la Fiera Letteraria - XI - n. 43 - 28 ottobre 1956

Domenica 28 ottobre 1956 tA FIERA LETTERARI~ * GALLERIA DEI POETI ITALIANI * TITTAROSA: POESIE DI UNA VIT La. più recente immagine di Tltta Rosa UNRITRA 1 1 TO umanoe ideale * di GllJSEPPE RAVEGNANI Naturalmente, per disegnare un « ritrat– to » di TJtta Rosa bisognerebbe ricorrere a più di un segno, e anche alla su,a vHa d'uomo, alle sue molteplici esperlenz.e (da Lacerba alla Fiera letteraria), alla sua varia attività, di g,iornaHsta militante e di scrittore di libri (critica, narrazione, poesia). Un « rLtrntto » quindi COIJliPOsi– to, le cui parti s''integrano. Certe prese d,i posizione della sua critica a proposito di lingua e cli J.inguaggio ci aiutano a situare i valori e i significati deHa sua poesia sopra un piano intermeclio tra conservazione e rivolll71Ìone, piano ohe non ammette deflniti"le fratture e lace– razioni tra passato e presente: tra il patrimonio, spirituale e cultJUrale, ere– ditato di secolo in secolo e l'attualizzarsi di esso nel tempo nuovo. Quando Tltta Rosa afferma che « l'artista non accoglie in sè passivamente (il linguaggio), altri– menti nulla rinnoverebbe; ma col quale egli deve misurarsi. sentirne in sè l'inti– ma forza, con tutto ciò che la tradiziQne vi è -venuta deponendo, e poi dominarlo, .-endendolo abto a esprimere il proprio mondo poetico », viene indirettamente a confessare sopra quali canoni e sopra quali esi,genze si muova la sua poesia, dnche nel periodo giovanile dell'a,van– g,uarclismo. Tutto questo già un po' indi– cai in Uomini visti (tomo secondo. pa– gine 262-263), in una « noterella » sopra Titta Rosa critico: « ... Codeste .:,aro le, codesta posizione de-Ilo spirito critico, non meravigliano in Titta Rosa, sensibile poeta JJlli stesso (Alta luna, Pietd dell'uo– mo), hl quale nutrì sempre rispetto e cul– to della parola e dei linguaggio, e ne intese il peso lirico, la qualità ,il colore e il calore spirituali, ma·i dissociati dal– l'intimità di una tradizione letteraria, dccolta più nella sua iami.Jiarità che nella sua aulicità ». Tradizione quind,i non formale, ma vi– vente. 1! prolungata sopra una costante, la quale a un tempo continua, conserva e innova l'idea che non si ha della poe– sia, alta o ba~sa, eloquente o narrativa. Si sbaglierebbe quindi collocando la poe– sia di Titta Rosa nell'àmbito di una inèr– te cultiura, in una sede cioè che spetta, ad esempio, a certa poesia letteraria di Lip– parini o di Pastonchi o di Colautti. La posizione di Titta Rosa è ben diversa, anzi opposta, e già ebbe a indicarla con esattezza Sergio Solml quando sottolineò che « la vera intimità della sua voca– zione poetica è da ricercarsi al,Ja radice degli innesti· formali su cli una disposi- zione per cui l'esperienza letteraria è anche sangue e vita». E allora, anche per questo, io dovrei fare affluire in un « ri– tratto» di Titta Rosa tutti quegli ele– menti che comporugono la sua esistenza di « lebterato n attivo e sempre su11a breccia, i suoi a.ccesi atteggiamenti ver– so certe fazioni, le sue e~rienze scon– tate in proprio, la :fedeltà a una chiara linea di pensiero sempre meditata e coerente a se stessa, le aocettazìoni e le nega7lioni, anche i gusti esposti e clifesi, anche le amicizie, anche i cornpagni di strada. Tutto confluisc~ a chiarire, a de– terminare, ad illuminare una attività poe– tica, ohe dura da quarant'anni, arti,colata a rivelare attraversc la parola qualifi– cata quella intimità d'uomo. senza la quale mai è esistita