la Fiera Letteraria - XIII - n. 19 - 11 maggio 1958

Dom-enica U maggio 1~58 tt\' FIERA tETTERJ\'R!,\' Pag. 3 * GALLERIA DEI NARRATORI ITALIANI * Questa seconda edizione contiene, ri– spetto alla prima, uscita per t tipi. del– l'editore TummineUi. 11eL '42, sei capttoti interamente nuovi, che la e Fiera> è lie– ta di presentare come primi.zia ... H libro esce in nuova edi.zione con disegni di. Amerigo Bartoli per H Soda.– tizio del Libro di Venezia, via San Mar– co 744. CAPITOLO VIll Eppure fu proprio la voglia di istruirsi, di elevarsi, di arrivare a un e ordine>, che la tradirono, ancora una volta. La madre non l'avrebbe mai capila in questo sforzo. - Ma non sei abbastanza istruita? ma che vai cercando? Alle tue cose devi badare. alla grazia di Dio che ti è capilata addosso! E per e grazia di Dio > la madre - benchè di una cosa simile non facesse mai cenno, naturalmente, al confessio– nale - intendeva dire anche quel fiore di vita. quello splendore di canti che, figLia di una contadina. nata in mezzo ai campi. quasi come un dono della na– tura. dell'aria festosa di primavera, le si era attaccato alle ossa. Altro che istruzione! Per una donna, una donna che non aveva ancora trent'anni, bastava saper leggere e scrivere. E questo la sua Ghita lo sa~va in abbondanza, sapev,a più del necessario. E quel garbo nel muoversi e nel sorridere, quel saper scegliere le parole di ciità, non più la rozza parlata che era delle loro parti. .. Queste erano le idee della madre. !i.fa la figlia pensava diversamente. Le pareva di non saper parlare, te– meva che 1a rozzezza delle ortigini le si leggesse sul viso appena apriva bocca, specie nel modo di esprimere le pro– prie idee e anche per la fatica che fa– ceva - ancora non abbastanza pronta e sicura - nel leggere, nel decifrare le parole. Non le parole stampate, no, di queste si sentiva ormai sicura, ma nel leggere certe scritture a mano, quelle che sono, per esempio, nelle ricette dei medici. nelle e bollette• di pagamento delle tasse, negli avvisi delle banche ... La vedova si ricordava di quando - ragazretta. nei primi tempi del matri– monio. allorchè il martito, il terribile austero marito. le voleva veramente be– ne - questi l'aveva avvertita di non spaventarsi se la scrittura a mano, certe forme di scrittura. erano difficili a deci– frare. e Succede anche a mc!> - aveva detto il e grande> marito, dall'alto della sua autorità - e succede anche a me. Hanno un modo di scrivere questi dia– voli di medici e di uomini delle tasse! >. Cosi aveva detto, ma la Ghila non si era rinfrancata. E adesso. rimasta sola. senza più la paura ma senza anche l'aiuto del grande marito, ogni volta che le capitava di 1eggere, all'improv– viso. di fronte ad altrl, un avviso di pagamento, magari il testo manoscritto d'un telegramma. aveva. invincibile, il timore che e l'altro>, colui che le stava dinnanzi. indovinasse subito. per qual– che segno a lei invisibile, la sua poca istruzione. Specie poi davanti a un no– taio, ad un avvocato. a un professioni– sta, cioè davanti a un possibile futuro nuovo martito ... E le parole nel discorrere! Quanto è difficile parlar bene come le persone :istruite, come le vere signore sanno par– lare. Ci sono certi modi di dire. nella nostra lingua, di cui d.ei non aveva mai conosciuto bene, sino in fondo e con sicurezza, il valore e per i quali non aveva avuto coraggio. passati 1 primi tempi dell'accordo e dell"amore, di do– mandar al terribile marito il significato. Ci sono parole difficile che la vedova incontrava anche nella lettura dei gior– nali. che ascoJtava alla radio e per le quali si vergognava di chiedere ad altri la spiegazione. Per esempio. che cosa voleva dire e prevaricazione>? E quale era la differenza precisa. ttà e illudérè ~ e e deludere>? Lo sapeva. forse