 11 e masse, non si accorgeva di realizzare invece un tea– tro che solo le classi bor– ghesi e colte capiscono e apprezzano. Un noto com– plesso teatrale italiano che ha dedicato molte delle sue energie alla divulga– zione dell'opera di Brecht 1 in Italia, dovette rendersi canto, durante una serie di rappresenta7..ioni destinate agli operai, che le opere di Brecht generavano un a certa noia a mano a mano che il dramma si svolgeva. Brecht, del resto, è l'esem– pio forse più significativo del dissidio di una gene– razione letteraria cresciuta nel culto delle forme che si è fatta generosa violen– za per sacrificare le (or– me ai problemi, rimanen– do, purtroppo, a mezza strada: finendo cioè per scontentare e p0polo e borghesia. I giovani per veder chia– ro avrebbero bisogno di m.:aestri. ma i due, illustri, che dominano ancora il panorama del teatro mo: derno sono Pirandello e Brecht. e nessuno dei due è apportatore di speranza e di certezza. Mi hanno chiesto molte volte e in molti paesi il perché della mia propen– sione per i processi. Per– ché, nello stato di inquie– tudine e di confusione in cui viviamo, mi è sembra~ to necessario fare innan– zitutto un atto di lealtà verso i miei ascoltatori: dichiarare cioè. esplicita– mente, che i miei drammi erano dei veri e propri processi, delle vere e pro– prie inchieste su questa o quella s1Luaz1one. su que– sta o quella condizione spirituale. ll pubblico me ne è stato grato. Una buo– na parte del mio successo dipende, credo, da questo gesto di lealtà che ha aiu– tato non poco a stabilire un dialogo da pari a pari, tra me e il oubbJico. DIEGO FABBRI Appunti per la notte * di SERGIO QUJ~ZIO «povero» vale • proletario n. perché non esiste ancora neuun genere di povertà astratta e ipirituale compatibile con una non povertà concreta e matertale. Povero è chi manca de! necessario. eh.i aotJre perché è privo di pane e di sicurezza di compremione ed è pieno di opprestione di. solitudine di di,prezzo. Il regno dei poveri è peTò profondamente diveno dalia repubblica dei proletari. La società perfetta di Marx nega il valOTe del p-roletario, che deve essere superato come tale, per diventare l'operaio IJ)eeiali.z– zato, iI tecnico, l'uomo evoluto eh.e ha tutte le sicu– rezze e non sa più cosa sia il dovere. Il proletario è ttn incidente della srona, destinato a sparire. La società perfetta di Cristo afferma invece il valore del pooero, perché è la realtd inteTa che deve adeguarsi alta misura della povertà, perdere ogni opaca e tron– fi.a sicuTezza. acquistare la sua sensibilità al dolOTe. Il povero è il valore ve-ro che è destinato a nperare la storia. La storia supera il proletario, il poveTo supeTa la storia. E' tanto vero che la categoria marxista del prole– tariato è una ignominia che deve sparire. che tutto ~~ji~~c:,toe ~te i;~::a~~le~t:to nta •~rr~:d:~i:::~ iI subproietario. che è proprio colui eh.e è rarlicalmente proletario. * Fin quando la filosofia ha potuto offrire agli uomini un discorso sul quale convenire o meno, ma un discorso comprensibile, cost ruìto con un linguaggio ,da tutti accettato, la filosofia ha avuto un posto fra gli uomini. Ci furono tempi in cui i migliori ingegni venivano acclamati. in cui vi era dell'entusiasmo, una cosa che i filosofi orm.at non riescono neppure a immaginare. .4.i no~tri giorni, i filosofi parlano lingue diverse e 110n s'tntendono fra loro. Uno atOTicista. come dimo– stra brillantemente il De RuggieTo, non è in grado di comprendere l'autentico significato delte categorie usate da un esistenzialista: l'esistenzialista impiegherd u~a vita ad approfondire le implicazioni di una • ango– scta » che per lo storicista è Mltanto una condizione psic ?logi.ca. teoreticamente insignificante. Un neosco– lastico aTgomenta di « causa finale 1> e di • sostanza•· paTole che per un neopositivista sono prive di senso. C'è chi va alla ricerca della metafisica. e chi nega che una simile ricerca abbia un sen~o. Chi ritiene eh.e la logica sia uno strumento per trovare la verità. e chi lo nega. Non si è d'accordo su cosa cercare né sugli strum_e~ti da _adoperare. In queste condizioni, filoso– fare e impossibile. E' solo possibile giocare ai profes– sori di filosofia. * L'uomo contemporanPo, al quale la cultura pre· senta tur.te le possibili soiuzioni proposte attraveno i millenni. attentamente anali.?.zate sviscerate e svuo· lJlte da mille e miUt? eruditi. non può non trovarle tutte transitorie e non risolutive. non può più credere che esistano soluzioni. Arriva così all'estrema aberra– zione: non c'è nulla di disperante neH'insotubilitd dei problemi. Art..-i, la coscienza dell'impossibilità della verità è la base della recrproca tolleranza. su cui solo può fondarsì una pacifica convivenza fra gli uomini. Anzi.. chi possiede, o crede di possedere una veritd è pericoloso. perché tende a convincere: a imporre, violando cosi la fondamentale libertà dell'uomo (quel– la di restare nell'errore). Anzi, voler trovare delle soh.u:ioni è un atteggiamento assurdo, ingenuo, peri– colosamente dogmatico. L'unico dogma valido è ormai quello deU'impossibiiitd della veritd. SERGIO QUINZIO

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