poesia, nè mai esisterà. A me poi risulterebbe assai facile un «ritratto», umano e ideale, di Titta Rosa, tanti sono gli ann,i del .nostro sodalizio, dall'antico tempo delle ri"liste d'avan– guardia del primo dopo,giuerra sino a og– gi. Poco o molto, ci siamo sempre ritro– vati a lavorare gomito a gomito sopra i medesimi fo>gili stampati, su Lacerba, su La Diana, su Poesia e arte, sulla Fiera di Fracchia, su So!aria, anche nelle stesse redazioni, nelle medesime tene pagine, Nati tutt'e due all'ombra dell'estetica cro– ciana, Ugi ai buond studi e alle severe discipline, fummo negli anni più giovani un po' avanguardisti e un po' vociani; in– nalzammo Pasco1i contro D'Annunzio; amammo Rimbaud; ascoltammo la lezio– ne dei decadenti francesi; fummo dei cri– tici o dei lettori per salvare in noi la poesia; poi, bruciate tutte le cartucce, tornammo quieti all'ovile, risolvendo in noi, o cercando di risoJ"lere. i vari que– siti e dissidi del nostro tempo, e pagando a esso tutti gli scotti, anche i più amari, Ma far questo significhereb.bt. offrire so– prattutto un omaggio aH'amiclzla; e qui l'amicizia deve tacere. lasciando la por– ta aperta aJ critico Dico soltanto che se c"è uomo al mondo « tutte uomo», con il suo peso morale, con il suo viso aperto e senz'ombre, con la sua schiettezza di parole e pulitezza di azioni, con la sua esistenza interamente consumata per l'ar~ te, questi è Titta Rosa. Ed è un elogio, questo, che anzi tutto fa piacere a me qu,i scriverlo. GIDSEPPE RAVEGNANI Il volume Poesie di una vita di Gio– vanni Titta Rosa, uscfrd prossimamente nella collezione « Lo Specchio» d.el !'edi– tore Mondadori. Tltta. Rosa con Ungaretti (il primo a sinistra) e Romanò (ultimo a destra) Consolazione Di poco si consola ormai la mia giornata. Basta il festoso grido che alla pctrta la sera mi saluta a spetrare la muta anima affaticata; basta il vagante riso dell'altra che dal lume che l'incanta non sa ancora distinguere il mio viso. Di queste cose care trapassa consolata la mia sera, Cuore, di più non cercare. Se intrisa d'amarezza, mi di"lenta dolcezza ogni J)atica. Sta quieto, pazzo cuore, anche stasera. a intiepidirmi i Viedi intirizziti, nella dolcissima cuna del sonno calandomi, materna. Fino a ieri, ai cuscini appoggiata, aria bevendo nello scarno pebto, erano ancora azz11rri gli occhi tuoi. e più dolci nell'ultimo so1Tiso; erano gli occhi stessi che il dolore non seppe inaridire. Ora l'hai chiusi. E piccola sei tu, quasi bambina nella tua ricgmata, antica ve·ste di spn·a d'altro secolo, e alla terra, esausta pianta, ti ridà la morte. I giovani morti del mare Nelle notti alte di luna riappaiono i morti del mare. Pallidi si "ledono aifflorare sulla riscintillante pianu'l·a. La faccia sc,'.levano, appena per guar'Ciare un attimo attorno: la notte è così serena che pare un magico giorno. Un angoscioso sigHlo serra la bocca dei morti. Tltta Rosa ufficia.le aH'Aqulla nel 1919 Oh romperlo! Un grido, uno squillo nel sangue: e Mamma!»; e risorti in un lampo gioioso, la vita riif.luirebbe alle vene, miscuglio cli male e di bene, amore e dolore, ma vita! Ma troppo lontana è la terra, invisibili le 1ive sue chiare, e il sigillo non -si dissenia sulle labbra dei morti del mare. Pure, gua1'Ciano e guardano. E allora una madre nel sonno trasale, ode un passo su per le scale « E' lui!