le era più chiaro di quel che non credesse, ma aveva timote di non avere capito bene, di scambiare una parola per un'altra. L'uso del vocabolario le era arduo: cer– care una parola dietro un'altra, secondo l'ordine alfabetico, per sillabe e per let– tere ... che cosa lunga e noiosa! Ed era sicura della differenza esatta fra e arbitrariamente> e e deliberata– mente,,? ron sapeva poi proprio che cosa volesse dire e testamento ològrafo >. Quante parole dillicili! Questa. del parlare bene. era una cosa grossa fra madre e figlia. Benchè la Ghita a\·esse proibito alla madre di prender confidenza coi vicini del caseg– giato e con quelli di fronte, o almeno l'avesse centri volte pregata di parlar il meno possibile, la e vecchia> attac– cava d;scorso con tutti, anche con le persone istruite, e infila\'a, imperterrita. uno e sfondone• dietro un altro. Proprio uno scandalo, una cosa da inorridire, da fare arrossire sino alla radice dei ca– pelli... - \.i.,'la.mamma. non si dice cosi! Mi farai morire di vergogna ... Tutti capi– ranno e chi siamo•· Si dice e voluto> e non e vorsuto >! Diamine! Si dice e sor– cio• o e topo>, e non e sorce >, come dici tu. La madre alzava le spalle, non ne ,·oleva sapere. Una parola più e una meno. una parola o un'altra ... non è lo stesso? fmportante è farsi capire. Che cosa vale una parola? I\la mi faccia H piacere! E jn quanto a quel bacucco del marito, che parlava bene ed era diventato e eccellenza>, ormai era morto, e lo fasciasse perdere Erano Jiti anche su questo punto, e la Ghita, in opposizione aperta con la madre, era sicura, ogni giorno più, di aver ragione: che per la sua posizione. come vedova d'un grande uomo, anche per la ricchezza ereditata. proprio se voleva aspirare a rimaritarsi. era ne– cessario che parlasse bene, non facesse proprio la figura della serva, del pi– docchio rifatto. Le mettevano paura anche le tante pa. role straniere che sono nella nostra lin– gua. Perchè ci sono? Per la disperazione della gente non abbastanza istruita? Per esempio, era stata dalla sarta. una sarta brava, per persone eleganti. E tutto era andato bene. La Ghita aveva buon gusto. l'eleganza non le costava nulla, l'aveva nel sangue, benchè fosse nata jn campagna. Tutto le faceva fi. gura, e sapeva scegliere le stoffe, j co– .,ri, sapeva bene come e cade • una L~4 VED·O VA TIMIDA stoffa morbida e una poco più greve: conosceva che cosa vuol dire la e mor– bidezza> di un tessuto a fior del petto. oppure Ja e ricchezza>, che deve avere una stocca fatorno alle spalle o quanto è necessario che i due e cugni > laterali mettano in evidenza la linea attillata di un taiUeur ... E Poi con quel personale che lei 9veva! Ci voleva poco a vestirla, e il senso dell'eleganza era come se na. scesse dalla struttura stessa delle sue fattezze. Aveva anche imparato bene a capire che cosa vuol dir la parola e analogo>, così importante per la moda: come un colore. quello della borsetta per esempio o quello delle scarpe. dev'essere e analo– go> al colore del vestito. Ma c'era una altra cosa ... La inuova sarta aveva simpatia per la nuovissima cliente. E questa volta. gra– zie Q Dio, non c'era bisogno di inven– tare tante bugie per lodare la bellezza. la regolartità delle proporzioni del 1::orpo di una signora. La sarta - una brunetta viva e <li buona educazione - aveva una gran simpatia per la Ghita, per la sua semplicità, così diversa dalle pre– sunzioni delle false e belle> e delle false e ricche•· Tutto andava bene nei loro colloqui. e la vedova si sentiva felice, sapeva che da allora in pci, con gli Qbiti, che stava preparando, da mezzo lutto, avrebbe vestito anche meglio di prima ... Ma quelle benedette parole straniere. di cui Ja sarta. la brunetta simpatica, faceva tanto sfoggio! Che cosa voleva dire, per esempio, la