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Enzo Tagliacozzo

Un libertario dimenticato

Tempo Presente, Vol. II, n.12, dicembre 1957

Vi è una belle époque anche del socialismo e dell’anarchia: gli anni verso la fine del secolo scorso, quando la fede nel prossimo avvento di una società migliore nutriva quanti si occupavano di idee e di problemi sociali. Leggendo una scelta di articoli e saggi di Saverio Merlino, composti fra il 1890 e il 1896, ci si immerge in pieno nell’atmosfera di quegli anni che costituirono l’ultima grande e felice stagione dell’Europa. Il volume Concezione critica del socialismo libertario, pubblicato da Aldo Venturini e Pier Carlo Masini in occasione del centenario della nascita dell’anarchico napoletano, pur contenendo scritti composti in un numero limitato di anni, serve a dare un’idea abbastanza comprensiva del pensiero del Merlino; i compilatori vi hanno premesso un’ampia introduzione che chiarisce l’intero sviluppo del suo pensiero, hanno aggiunto pagine sparse di valore autobiografico, hanno dato in appendice una bibliografia assai ampia e hanno riassunto una polemica di fine secolo che mostra la parte di primo piano avuta dal Merlino nelle discussioni sulla crisi del marxismo che si svolsero in quegli anni anche in Italia.
Sia Antonio Labriola (che lo detestava cordialmente) quanto Benedetto Croce fecero il possibile per mantenere Saverio Merlino nell’ombra. Il primo non volle degnarlo dell’onore di incrociare le armi in polemica diretta con lui e dette incarico a un suo giovane discepolo (forse Andrea Torre?) di attaccarlo, cosa che questi fece in maniera stupida e volgare. E quanto al Croce, nella Storia d’Italia e in altri scritti, la crisi del marxismo viene ridotta alle critiche di Bernstein, Sorci e a quelle di Benedetto Croce. Ora, volontaria o meno, questa completa dimenticanza dell’opera del Merlino (il quale aveva cominciato a criticare il pensiero economico e politico di Marx fin dal 1891, ossia diversi anni prima che se ne occupasse il Croce) è ingiusta, e bene hanno fatto il Venturini e il Masini a sottolinearla. Così pure, nella sua Storia d’Italia il Croce non accenna neppure all’esistenza del libro del Merlino L’Italie telle quelle est, pubblicato a Parigi nel 1890, che pure è uno dei pochi saggi d’insieme che possediamo sull’Italia reale al tempo del primo ministero Crispi. È vero che quel volume è un atto di accusa feroce contro l’Italia liberale e ufficiale esaltata dal Croce, ma in complesso i fatti esposti sono veri, e per giunta ricavati da fonti in massima parte conservatrici. Chiunque legga Questa è l’Italia (sotto tale titolo il volume del Merlino è stato pubblicato nel 1953 nella traduzione italiana) vi troverà una quantità di notizie sull’arricchimento illecito della borghesia italiana attraverso la usurpazione delle terre comunali, l’acquisto dei beni ecclesiastici, la liquidazione del patrimonio degli ordini religiosi, eccetera, difficilmente rintracciabili altrove.
Saverio Merlino nacque a Napoli nel 1856 e fece gli studi giuridici in anni in cui nell’Università napoletana insegnavano il De Sanctis, il Settembrini, l’Imbriani e il Tari, di cui ascoltò le lezioni. Compagno di scuola di Enrico Malatesta, dopo l’arresto di questi per i fatti della banda internazionalista del Matese nel 1877, difese gli imputati alle Assise di Benevento quando era poco più che ventenne, con la convinzione che gli veniva dal condividerne gli ideali anarchici. Dopo alcuni anni di attività politica, nel 1883 il Merlino e il Malatesta vennero arrestati sotto accusa di avere costituito un’«associazione di malfattori», come allora venivano definiti dal codice penale i gruppi anarchici. Il processo ebbe luogo a Roma nel 1884, ma il Merlino riuscì a riparare all’estero e a sottrarsi così alla condanna. Rimase fuori d’Italia circa dieci anni, durante i quali visse in Francia, in Belgio, in Inghilterra e negli Stati Uniti, e collaborò assiduamente a riviste francesi, inglesi e tedesche. Rientrato clandestinamente in Italia nel 1894 perché per il movimento dei Fasci siciliani e il moto della Lunigiana gli parve che il paese fosse alla vigilia della rivoluzione sociale, fu denunziato da una spia e rimase in prigione fino al 1896 per scontare la vecchia condanna. Uscito di carcere, aderì tra i primi al partito socialista e fu il difensore del regicida Gaetano Bresci, ma abbandonò di lì a poco la politica per darsi all’avvocatura. Nel 1924, il Merlino pubblicò un opuscolo contro il fascismo e l’anno seguente, presso l’editore Gobetti, un libro sulla magistratura. Morì nel 1930.