• e si desta. • No, non ancora•· E nel sonno una giovane sposa geme e il cuscino abbraccia ,sognando il dolce d'una :l'accia ruvida, una bocca vogliosa. E' allora che da una ouna s'ode il ridere d'un bambino: vede il babbo in rpiedi vicino che nella rete ha presa la lun,a .., Ma alta è J.a luna, e pietc,:;a con tenerissime dita sui paUid'i volti posa un alito roseo di vita. Erano marinai ·duri e il mare li ha levigati li ha fatti più giovani, puri, come marmo li ha lavorati. E vivi sembrano, solo dormenti sulle fresche lane del mare, e dolci li cullano i venti giovani morti del mare. Preghiera II Perché non sale a te, Signore, questo sangue? Lo ribeve la Terra, e un rovo nasce daila zolla, si torce un verme, un serpe si divincola Volgi, Signore, gli occhi solo un attimo. E' un roco pianto cli creatura, curva sui corrosi ginocchi, Breve peso alla nuca, ancrn- più forte al CI.\Ore lo incatena alla zolla. Un volto sùsci ta in essa tu, Signore; un'al11 ai fianchi mèttile, fanne un angelo. Molto ha sofferto, ascoltai Gennaio 1945 Lo scalatore Cahraz Un alte, muro d'anni. Ed ogol pietra fu calda vita, e in ogni fibra, licia cli splendido vigore. E non sa se in ciascuna fu più dolore o gioia. S'alzò, diventò torre dolomitica: un uomo, un centenario, adesso, nel paese, in cima al tempo. Le grosse vene nelle mani inerti sulle ginocchia, la rugosa faccia entro un ronzio di mosche e di oampane, sul muricciolo del sagrato. E rlde a chi passa, al monello che gli schizza scalzo davanti, al bove che l'annusa, al sole che lo bruca lo scalatore Càbraz. Notte a Venezia Venezia, vanessa nero-bianca (nero di lutto splendido e squallore d'ossario), catafalco di pizzi e argento sontuoso, macero de. tanfo d'acque verdi, ove respiri con ali molli screziate d'ori... Veglie.i.o sugli squeri, ponti, altane gatti gialli di fosforo emblematici il tuo sonno defunto di regine. distesa su uno sciàmlto di luna d'oriente, e un corroso cliademe. è il cielo sul tuo capo, o bizantina Teodora, amore e nausee. dei secoli! Quanto marcio di storia e di vite. sul tuo corpo maculato di lussuriosa vergine! E ancora il gufo d'oro della Basilica è gonfio di scirocco e ti cova dalla deserta piazza medianico, ove il riso d'Arlecchino sghignazza e si moltiplica d'eco in eco negli archi, in un delirio di roteante pazzia, fino al culmine d'une. risate. cosmica. I fantasmi dei dogi che passano sonnambuli sull'orlo del Palazzo ben lo sanno che questa notte è l'ul tirna. Nel silenzio pneumatico già cala l'immenso cate.ialco, e sul gorgoglio che l'inghiotte l'aerea strega stende il suo velo selenico. Ed è questa finalmente la fine. Questo il ricordo Fumavano i camini, e l'aria quieta odorava di neve e di ginepro bruciato e.i focolari; lembi e.zzurr; salivano, e la stel'la d'oriente bril!lava sopra il monte sola e pura. SI velave. Je. pel1la occidentale nello specclùo ghiacciato delle. fonte. Cadeve. il buio sul paese, fitto d'antiche mura, alle finestre i fuochi delle cucine ardevano alle stalle taceva H ruminar delle giovenche negli storilli donnivano i ge.W; pendevano a!l ce.mino le lucerne sui folti odori d'aglio e spigonardo, E la casa, nel gelo alto dei monti era calda d'arorni e vini, e Heta ' di care VOCI attorno al focolare, dove Ja dura brace pa ~pite.va di ceneri e scintilJ.le se nel ciocco il nonno sfruconava allegre fiamme, Ere. l'ora che 1a mite Sant'Amico ritornava <lai bosco al suo convento col lupo avanti carico di legna, docile più del ciuco divorato. La favola dell'ave. apriva l'ali al pensoso stupore del fanciullo: pastori, zampognari, greg,gi e re su cavan; In gualdrappe e l'alta stella che guidava il cammino 'nelle. grotte. brulicavano