questionario ia q,,,e,O,U(>ne, de,l. cinq,u,e,oontoGiu .. ppe Grieco. dolla scuola allievi ufficiali e sottufficiali d'artiglieria di Tripoli· Oue3ta volto voglio parloro del cinque• cento, di quasta vecchio quealione del cinqu1;1c;(lnto. Voglio parlarne secondo 1I nostro eon~tto che idenlificc la nazione nella lingua e che nguordo l'opera d'ari& da anisto, cioè come uno coso viva, polpitonto, reale, e non come un'astratta espressione del pensiero sulla quale sia possibile e giusto obbo:'ldonarsi alla più sottile analisi (direi analomia) peiooloçica ed es1e11cc. Ci à stato insegnato rifacendosi più o meno a Do Sanctis, - e qD.1 tengo o d:- chiarare es.plicito-mento che rtl'!llsuna antipatia pet$0nole mi muove contro De Sanctis, al quale, invece, debbo una prima idea chiara e co~prensiva della letterotura italiana - che 11 cinque,cento, pur essendo il secolo d'oro dello nostro lingua, sia stato, rn fondo, un secolo generalmente vuolo ed arido. Tuttavia b1S09na riconoscere che, partendo dalle prcm,e,sse della scuola, diciamo co:o;l, romantica, questa era la conclu.sio.1e più logica e pii) giusta a cui ai Po· leva giungere. Ma ormai, dopo quanto ob• biamo doito i::iul n:odo d1 considorare l'arte e la lcttc:atura, s'impone la neces.silà assoIulo d1 un completo rifacimento d1 tut1a la storia di questo secolo. lo non pretendo, in queste poche righe. di risolvere lo queiuione. M1 basta po:la. A tal uopo non mi occorrono molte parole. Am:1 me no b=tano poche.molto poche. Ecco; abbiamo dotto che la nazione si idenlthoa principalmente nella lin9ua: dunque il cinquecento, che è indiscutibilmente il tecolo d'oro della nostra lingua, deve essere anche il $0COlo d'oro della nostra nazione. Ma, potrà obiettare qualcuno, qui si voleva pcularo della letteratura. non della ncu.iono. E questo è il punto, un punto ~ul quale non si insisterà mai abbostonza. E" un Jal1o mnegobile, che negli ultimi lre secoli - sei, sette ed ottocento - la lolloratura si sta, nella sua maggioranza. dt• ,,taccata dalla vita della nazione e aio diventato un affare di ca.sto e d! accademte. Vi sono state, naturalmento, dello grandi occe1ioni, mo la l0to - diciamo cosi - so• litudino non la che con!ermare quanto ho detto più sopra. Ora questo è il male pe9• giorv che poua accadere a una nozione· non rico:i.oscorsi più nell'opera d'arte dei suoi !19\i, non vedere rispecchiato in essa il suo volto. Alloro vuol dire che il senso di nazione. cioè quel modo comune di vedere ,1 immaginare lo =e, si sia al!ievoli!o, o quanto meno, resto sepolto noi cuori in ouesa d"una nuova primavora. Infatti, il sei èd il settecento, che sono indiscuttbilmento i socoli PG9giori della nostra let1era1ura, non sono anche i più lristi della noslra storia? E quando, agli albori dell'ottocento. cominciò la n&e0:sso nazionale dell'llaha, da dove cominciò $0 non dallo letteratura? Ho detto questo por dimostrorè lo nece-ssi1à assoluta che na1ione e lingua sì rlspecchino o vicenda. Ma es1ate un proble• ma dello leneratura avulso do quello della lingua? Certamente no. Dunque 11.cmquocento deve essere anche il socolo d'oro dolio nostro letteroluro. Ma. potrà obiettare il solito ipotetico lettore, il cinque-cenlo non ci ho dato nessuna Divina Commedia. Giusto. E con questo? A parte 11 fallo che i; genio di Dante è un dono divino pauUoBlo raro o che le lellera.tura non è lotto solo d1 geni, r&slo al cinquecento lo gloria d1 aver lormalo la no.tra lingua, appli- · candola alla letteratura. E se ha formato la stra Jmgua vuol dire che ho formato anche lo nostra na:ione, ci~. come ho det• to, quel modo comune di vedere e immagmore le cose. Ce n'è dunque abbastanza per formare la glorio d'un secolo] Io ta questione la vedo cosi: Dante, col tuo genio d,vmo, scolpl nella motorio grezza doll'immogmcu.ione volgare il monumento imperituro dello Commedia che le gen1i poi chiamarono Divina e sbozzò - direbbe uno scultore - a grandi hnee 11volto della giovane ncn1one italiana. Più o meno, e con le deb11e diatonze, lo alesso compito assolsero tulli gl 1 arlisli llaliani Imo al cin• quecento, il quale, raccoqliendo l'eredità do1 $(!COii e:corai, porlò Q compimento l'opèra in ogm sua pwle. Cosi, nel cinquecento, lo hnguo ;ta!iana acquista linalmento la sua slru1lura e quel!: ncc!