frase tout-de-méme? Proprio jn quel momento la Ghita te– neva in mano un lembo di stoffa: una bella stoffa che, dispiegata da un rotolo. tutta di un colore, traboccava in volute e ricadeva fino ai suoi piedi. A quella frase straniera la Ghita era vimasta con un·aria dncantata, come se non sapesse più discorrere ... Che cosa voleva dire tout-de-mCme? E quell'altra parola: bo1L– clée, che la sarta usava a propcsito di un'altra stoffa? Un po' di francese non sarebbe stato necessario alla sua istruzione? E' proprio tanto difficile imparere ,j} francese? Di fronte a queste ingenue titubanze, di fronte al sospetto che gli altri aves– sero e capito tutto•• perfino la sua bel– lezza si vestiva. per così dire, di timore. e tremava. come fa il verde tenero d,i certe elberelle quando trema e s'incanta di fronte al verde cupo e più resistente di un bosco di pini. * di BOXAlTE~TURA TECJCJW CAPITOLO IX Decise dunque di tro\·are qualcuno per continuare a istruirsi. Quel che un tem– po, quando era maritata. le era sem– brato difficile e aveva costituito una delle ragioni di malumore da parte del marito, adesso le sembrava facile: for– marsi un -po' di cultura. Era ormai convinta che se si fosse istr~lita, se si fosse sentita sicura di parlar bene, di leggere anche le scrit– ture difficili. d'imparare alcune di quelle parole straniere, non avrebbe più pro– vato senso di inferiorità che aveva di fronte agli altri. avrebbe vinto quella maledetta timidezza. Ma la difficoltà era trovare e chi> fosse adatto ad istruirla. 'on era facile. Non pateva certo andare in una scuola pubblica o anche privata: sarebbe stato ridicolo alla sua età mettersi su un banco in mezzo a ragazzi e a ragazze. Ci voleva un insegnante, maschio o femmina. tutto per lei: e, se maschio. fosse tale da non facie correre nuova– mente 11 pert'Colo di ricadere, col prete– sto d'èsser più istruito, nella grinfie del– l'autorità austera ... La paura del marito c'era ancora. Un giorno si avviò da sola, dalla parte opposta della città. ai piedi di un colle. La citt.à ha verso sud una cinta di colline, che poi s'jnna.lzano a monti, mentre ,,erso nord s'adagia in una pia– nura; ,anzi è da quella città, in dire. zione nord, che la grande pianura inco– mincia e s'allarga. Bellissima città. piena di torri e di storia. Tutta roS1Sadi mattoni, con gli immensi palazzi aristocratici, dai grandi cortili e portoni sicchè sembrano tutti dimore di cardinali o di eminenti nicchi prelati, forniti certo un tempo di ampie comode carrozze che da quei cortili e portoni uscivano o vi rientravano ... Ma verso i colli la città ha subito un sen– tore di campagna, fra asprigno e gentile. Era un giorno di maggio, nel primo pomeriggio. L'aria era ormai calda. seb– bene percorsa ogrui tanto da improvvise folate di vento che investivan la giovane donna. abbigliata soltanto di un abito un po' troppa leggero di seta nera e riparata da un gol! di lana nella parte superiore del corpo. Discesa dal tram. che arriva appena sulla e rotonda> di un ripiano, la Ye– dova s·avvriò verso un convento che sta in cima al colle. Abbiamo già detto chi! 1a Ghita te- neva in gran conto la religione, sebbene non fosse affatto una bigotta. Aveva, in quel suo sbigottimento, la sensazione che gli uomini della religione potessero aiu– tarla, non le tendessero tanti tranelli, mentre sentiva che da altre 'parti tra– nelli e pericoli erano sempre aperti. O almeno le pareva che qui, tra persone religiose, i pericolri fossero minori... Aveva dunque sentito dire che lassù, in quel convento, c·era un padre rettore non più giovane. assai bravo. assai cor– tese e buono d'animo, che dava lezioni private. Chi sa mai, lui stesso. o qualche altra persona da lui consigliata, avrebbe potuto fare al caso suo. Arrivò in cima ,al colle. tirò