La Difesa della Razza - anno II - n. 3 - 5 dicembre 1938

' Il martirio di S. Lorenzo, di Antonio Leoni . - ,, __ , ....... ~ - .X-;. . ;,.;t. ., I "' •• ~ .,.,,,~ ,.: ; ... /---"""' Si parla oggi· molto di universalità dell',utc italiana. Da polemisti, da critici e da organizzatori si sente dire: « Bisogna che la nostra arte torni ad essere accettata in tutto il mondo; che le nostre esposizioni all'estero incontrino l'interesse di tutti; che i nostri artisti, possano, ancora una volta, essere chiamati ad operare presso altri popoli ». Intenzioni senza dubbio belle; ma c'è in quelli che le mostrano un curioso modo d'interpretarle. Essi aggiungono: « Oggi esiste una internazionale dell'arte: in essa bisogna prima di tutto entrare. E' l'unica possibilità, in questo campo, di non restare provinciali, e di riacquistare quell'universalità che abbiamo da tanto tempo perduta. » Insomma : per essere universali bisogna cessare di essere noi stessi. Rinunziare alla nostra originalità; subire la guida e l'imposizione altrui. Da soggetto diventare oggetto; ma di che cosa? e a quale scopo? Poichè quella che oggi si chiama « l'arte europea» ha una sua logica, una sua coordinazione ed un suo scopo. Al quale dovremmo prima di tutto sottometterci. Per di più i nostri artisti dovrebbero far parte di una specie di lega -che il miraggio dell'arte comune costituisce, di fatto, tra- quelli di molti paesi. Una specie di Lega delle 1 azioni artisti-ca; resa ogni giorno più visibile da riunioni, congressi, manifesti e riviste. ' Ma, dato che ciò non fosse pericoloso, anzi che fosse addirittura utile; che veramente <l'universalità» acquistata a questo prezzo, cioè con la sottomissione alla oligarchia (di ebrei e non ebrei) che da trent'anni, palese o nascosta, dirige le sorti dell'architettura, della pittura, della musica, della letteratura d'Europa, desse una posizione di rilievo ai nostri artisti, e non li facesse piuttosto comparire come dei serYi che s'adattano tardi e con isforzo al linguaggio dei padroni; e s'inchinano sempre, sorridono sempre e ricevono sempre ·pochi complimenti, risposte secche, seppure, qualche volta, le ricevono; concesso, dunque, che queste conseguenze non fossero importanti e non avessero un gran _peso sul morale, resterebbe sempre da chiedersi: porterà ciò almeno a qualche risultato nell'arte? Sarà ~iò, -prima di tuttq, possibile? A parte la vergogna della dipendenza, è mai possibile che andando contro il nostro genio e adattandoci al genio degli altri, cioè rinnegando la nostra razza, possiamo mai acquistare nelle opere la ·perfezione; e, per mezzo di essa, tornare ad essere apprezzati e onorati come una volta? Poichè solo questa è la strada per raggiungere ]'universalità; e 1ion quella per cui ci si riduce alla più vile di tutte le azioni: il rinnegare la propria razza. Non l'universalità, ma la notorietà si otterrebbe in tal modo,· una notorietà da rinnegati; e non si potrebbe citare argomento peggiore di quello (cui anche in questi giorni s'è ricorso) che la pubblicità creata dalla stampa internazionale intorno ad artisti seguaci dell'internazionalismo (per indicarli all'attenzione del nostro paese e disorientarne così la risorgente vita artistica), possa, in qualsiasi modo, giovare all'Italia. *** D'altronde c'è un fatto che con la sua eloquenza ·toglie ogni discussione. Solo quando l'Italia si liberò dal gotico, cioè quando nel Rinascimento ritrovò l'arte della sua razza, quest'arte divenne universale. Allora i, nostri artisti co1ninciaro110ad essere richiesti dagli altri popoli. Ciò durò fino a quando si riuscì a mantenere intatta l'italianità della nostra arte. Quando questa finì, i nostri finirono di essere ricercati. Non più essi allora, ma i loro predeBusto di Beatrice d'Aragona, nel museo di Vienna

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==