U:: avanguardista d'un liceo milanese ci ha scritto una lettera e ce l'ha mandata così piena di calore, come è uscita dal suo animo, spinta da entusiasmo ed anche da ribellion·e. Egli dice che con il fascicolo della Vittoria, la nostra RivistQ abbia fatto vedere la sua concezione eroica della vita, e che, profondamente colpito, non possa fare a meno di esporre ciò- che, come lui, molti pensano, molti coetanet avanguardisti, studenti, s'intende, come lui, del liceo milanese. « Se il rci~zismo .- egli scrive - si pro~ pone di sublimizzare ciò che di più puro e reale .v'ha nella vita, il sangue, e di im- 'pedire che venga misconosciuto od invilito da ibridismo, ebbene il razzismo deve avere, ed ha infatti, delle basi filosofiche e morali: · il razzismo non deve " essere trattato da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose". Questo comma del decalogo razzista umilia e tarpa le ali a ciò che io .intendo un sublime ritorno alla v-ila, ed al riconoscimento dei suoi valori eroici, puri ed eterni. Come può un giovane che attraverso gli studi classici . vive· nel mondo pagano, che ha esultato nel conoscere la possente rinascita del cullo del bello riel '400 e nel '500 un giovane che s'è' putrito di Carducci ~ di Nietzsche come del pane, un giovane che ha sentito il ritmo dei versi dannunziani pulsare come il sangue generoso nelle sue stesse vene, come può un giovane non vedere nel razzismo anzitutto il rinato culto della natura, mistico e puro? « E se il razzismo è ciò che io dico perchè _sopportare una religione che umilia la vita, che al principio del suo dogma, con la concezione " immacolata " bestemmia l'amore purissimo, che a base della sua elica ha la rinuncia, negando ciò che è ·al principio della vita stessa, l'eroica volontà di potenza? » Quando un giovane si esprime così - aggiunge - la saggezza degli adulti lo accusa di boria ·e lo compatisce: ·ora egli si rivolge a noi, perchè la nostra Rivista difende·· i -valori eroici, nel difendere la razza, e dice che dopo un'ora di sana fi- ' !osofia fascista; non si possa sopportare una meschina ora d'.insegnamento religioso, durante la quale l'insegnante crede opportuno inveire contro il razzismo, dicendolo contrario 1oxlla concezione cristiana della eguaglianza .delle genti. Dice pure: " E' ripugnante che dei giovani, dopo avere impugnato un moschetto o avere vinto una gara allo stadio, vadano a rinchiudersi in alcuni oscuri oratori, e perdano, per le meschine parole di un prete quella religione della vita e .della natµra, quell'amore per· !a lotta e per l'attimo eroico che è insito nelle loro vene e che è loro donato con la vita stessq, superba eredità romana e pagana». Lo sfogo di questo avanguardista si chiude con la giustificazione della fede che egli nutre nella vita e in Roma; e noi ne abbiamo voluto parlare, perchè è necessario conoscere lo stato d'animo dei giovani intelligenti, quando è sincero, e perchè in questo sfogo si racchiude una delle più importanti questioni dell'educazione nazionale. . . Questo avanguardista, cresciuto alla fede di Roma, non ha il sòspetto che .Roma nac- , que cattolica ed era cattolica prima di diventare cristiana, e che perciò potè fondare il cattolicesimo; è che il Rinascimento fu splendore cattolico, e cattolico è tutto quello che è romano: che "il cattolicesimo non è questione d'una confessione, per noi, JRlA-ZZA JE 4[A1r ma questione di nazione, cioè di natura e di genio. Noi nascemmo cattolici: volle la provvidenza, dice Vico, che l'impero romano fosse in ogni particolare fatto a posta per diventare l'impero della Chiesa. Ma non è colpa di questi giovani schietti, · appassionati, intelligenti, se spno rimasti lontani dal concetto cattolico, se il loro nativo sentimento non si è aperto, se innanzi ad una contradizione, s'impennano,. diventano conseguenziari, protestanti, riformatori. La colpa è dell'insegnamento, ancora fondato sulla cultura: non questa o quella cultura, ma su quella ch'e è' propriamente la Arte nostra e def Un laur.eando in architettura, che chiameremo D. G. per assecondare la sua modestia - giacchè abbiamo il sospetto che non ultimo tra gli scopi della lettera da lui scrittoci sia stato quello di farsi della pubblicità - dice di aver letto " con curiosità · e stupore" l'articolo di Giuseppe Pensabene su « Arte nostra e deformazione ebraica» (apparso nel n. 6 della « Difesa della Razza »). La curiosità del D. ·G. deriva senza dubbio dalla sua ·qualità di laureando, che lo fa giustamente ansioso di apprendere i segreti dell'arte cui vuol dedicarsi. Lo stupÒre deriva dalla presunzione d'aver già appreso abbastanza e dal con.vincimento di potere addirittura insegnare. D. G., infatti, sentenziçr e sentenzia