Ja corda della piccola campana del convento. Le folate d'aria fresca erano cessate, c·era una specie di afosità improvvisa in quelle ore del pomeriggio. La donna pensò che. mentre aspettava. poteva slac– ciare un pé>coil gol1 sotto il collo. verso l'apertura del petto: sentiva troppo cal– do. Poi disse a sé stessa che non stava bene, in quell'attimo, proprio mentre era sulla soglia d'un convento ... La campanella aveva dato un rintocco solo, ma lungo, lento. come se la e voce del mondo>, vibrando su per la saLita della corda, poi trascorsa entro le pareti bronzee della campanina emesso un pri– mo suono quasi sfacciato, si fosse pen– tita e andasse. con la eco lenta del rin– tocco. forse per entro lunghe arcate di un colonnato, smorzando la prima bal– danza ... Chi sa dove quella voce era andata a finire: s'era perduta fra le colonne? c·era un giardino nel chiostro? La vedova rimase a lungo sulla porta. Nessuno compariva. Osò, dopa parecchi minuti d'attesa, attaccarsi dì nuovo alla corda. Questa volta il suono vibrò più a lun– go. E. dopo lunghi minuti, ecco lo stra– scicar di un passo. Certo d·un vecchio. Venne quel passo assai lentamente, co– me da una distanza infinita; si fece via via più chiaro il pesticcio dei sandali, la porta del convento s'aprì. Era un vec– chio: non un e laico•• no, un sacerdote (si vedeva dal viso e dagli occhiali), vestito di bianco, con un cappuccio nero, buttato all'indietro. sulle spalle. e una striscia di nero che formava. quasi fo. gandola, una specie di collottola scura intorno al bianco dei capelli e al bianco della tonaca. Il modo come il ,frate guardò 1a donna !u curioso. A quell'ora, nelle prime ore d'un pomeriggio caldo, di primavera, la apparizione di una donna cosi bella! E \·eni\·a a chiedere del padre rettore, per ,avere un consiglio. perché voleva un e maestro>... Il vecchio frate non era convinto, non ci vedeva chiaro. S'allontanò, a passi lenti e cauti. come per dire che andava a chiamare il padre rettore. Invece si rivoltò all'improvviso, tornò sui propri passi. guardò di nuovo la donna, fece un cenno misterioso col dito sulla bocca come per dire che, per carità. non si muovesse, non doveva su– perare un certo punto del corridoio di entrata: c'era la clausura. Poi di nuovo s'allontanò. da solo. Nel chiostro, di là dal disegno delle colon– nine di pietra che si innalzavano svelte. c·era un giardino: o, meglio, c'erano al– cune piante per Io più selvatiche che, però. in confronto all'eleganza delle co– lonnine di pietra. tutte lavorate a scal– pello. con -certe figure di draghi e di serpentelli davano un senso di armonia e di suggestione. Fra quelle piante c'era un cespuglio di e salvia splendor >, di un colore rosso vivo. quasi un punto di fuoco in mezzo all'afa del pomeriggio. 11 vecchio frate ebbe ,rimpres.5ione che il rosso della e salvia splendor > e il biondo di quella signora, un biondo qua– si scattante dal nero del vestito a lutto. avessero tra di loro. chi sa mai. per vie lontane e misteriose. una certa paren– tela... In più il vecchio. sebbene inco– minciasse ad essere un pa' duro di orec– chi. aveva udito. mentre s'avviava verso la porta in quell'ora insolita del pome– riggio (al primo rintocco della campa– nina non s'era mosso. poteva essere uno scherzo di monelli) aveva udito distin– tamente. proprio fra le colonne del chio– stro. un ronzare fitto. cupo, irrequieto di un calabrone. quasi come un avver– timento. Quel ronzio girava adesso nel– l'aria. faceva un e uff. uff >, affocato e sordo. negli orecchi. Era la voce del d:avolo. H vecchio frate girò intorno a quel rumore ronzante, come se seguisse un pensiero fastidioso. Perchè andare a chiamare iii padre rettOTe che. anche se anziano. era di molti anni più giovane di lui? Perchè non risparmiargJd una