La Difesa della Razza - anno III - n. 6 - 20 gennaio 1940

U n noto studioso dell'antichità ronuna ha a,•uto a rileva.re lo Sir.ano fatto, che nelle tradizioni e nelle figurazioni delle rauc arie e particolarmente in quelle romane, si constata l'interferire e quasi il fondersi di un gruppo di entità simboliche: la nozione di anima, concepita comt dèmonc, genio o « doppio », ,., ad a,•crc dei tratti comuni con quella di « furie», Erinni e di varie dee delle battaglie le quali, a loro ,·olta spesso appaiono come dèt della morte o del destino e, infine. trapasuno nella figura di dee della vittoria. (1) Si può affe,marc smz:i incertezza che la parte più importante della spiritualità del mondo antico ci rimarrà lettera morta, fìntantoc:~. seguendo il pregiudizio «positivistico», nel mito e nel simbolo null'altro sapremo vedere che delle figurazioni fan~stichc, arbitrarie e spesso superstiziose, il v2lorc delle quali, 2I massimo, può esser solo quello artistico. La verità. è im•cce che il mito e il simbolo alruomo :antico valsero come lo strumento più adeguato di espressione di significati spirituali: in essi egli drammatizzò, per dir così, la .sua dperienza. di contatti con forze profonde, il suo adombramento di poteri e di processi svolgentesi i.n un piano che, rispetto alle facoltà mùtile dell'uomo moderno materializzato e chiuso nella prigione del suo cerYello, può ben dirsi trascendente. Ciò che è la formulazione concettuale rispetto alle idtt astratte dell'uomo moderno, ci6 fu il simbolo e iJ mito rispetto ad-un mondo superrazionale, compenetrato di significati metafisici, animato dalle forze mistiche del sangue, della raua e della tradizio- . ne, nel quale C$SCOZialmentvei\•eva l'uomo antico. Rendersi conto di ciò ed a\·er dunque un nuovo sguardo per i documenti silenziosamente contenuti nel mito e nel simbolo dell'antìchità tradizionale, significa dunque aprirsi vie insospettate per una ricerc.l suggestiva, i cui risult.tti, per l'ordine stesso al quale si riferiscono, vanno ben oltre quanto le vuot:e e miopi ricerche accademiche e .: critiche», filologiche e archeologiche, possano mai dare. Ciò lo si potrà vedere già in un singolo esempio, e cioè cercando di penetnre il significato di quell'associazione .singolare di entità mitiche, su cui il Piganiol ha attirato la nostra attenzione. Per questa via, ci troveremo infatti condotti a conoscere in modo ben preciso un aspetto tanto importante, quanto ignorato dell'antica spiritualità eroica romana e in genere aria, riassumentesi nella do1tri11a111is1ild'atlla Villoria, Per venire a tanto dobbiamo cominciare col prttisue il senso nascosto delle anzidette figurazioni e cosi, anzitutto, dcli'« anima» umana concepita come« dèmone »,«genio», o« doppio». Si allu. de, qui, a quella foru profonda, vinta, per dir così, della "ita, che sta dietro al corpo e alla coscienza finita di ognuno, a regolarne i processi. In termini aristotelici, si può dire che es.sa è l'« entdcchia », vale a dire la forza formatrice, del nostro essere però non senu una precisa relazione alle forze mistiche della rana, del sangue. Infatli, nel senso antico, non in quello che esso :t.ssunse poi nel cristi.1nesimo, il « dèmone » è più o meno simile ai « fari», enti mistici di una gente, di cui Macrobio (2) dice: « Es.ii sono gli dèi che ci fan vivere. Essi nutriscono il nostro corpo e regol1no la nostra anima ». L'uomo antico "edeva dunque nel dèmone o doppio una foru superiodividuale, che presiede segrcumente a tulti quei processi del corpo e della mente, a cui la coscienza. ordinaria non giunge, ma che pure condizionano la nostra esistenza e il nostro destino, avendo inoltre particolare importanza risp<.-ttoa tutto ciò che è qualità di « rana », di «gente» in senso superiore. Si può dire che fn, «doppio» e coscienza comune esiSl.l, per 1al \'ia, un rapporto, come di prifl(ipioi11dit:idHanaltprin. dpio ù1di,idua10. Il primo, secondo gli antichi, è una forza supc-

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