Il Merlino passò gradatamente dalle posizioni anarchiche giovanili a posizioni socialiste, ma di un socialismo libertario, diffidente verso ogni forma di collettivismo burocratico e dittatoriale. Fu uno dei pochi anarchici e socialisti italiani che si occupassero di teoria, fece del suo meglio per informarsi di quel che avveniva fuori d’Italia, e si dette a studi di economia oltreché giuridici e politici. Criticò le tesi economiche marxiste quando pochissimi in Italia avevano affrontato la lettura del Capitale. Condannò l’elettoralismo e il riformismo quietistico dei socialdemocratici tedeschi e degli altri partiti socialisti che si modellavano sul partito tedesco, ma al tempo stesso polemizzò contro il semplicismo delle scuole anarchiche individualiste e respinse ogni forma di terrorismo individuale. Ebbe una visione disincantata della realtà del regime democratico parlamentare, anche quando cessò di propugnare l’astensionismo elettorale e aderì al partito socialista. Inoltre, le concezioni giovanili che sfociano nelle note soluzioni di libere associazioni di lavoratori, di cooperative di produzione e di consumo da sostituirsi allo Stato, dopo la «presa di possesso» rivoluzionaria dei mezzi di produzione, cedono gradatamente il posto a una visione più realistica della complessità della società moderna e dell’organizzazione dell’economia in regime collettivistico, sicché le critiche merliniane al centralismo amministrativo, alla mitologia costituzionalista e parlamentarista, all’eguaglianza puramente giuridica associata alla conservazione delle diseguaglianze economiche, alla severità ingiusta dei codici penali borghesi, si riducono a una difesa della verità e del buon senso.
Nelle critiche all’economia marxista il Merlino si mostrò più indipendente e andò più a fondo di molti suoi contemporanei. Egli giudicò falsa la supposizione che il capitalista fosse il grande Moloch che da solo assorbe i frutti della fatica dei lavoratori: «II proprietario, il commerciante, il burocrate sono nascosti dietro di lui. La verità è che proprietà, commercio e governo, vale a dire rendita, usura, imposte... esercitano una grande e funesta influenza sullo stesso contratto di lavoro e sugli scambi in generale... Marx stima molto meno del loro valore la parte che ha lo Stato nella spoliazione dell’operaio, le rendite che esso distribuisce alle diverse branche della classe dirigente, i servizi che rende agli uni e le esazioni che fa subire agli altri». Secondo il Merlino le ingiustizie sociali sono assai anteriori al contratto di lavoro e hanno radici in secolari usurpazioni. Egli osservava in uno scritto del 1891: «Marx prende a prestito la sua terminologia e le sue comparazioni dalla teologia e dalla mitologia. Ci sentiamo trasportati nel più ideale, nel più utopistico, nel più assurdo e nel più mistico dei mondi».
E già notava l’estraneità del socialismo marxista a tutte le questioni che interessano la classe dei contadini, e faceva alcune giuste osservazioni sul pericolo costituito per la rivoluzione «dalla tendenza degli uomini ad imporre la loro volontà... La violenza, messa dapprima al servizio di uno scopo lodevole, ingenera negli uni l’abitudine di comandare, negli altri la disposizione a obbedire. Quando si arriva a questo, la rivoluzione è perduta».
Nel 1893 dedicò tre lunghi saggi a criticare le idee di H. S. Spencer in materia di economia, diritto e politica, ed ebbe buon gioco contro quel banale tipo di individualismo borghese che portava lo Spencer a conclusioni assurde come quella che «la povertà dell’incapace, le strettezze dell’imprevidente, la fame dell’ozioso e lo schiacciamento del debole da parte del forte... sono i decreti di un’alta chiaroveggente benevolenza». Lo Spencer era il filosofo alla moda, il beniamino della borghesia benpensante. Alcuni socialisti italiani, come il Ferri, facevano dei pasticci intendendo conciliare Darwin e Marx con lo Spencer, ed era quindi opportuno criticare la superficiale sociologia e filosofia di quest’ultimo. Si può essere democratici ed essere al tempo stesso convinti che la realtà dei regimi parlamentari è assai lontana dalle finzioni teoriche dei costituzionalisti. Nelle sue critiche allo Spencer, il Merlino si appoggia a scrittori politici americani come il Clark e Woodrow Wilson. Quest’ultimo ammetteva che, mentre la finzione costituzionale è la divisione dei poteri e il controllo reciproco, nei fatti, il potere esecutivo e giudiziario, i deputati e i grossi elettori sono tutti tacitamente uniti. E aggiungeva che la sorveglianza reciproca dei partiti e dei poteri, i freni e i contrappesi del sistema parlamentare «figurano nei libri, ma non funzionano nella pratica». Il Merlino, per parte sua, commentava: «La dottrina costituzionale pretende che la nazione deleghi i suoi poteri ai deputati, questi al governo, il governo ai suoi funzionari, che eseguiscono così la volontà della nazione. In verità, la nazione non ha che un potere virtuale. Il potere reale risiede in alcuni personaggi del mondo politico: i capi di partito, i front benches delle Camere, i membri delle commissioni del bilancio; insomma un circolo intimo, i membri del quale soltanto sono ammessi alla conoscenza dei segreti della politica internazionale e dei grossi affari, e hanno una parte preponderante nella ripartizione del bottino. Il potere discende, non sale. Il governo dà l’impulso al Parlamento, questo per mezzo dei grossi partiti e dei grossi elettori al corpo elettorale, che diventa così il riflesso della volontà del governo e l’istrumento della propria servitù». Questi e altri spunti straordinariamente interessanti (fra cui una critica della teoria marxista del valore, e un’impostazione del problema in termini di società e non di individuo) ci consentono di considerare Saverio Merlino come uno dei libertari italiani più moderni e più stimolanti.
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