ten– tazione? Non si può mai dire. il demo– nio si serve di tante armi, specie nelle ore del pomeriggio. E quel color rosso di fiamma? e quel e uff. uff > nell'orec– chio? II vecchio girò due o tre volte intorno GOVONI: itinerario della priinavera Corrado Go,•oni In uno dei saggi più belli che abbiamo letto in questi ultimi tempi su Eugenio Montale (Sergio Solmi: La poesia di Mon– tale, jn e Nuovi argomenti>, maggio-giu– gno 1957) abbiamo trovato questa defini– zione-lampo dell'ormai argenteo, ma sem– pre così giovane o dispetto dei lutti tanti e delle traversie della vita, Corrado Go– voni: .semplice e schietto poeta. Sembra, cosi isolate, une di quelle fra– si per nulla impegnative nella loro gene– ricità {un vezzeggiativo che può far pre· sto e prendere, nel sofisticato discorrere d'oggi, la tinta d'un diminutivo), che ogni frettoloso cronista d'una collettività, sen– za nemmeno allentare il passo davanti ol quadro di rappresentanza, ripete una vol– ta di più sul proprio taccuino, per poi mettersi fllto fitto (appoggiato el muro, e bagnando più volte con la lingua le punta del lapis, per dargli un poco più di sale} a parlar d'altro. Anzi, di ben altro, l'oc– chio fisso all'intero e parete•· Ma o leggerla nel contesto, quella frase, e al punto giusto in cui par buttata là nel tessuto serrato e pur così arioso del di· scorso, acquista dntero e "a ragion veduta" il proprio valore anche di esetta colloca– zione storica (oltre che di precisa defini– zione psicologica ed estetica), perdendo anche il minimo sospetto di caritatevole clorofillizzazione d'un giudizio che, altri– menti espresso, avrebbe potuto offendere la e cara IX?rsona,, col suo forte sentore * di GIORGIO CAPBOJ\I d'une. totale indifferenza, e q_uindi d'une. totale svalutazione della necessità, nello sviluppo centrale della nostra poesia, di quella. presenza: Sullo $Corta di giovanili com.pOlizioni ine– diCe - .scrive Solmi o proposito di Montale - (...), si può magiari misurare, da alcune tracce ironiche e parodistlche (...). t'influen– za atmeno indiretta di altri modi dell' ... avan– guardia.,. (l'origine primissima di Heine, ot– traver.so Laforgue); o. magari, da. un. gusto di vivace e .sommario coloritura di. oaaetti, o di ritmiche connessure. il ricordo di un .semplice e .schietlo poeta che piacque note– volmente at giovane Montale, Corrado Go– vonì~ piiì.. mi. sembra. di qudlo del Gozza- 110, cui pure taluno ha voluto ridiiamarli... Semmai, c'è da domandarsi se di tale feconda "semplicità e schiettezze" (di ta– le "ingenua" spontaneità, più pertinente all'ordine - secondo la particolare en– fasi di allora - della "dinamite" che a quello della supina adorazione e ripeti– zione: di tele .precisa fase 0ncore. "anar– ch..ica", cònsoli Pascoli e D'Annunzio, del· la "grande rivoluzione esplosa in seno al· la nostra Urica nel mattino del secolo, prima ancora che altri spiriti fini e ag– guerriti, e in sintonia con una più pro– fonda Europe, costruttivamente tentasse– ro, ciascuno a modo proprio, di tornare all'dnterezza e purezza delle origini dopo la fragorose demolizione degli ultii.mi ti– tanismi nost.rani) resti ancora una trac· eia, e fino e che punto posit.iva, jn questo ultimo Itinerario detta p-rim.avera. (Neri Pozza, Venezia), giunto proprio alla vigi– lie di Pasqua, con la sua copertina d'un bel color canarino, -a posarsi nel mez.zo di quest'anno di grazia 1958. Per rispondere con qualche poco di panderazione bisognerebbe in primo luo– go (e il tempo manca) ripercorrere intera la "storia frammentaria" (le parole virgo– lettate son dello stesso Govoni) delle riu– scite dnconfondibili e degli sbendementi di questo non facile poeta (e sarebbe Poi la felice storia del felice Govoni, di esu– berante generosità perfino nella scelta di certe "amicizie", ma