-,eua e vonetà di vocaboli che !a rencior:o aua ad esprimoro perfettamente tutto ciò che colpisce :'immag na:zione e la fantasia dell'uomo. Solo nel cinqueC(lnto, dunque, la lingua - e quindi lo nazione - ilahana può dirsi comp1u1omenle formolo in ogni su1;1 porle. Manca solo \'unità politica che verrò raggiunta solo più lord!, molto più tardi. Ma se non s1 fosse compiuta prima l'unit6 spirituale della lingua, non solo l'unità politica !orse non si sarebbe mai raggiunto, ma noi non avremmo mai potuto parlare di una :icnione 1ta!iona. </,a,ti,i,e, alla, ~nde,"a ~ U,111,Ui, Giunpi,. An9eloni, dalla concessione ila• liano di Tientsin, via marchese di San Giuliano. 6 (Cina settentrionale): Voi cho avete i mezzi di indagmo e di consultazione. nonchè la vostra collura. pubblicate una cronistoria del lavoro italiano all'estero. Servirò a Jissore le idee doi giovani invogliandoli a migliorare se stessi, onde essere degni del nome di lavoratore, ed a cone1d,nore allo stesso livello tultì CO• loro che lavorano e producono in ogni campo dell'oitivitò umana per lo maggiore grandezza dolla Palria. Soltanto cosl non ,i parlerò più di e discondore :. ma di e andare verso il popolo •. por fondersi con esso e rendersi sempre più degni dei destini d'Italia e potremo eseguire i comandamenti del Duce dimostrando di averne OS$imiloto, eon lo lettera. anche la sostanza. Sono d-,llo cloS$& 1879 (vi piace l'eufemismo?) e da circa 40 anni giro il mondo, non come operaio ma da lavoratore che ho potulo ammirare le opere degli umili un po do per 1ut10 ed ho avuto ragione di sentirsi org091ioso per quanto il popolo ha !ano al d1 là dei conlini ancho quando non era sorretto da uri governo capace di pro• leggerlo. Cosi ci ha scritto Angelo!'li. Accluso olla sua leuera, egli ci ha inoltre mondato uno aua osserva1ione, nguardo alle nostre discussioni, e nel pubblicarla, non poasiamo foro a meno d1 mandare un aflelluoso saluto a questo italiano, che vive 1n Cino e pensa a11·11aho, e dirgli che non c1 siamo d1menticat 1 del lavoro degli italiani all'estero, e ch,e, riceverà quanto prime il [oscicolo che a questo argomento dedicammo, il S dicembre XVIL Giuseppe Angeloni dunque ci dice· Giuseppe Mar1ini a pog. 42 del N. 3 del S dicembre 1939 od un cerio punto scrive: e Scendano gli studenti Ira gli operai sporchi d1 h.,mo delle officine, della colce dei conhort e del longo delle miniere, sen• :za paura di 3porC<JTSi il vestito e di 1mbtot• torsi le ;;corpe, scendono Ira il popolo, osservino la suo vita, ponelrino i suoi moti, i suoi sentimenti, le .sue aspira.z1oni. E dopo avere comp:eso come vive pensa e sente l'opor.'.lio dif:◊ndiamo il razzismo Ira 1I pupol0i prchè solo cosi si la il popolo ita• ilano>. No, caro rogano, non è con questi conootti uhraborghesi che e loroi > il popolo italia~o. il quolo è già fa1to da un pezzo e da un pezzo ha capilo il concetto d1 rcn1a. Se ave33l ~iaggiato cd avessi veduto ne! Congo, nell'olla vnlle del Nilo, in ASla Mir.ore, in Jndo-Chin::i, in Ru•11ia i,cu\le lflrrovie o nelle mimare con quanto entusia::1mo 1 r:cstri lovoro.to1i. che per tutto il mondo hanno ~parso i lesoti della loro intelligente e probo ottivilò. accoglievano il conno- :zionale e lo salutavano sol che ayessero poluto riconoscotlo nella corsa di un treno o di un battello fluviale, non parleresti della !'lece:1-sitàdi e scend~re Ira gh operai :t. Se o-vessi udito dire dello resi.stenza dei nostri mu~aton di Aigue.s Mortes, massacrati a lurore di popolo dai e comP:Qgni • di Fran• cia; ,e pensassi alle e Little Jtoly > delle metropoh amori=•· agli l\aliam di Tuni• al. 01 ~11caton di Gabes, rifugiatisi a Zua• ra. per vivere in territorio itoliono; so sapessi che all'epoca dei e nvoleth d'oro:., quando il bilancio nazionale sommava oppona a tre miliardi, lo rimeue degli emigranti ammontavano ad un miliardo circa. vedresti che il nostro popolo ha sempre alta J'ldeo dello razza e della palria. Non è il popalo eh& devesi e lare>, bensl e lo boiohe.sia :t, non onC'Ora scomp::usa r.ell'onno XVIII e duro a morir&, che devesi e d1slote •· se tu, che sei ancora un toncìullo, porh da e discendere>. Mo domanda ad lnterlandi di pubbhcore la lista delle opere costruite nel mondo dai nostn operai, la li,ta delle affermazioni doi nostri artigiani ~d artisti, dei nostri novigatori. dei nostri moestl"i cli musica e can• tonti, quasi tutti usciti dal popolo, e poi, sgomento, vedrai che non si tratta di discendere, ma di salire. · E da quale mai superba alte-zza vorresti discendere?
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