nel!le. fantasia. Poi nella notte suoni di campane di <paese in paese, e dalle case esce la gente a lume di le.nteme. Spalancata è la g:,orta della chiese. suJ,Ja paglie. ,ucente c'è il BQmbin~ nato stanotte, ignudo: « Guarda - il nonno dice arr fanciullo stupefatto - a tutti Egli sorride, e. tutti noi che siamo su questa terra, e ci tende le braccia piccoli e grandi•· Ed il fanciullo gu~rda quel Bimbo ignudo sulla nude. paglia, tra la Madonna col viso chinato e San Giuseppe con la mazza in flore. Tr~mano voci angeliche nel buio irrorato di lumi: « dalle stelle Tu scendi. o Re del cielo •, e il cuore trema con la voce dell'organo, rapito non sa perchè nel vento degli spazi. Questo il ricordo, o questo forse il sogno. Con Repacl a Castellana, nel '54 TiUa Rosa a Milano Balcone a San Marino L'ansia festose. di salire al chiasso dei vichi nel mattino di settembre, giovani ancora, immersi come pesci nel tepore assolato d'un ecque.rio e leggeri alle. luce che dal mare Ci irrorava d'una filuida ebbrezza come un vento le vene; e l'avventura nel labirinto delle sale - emblemi, fasti di re, glorie, sventure, feste - trova Inatteso approdo e. quest'aereo balcone: ignoto prime., e così alto sulla città: distesa meraviglie. dal roseo digradar di tetti e cu,pole, al golfo( e.i moli, dove sparse navi paion conchiglie ed ali dl farfalle le vele. Quasi una veduta antica del museo. E quell'ansia di festa che cl e.nlmava i passi non è altro che lieta giole. adesso, senza fine -cosi vorremmo-e.gli occhi nostri, incanto di stupenda bellezza. Ma nel cielo argento e oro, sopra quel clamore folto di vichi, dove li formicaio umano giunge qui come un effuso brusio e vibra di liete campane domenicali, improvviso s'avventa Il fragore metallico e fischiante di tre apparecchi e. reazione: torvi di scienti.fica furia, il quieto cielo assaltano Impennandosi e con giri furibondi, sl tuffano, urlo atroce, dentro quel cielo fragile. Ci scatta rapido il sangue e.I ricordo ... E l'Incanto dl queste. immensità, nella letizia degli occhi vivi d'anima godute. si sfrantuma in angoscia. ' Napotl, ottobre 1955. L'ultimo saluto Ch'io non ti lasci in un giorno d'aprile quando dal ramo appena verzicante il passero il bel tempo risaluta e già l'orto in un urgere segreto di linfe fiori sogna. Sono giorni che la natura è come una ragazza ch'apre le ciglia, immersa nel tepore d'una stupenda cosa, e cosa sia non lo sa e.ncora, me. un'immensa gioia ignota ne pregusta. No, il mio viso d'opaca cera, il naso smunto, estraneo com'è la morte al vivi, dentro l'abito nero disteso, quello che ho indossato una o due volte e.I Piccolo Teatro ed un'altra e. una prime. di Strawinski, sarebbero una stupida protesta, o una beffa inutile alla vita. Invece, ben più giusto ch'io ti lasci nel mese che la mosca più ottimista d'autunno ai vetri ronza. e fulm,nate. dal freddo resta finalmente immota. Non dico per· un simbolo, Ma giusto ch'esso coincida con quest'atto minimo nei destini dell'essere, del resto non diverso da un'esplosione atomica per milioni d'uomini, o dall'ultimo cadere d'une. foglia dal frondoso platano che tant'ombra ha prodigato al balcone dove ho chiesto riposo per lunghi anni affaticati. Inerte anch'essa s'abbandona al tramontano tra folate di fumo dai C8minl delle squallide C8Se in condominio. Logora foglia, vecchia mosca, uomo ci salutiamo alflne eguali, insieme ' inseriti neH'ordine comune. GIOVANNI Tl'l'TA ROSA

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