soprattutto per quan– to egli ha dato agli alti;, anche se non tutti si sono sempre accorti del debito che molta poesia di oggi ha verso di lui}, il quale, facapace fin dall'inizio di "costruir– si" secondo una precisa e ordinata "idoo di se stesso", ha pur saputo consegnarci, in questo suo settantaquattresimo anno di età, uno dei libri senza dubbio più friz– zanti (e giovani) venuti e raccoglier le ali sul nostro tavolo. E uno dei più seri, diciamo pure dei più grevj; anche se, grazie a Dio, pur toc– cando temi cosi laceranti come la guerra e i lutti e la miseria nostra, Govoni non ha perduto i suo estri di monello che si diverte a ruz.zolare (e qualche volta con capitomboli -anche nel "brutto"} ai piedi della Statua in!rente, scherzando coi mi· nuzzoli di marmo e di cuore sparpagliati sull'erba, però senza mal Je crudeltà (la cattiveria, se crudeltà par troppo nobile: la granfiata finale) del gatto, piccole bel– va domest.ica di stirpe gentile, sì, ma ap· punto per questo belluina, che se gli ca· pite non perde davvero l'occasione di af- fondar gli unghioni nella sua o nell'al– trui anime, ridotta per la bisogna alle di– mensioni d'un sorcetto. Govoni appal'tiene a una specie troppo entusiasta per temperamento anche se non drriflessiva (le sue fiducia nella bel– lezza-bontà della vita non è scossa, me soltanto rattristata, dal pervertimento del cuore umano e dall'umana bestialità) per poter dire - cosi almeno sembra e pri– me vista - che il suo "divertirsi" (i te– neri ma biuarti vezzeggiativi: la fresca e affettuosa pirotecnica) entri intero in un ordine severamente morele o meta· fisico, piuttosto che in un semplice ordi– ne estetico. Ha nel sangue l'eredità dan– nunziane (è stato ripetuto millanta volte), e se contro il D'Annun:lrio p.iù eroico si ribelle, lo fa senza Ja tl).injma •·maledizio· ne", proprio come si ribella, armato di h– riverenza, contro gli stessi oggetti e le metafore che una tradizione di lunga v.ita ha reso illustri, gioiosamente mortifican· doli (ancora :in apparenza, giaccbè in fon– do è un moto per restituirli vivi nella lo– ro verità) con la identificazione o la simi– Litud:ine più "scandalosa" ai più umili •·oggetbi d'uso" (specie se ''moderni"), come tali ritenuti vili e rifiutati jn blocco da un ,incartapecorito galateo poetico: Le monotone sere sopra il lago... ... ftLribondi abbaiavano nell'alto i cani, dondolando il piastrino inargentato del primo quarto. In Aladino, è vero, avevamo visto spen– gersi quasi interamente gli allegri lumini, come se U cupo dolore martellante negli endeoosillabi (d'un jmpasto verbale, gros– so modo, classicheggiante) segnasse, più che una voltata di spalle, une dichiarata condanne. morale dell'originaria "sempli– cità e schiettezza", già espressa con tanto brioso piglio di "vivace e sommaria colo– ritura". Ma se li parve che Govoni fosse davvero stanco e deluso di un armamen– tario impressionistico che pur era stato il suo genuino contrassegno ;:ier lungo cammino d'anni (quasi egli ne sentisse di un tratto jl logoramento, e soprattutto la insu(ficiente fatuità - per un altro er– rore di calcolo - di fronte a così alto impegno tragico), in questo Itinerario che dl Aladino conserve jntero il lutto, que– gli estri, nelle pagine più ,aperte (e dicia– mo subito che la parte meno vivece del libro oi par di scorgerla nel gruppo Quan.