male; nè gli risponderemmo se si limitasse a far questo. Ma siccome D. G. ci' rivolge delle domande; e siccome pensiamo che la risposta gli possa esser utile, ai fini di una buona laurea; abbiamo voluto dar lÒrga soddisfazione alla sua curiositò. * * * Noi rispondiamo sempre a tutte le lettere; anche quando contengono delle sciocchezze. Il credere, come fa il D.G., che vogliamo rifiutarci, rivela una mentalità molto diversa dalla nostra. Comunque, eccomi pronto a ciascuna delle sue domande. I) Nel mio precedente articolo, dal titolo « Arte nostra e deformazione ebraica», avevo citato due passi, uno dei « Dialoghi michelangioleschi ~ di Francesco d'Olanda; e l'altro de « L'arte di edificare» di Leon Battista Alberti. Nel primo, Michelangelo espone ed illustra ampiamente questa tesi: nessun popolo è stato mai dotato da natura di una cosl alta disposizione per il dipingere come il popolo italiano. Nel secondo, l'Alberti dice di avere attinto il suo sapere in architettura dal continuo, appassionalo, in- 'tenso studio degli edifizii classici. Ora D. G. mi domanda: che c'entrarlo Michelangelo e l'Alberti con la questione della razza? C'entrano, proprio per le chiare ed inequivocabili affermazioni, da me riportate: che, o il D. G. non avrà lette, ed allora non avrà letto il mio articolo, o non avrà capito, ed allora non c'è più nulla da aggiungere. 2) /l,.vevo inoltre detto, nello stesso articolo: il liberty fu una specie di restaurazione borghese del gotico e del rococò, (cioè del modo di sentire di alcuni popoli settentrionali), contro il neoclassico. Questo era sempre il segno della nostra supremazia artistica sull'Europa. Rinunziandovi, non solo sanzionavamo la rivolta contro di noi, ma rinnegavamo la nostra stessa razza. Avevo poi aggiunto: ciò fu capilo in parie, primf e subito dopo la 'Grande Guerra. Alcuni dei migliori cominciarono a reagire aHo Europeismo; e tentarono di riconquistare il nostro stile, . accostandosi agli edifizii clas- ·sici. Intanto, durante questo .parziale distacco dall'Europa, in Francia e in Germania, era successo un nuovo fenomeno. Sotto la influenza della mentalità ebraica, divenuta prevalente nel dopoguerra, vi si era perduta a poco a poco l'idea che l'architettura è un'arte. Dal piano artistico, legato alla qualità della razza, essa· era stata fatta scenaere al piano della pura economia, uguale per tutte le razze. Insomma, il materialismo marxista entrava nell'architettura. Che conduceva in pratica all'assoggettamento di · essa alla grande industria: la quale vi portava le sue note esigenze d'un consumo sempre rinnovato e di forniture sempre più frequenti. Donde la predicazione, continua e ormai esosa, della cosiddetta «modernità». Avevo •poi conchiuso dicendo: questa predicazione fu introdotta in Italia nel 1931. Il D. G. mi domanda: « gli Italiani allora, che cosa hanno fatto? Hanno subìto passivamente l'insegnamento ebraicb, senza neanche accorgersene?» Certo, caro D. G. Quanti altri insegnamenti, della medesima origine, essi hannQ assorbito! C'è una gran parte della letteratura, della musica, della pittura, della storiografia, della filosofia, della critica,· durante gli ultimi dieci anni, che può darne evidente esempio. Ciò è capi-• lato a molti senza accorgersene, ma ad alcuni anche in perfetta coscienza; per i loro 1 Iegami di parentela, di amicizia o di dipendenza proprio -da Ebrei. . Quante all'altra domanda:.« come si può provare che l' a!'chitettura razionale è ebrea?», la risposta è anche qui noia da un pezzo. Basta consultare qualunque libro che riassuma la storia di quest'architettura, per esempio il Platz (edito in ·Germania nel 1928, sotto l'antico regime, e perciò non certamente sospetto) per trovare, agli inizi del nuovo verbo, tre nomi: quello dell'ebreo Enrièo Mendelsshon, quello del comunista Gropius e di Le Corbusier. Ebraismo e comunismo, sono oggi, come tutti sanno, quasi la medesima cosa. Il secondo non è che il riflesso e la emanazione del primo. Ebraismo e comunismo che -non rimanevano, per quelli, una cosa personale, indipendente dall'attività architettonica. Al con- .trario, la distruzione di ogni valore d'arte e di razza nell'architettura, e la riduzione di essa ad un fatto economico, furono da loro apertamente collegale alle vedute collettivistiche e internazionalistiche del marxismo. Oltre che le loro opere, anche i loro scritti sono là a dimostrarlo. Poi c'è il fatto, che proprio negli ambienti ebraici od influenzati dagli Ebrei, ss,no, ancora oggi, i più accaniti sostenitori dell'architettura razionale. Stampatori: Società Anonima Istituto Romano di Arti Grafiche di· Tumminelli & · C. - Largo Cavalleggeri 6, Roma
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