– do l'a.more muore), rifioriscono in modo più profondo e perfino più gentile, non certo per un volontario ritorno del poeta ad essi, ma, piuttosto, per un naturale spontaneo ritorno in lui della fiducia e della capacità di abbandono al proprio temperamento. Col risultato a volte, e ne diamo un esempio, d'una levità o grazia di composi2.ione di rado raggiunta nella nostro poesie ultima: Pudore della sera bruna e rosa! Davanti ai vetri ancora cosi. pient di &ole (è il tramonto o l'aurora?) esita. più non o.sa. La trattiene il timore di pa..ssar per lntrusa e scono.sciuta, quando l'ombra più. larga dentro come .se fosse in ca.sa propria. è gid seduta Una semplice toccata, certo: quasi una galanteria melica, con un leggero leggero ricordo verlainieno nell'attacco, d'un Go– voni che dopo ave dato téinto ha saputo enche prender qualcosa (perfino da modi od umori recentissimi). Ma se si leggono, oltre il "cantante arioso" d'ella prima pa– gina che intitola il libro (con le festosa clausola finale: Quando muore a. Cortina, è già pazza di verde a Ta.ormina), e oltre il più ''tipicamente" govoniano Concerto in. miniatura (gustoso rl'.!:pertotio di modi e vei.zi ''caratteristici" di questo poeta) certe brevi composizioni balenanti nella loro stringatei.za , soprattutto nella prima parte delle raccolte, si ha la misura mag– giore, Ci sembra, del risultato ultimo cui la fusione dei due modi anche stilistici (comburente la guerra) ha saputo perve– nire. E intendiamo dire la fusione del Govoni più teneramente estroso {e ceste ceste d'angeli, pulcini: il Govoni più ,vi– cino, essendone uno dei fondatori, e certo clownismo poetico che non ha smesso di commuoverci perchè cosl umano) con il Govoni turbato e quasi irrigidito in un altro linguaggio dal "disordine del lutto e del dolore", n quale ultimo non si peri– ta (forse non si accorge) di rompere il delicato dncanto delle proprie acrobazie gentili con frasi, si direbbe, tolte di peso, nella loro inamidata aulicità o genericità, da qualche libro scolastico, se non addi– rittura dal giornali: Dentro l'alone / della. notturna. solitaria lampada ... AUorchè Id– dio c'invia. distrattamente I una invisibU presa. di bacilli / noi Tespingiamo invano il mortaI gelo... Tu, Dio senza sonno e senza ·morte, I come puoi tu vedere con occhi di stelle, I bruciato e travolto I da quet tuo stesso fuoco creatore / nei vorticosi abissi I dell'incolmabile nulla, / la nostra condizione umana... Frasi che sembrano d'un. altro mondo a chi, pur nel– lo stesso libro presente, ha potuto leggere: Se folgora la pioggia e il i:ento stacca le olive come bacche delle siepi solleva. il g,rig,io !agio e fischia ai' vetri; e con.iorcersi vedo la ferrigna quercia abbrancala ai 1nas.si dell'entrata urlando l' TC.Sisle11do in ogni ftbra per non farsi strappar~: è questo io pen.so il. -mio pitì. vero interno paesaggio dt scatenala rabbia e di pa.:ien.::a Che par quasi, romanticizzato, un •·mot– tetto" aperto, spaccato il riccio che ne cu– stodiva il segreto. Ma si legga anche Città. (Frasi. di fuo– co corrono la. notte, ecc.); si leggano in questo medesimo senso di scoperta altre e altre pagine facilmente reperibili (senza dar troppo peso agli oscuramenti che in questo libro non mancano e che del resto Govoni non si è mai curato di evitare), e soprattutto si legga il canto della Pace (al centro del gruppo ultimo, dove la :~~~~~ i;ii 0 ;o~cpioii~i,a:,~:s:t• i\!l~~= t'anni, abbia saputo darci non soltanto un =~~:at~~~:P~~ !;.;:t!c~l:~~~!=t~a~: anche in primo luogo di fronte agU avve~ nimenti più tristi che banno turbato il mondo e squassato, ·senza stroncarlo il suo cuore di uomo e di padre. ' GIORGIO CAPROr., Bonaventura 'J'cccbi al ronzio. insistente. del calabrone, tra le colonnine svelte, di pietra, tutte scal• pellate a figure. Poi ritornò indietro. E disse alla bella signora che il padre rettore non poteva venire, che le consi– gliava lui stesso di rivolgersi alle suore (e disse il nome di un convento di mo-– nache): trattandosi di una donna. ile suore avrebbero potuto accontentarla meglio. CAPITOLO X La Ghita non aveva molta simpatiia per le suore. Per gli uomini della reJi. gione, si: per le donne. meno. ~on sa– peva perchè. Fin da ragazza. quando '\-i• \·eva in campagna. aliorchè qualcuno {era una bella figliola, anche allora) le chiedeva scherzando. sull'aia o sulla scale di un podere. se volesse farsi mo. naca. aveva sentito subito un·avversione dPcisa,, una specie di antipatia. Ci pensò dunque qualche giorno. pri– ma di risolversi ad andare da quelle suore. E intanto la madre scalpitava. co– me una cavalla. vecchia ma che 1n gioventù era stata una ca\.-alla da corsa. contro quella decisione di e t'Oler ist.ruirsi >. - Perdita di tempo - dice\·a la ma,.. dre ._ pensa agli affari tuoi; e èhe i fat,. tori ti stanno rubando 1'0560 del collo laggiù, nei tuoi poderi. mentre tu vat dietro alle stupidaggini. Si decise un giorno, s·av\"lò verso le suore. Era di mattina. Vie affollate. pie– ne di traffico. Il convento delle suore non è - come quello dei frati - fuor-i della città. E' dentro, internato. in un dedalo di viuzze di .torri di vecchie costruzioni. finchè si arriva a una piaz– za, dove un portico, tutto bianco spicca in mezzo al rosso e anche al nero cupo. improvviso, di grandi palazzi ferrigni. Sotto al portico, di colonnine bianche e molto alte, c"è il mercato: fazzoletti azzurri e bianchi, svolio di stoffe al sole. rli golf e di camicette da donna. e an– c-he fogli di carta da lettere e libri di scuola ... E qui, fra il trambusto dei venditori e il silenzio assorto, quasi estatico. delle C'Olonnine che sembra.no non volersi ac– eorgere di ciò che le circonda. sorge il convento delle suore. La Ghita sali le scale. entrò in un corridoio quasi buio. La campanella del convento risuonò un poco pettegola. assai diversa da quella dei frati: e subito. svf>lta, alta, magrissima, comparve una conversa. vestita di bianco e di nero, come w1a rondine. in quell'aria buia. Dietro di lei. subito, come se già sapesse tutto e non volesse farsi precedere. era comparsa una suora. la madre superiora. La Ghita sentì subito l'antipatia di quest'ultir:na per lei. Sono cose che sol• tanto le donne capiscono. Era come una impressione di e gelosia>. Incominciò a parlare con un certo im– barazi.o. ·on era facile dire quello di cui aveva bisogno . - Vorrei ... Si fermò. non sape,·a andare avanti. Poi s: riprese. erano in uno stanzone adesso tutto chiaro. - Sa - disse la Ghita - mi troYo in una pcsizione difficile. Sono diventata improvvisamente ricca, per l'eredità di mio marito ... Ma non sono istruita. Ho avuto solo gli insegnamenti dei primi anni di scuola. Vorrei. .. Quella maledetta timidezza, Proprio adesso che non c'erano uomini. s'impun– tava di contro alla fronte se\·era. alla austerità. venata di antipatia. della ma– dre superiora. Troppo bella appariva la visitatrice alla madre superiora: con quello slan– cio. appen~ s_offocato dql lutto rigoroso, delle carm g1ovani. fiorenti sotto la cu– stodia del nero vedovile. Che cosa \'O· leva? un maestro? una maestra? per istruirsi? a quell'età? Ma riprendesse su– bito marito. quello era il suo e mestie– re• non vedeva che doveva riprendere marito? Queste cose la madre superiora non le disse. }.fa eran tutte scritte sulla sua fronte. larga. cocciuta. austera, che la striscia del soggòlo bianco, fasciando tut– to il cape. rendeva qnche p.iù bianca. Invece arrivò un'altra suora. Grassoc– cia, paffuta, con gli occhiali a stanghet– ta. E questa portò subito un'altra im– pressione. Non c'er~ gelosia nelle sue pupille, era una pac1occona sorridente, non cono– sceva invidia. - Perchè no? - disse la suora. ve– nuta all~ultimo momento. - Ha ragio– ne la e signora•· on c'è (e fece il nome di un e professorone>). non c'è il nostro e bravo> signor •••? E' lui la persona che ci vuole. vedrà che si troverà bene E' un sant'uomo. sa. Non un sacerd0-: te, no. Ma potrebbe esserlo, per la ~-

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