Jino che trasgredisse a tale disposizione. Nè la prof essione della magistratura potevano esercitare, come solennemente sancito dal Parlamento Generale nell'adunata che ebbe luogo a Piazza il 20 ottobre 1296. E c'era di più: nemmeno la testimonianza di ebrei era ammessa in giudizio. Com'era, altresì, tassativamente e rigorosamente proibito - e su ciò le autorità invigilavano con la massima cura - che ebrei alloggiassero in una stessa casa con cristiani, che dormissero sotto uno stesso tetto, e persino che edessero insieme alla stessa mensa. Non potevano tenere servitori cristiani. Ma, tolte queste separazioni fondamentali, imprescindibili e naturali fra appartenenti a razze differenti, gli ebrei vivevano in Sicilia in piena libertà e a proprio agio. i può dire che non conobbero ghetto. Se, in genere, preferivano vivere in case raggruppate a parte, nelle vicinanze delia sinagoga, ciò facevano per propria comodità. per essere cioè pronti ad accorrere alle funzioni di rito; ma non esistevano imposizioni di sorta. Fu solo molto tardi, nelranno 1312, che si ravvisarono le prime necessità di porre riparo ai pericoli della promiscuità nelle abitazioni che dilagava, per cui il 23 luglio di quell'anno fu promulgata un'ordinanza nella quale era detto he gli ebrei avrebbero dovuto trasferirsi in località fuori delle mura dalla città. Mai però, essa dovette avere seria applicazione e tra l'altro lo confermano le numerose disposizioni che s'incontrano successivamente, intese a ricordarla; e l'invio reite- :ato di appositi commissari. Comunque sta di fatto che il 5 gennaio 1431 l'ordinanza .:iel ghello venne definitivamente abrogata da re Alfonso, grazie all'intercessione del rabbino Mosè Bonavoglia di Messina che si aprì il cuore del monarca mediante cospicue donazioni. Nè subirono imposizioni, per oltre doJici secoli, nella foggia del vestire. In un primo tempo usavano portare gli abiti prescritti dalla legge mosaica per proprio discernimento, amando sottolineare in maniera visibile l' appartenenz~ a razza diversa, .11la razza che ritengono eletta. Quando fiutarono che la distinzione non giovava più, ma nuoceva al loro tornaconto, cominciarono a prendere gli abiti del luogo. Fu solo nel 1221 che venne emanato un primo decreto col quale veniva prescritto agli ebrei di riprendere i propri abiti; ma anch'esso rimase, come si dice, lettera morta. L'obbligo della famosa rotélla rossa - già da secoli generalizzato fuori dell'isola - fu introdotto in Sicilia molto tardi, nel 1366, con l'e_ditto di Federico III: « da portarsi - è detto - dagli ebrei nella forma e nella grandezza di un regio sigillo di prima grandezza, sulla veste esteriore nel petto al diritto della barba, un palmo distante dal mento; e da portarsi parimenti dalle donne sulle loro vesti esteriori ». Anche su questo argomento non mancavano i temperamenti e le eccezioni che in gran parte farnvano eludere la disposizione. Per esempio, gli ebrei di Palermo godevano del privilegio di portare la rotella rossa così piccola quanto un « carlino di Sicilia », il che rendeva molto facile poterla nascondere; molte famiglie erano, poi, del tutto esenti dall'obbligo e tra queste si ricorda la famiglia Sala di Trapani. Nel quadro della separazione razziale di cui abbiamo detto e dei ridotti distintivi segnaletici di cui si sentl bisogno nell'ultimo periodo della loro permanenza, gli ebrei vissero in Sicilia nno alla loro scacciata in tutto e per tutto equiparati di fronte alla legge e dalle leggi protetti come tutti gli altri cittadini. Possedevano senza restrizioni beni stabili che acquistavano o alienavano a loro talento. Numerose scritture di contratti si conservano negli archivi, ma più di ogni ·altro fanno fede in propo~ito le norme esecutive contenute nello stesso bando di espulsione. Piena e incondizionata era la libertà di praticare il loro culto, santificare le loro feste, celebrare i loro riti. Secondo le loro usanze facevano sacrifici, matrimoni e divorzi. Avevano sinagoghe, oratori privati, luoghi di purificazione per le donne a guisa dei loro precetti, e persino di cimiteri propri disponevano. Nè coartazioni religiose si usavano su di loro; ciò era rigorosamente vietato. Gli ebrei in Sicilia godevano di una propria organizzazione interna. Eleggevano Il duomo di Cefalù. le loro gerarchie -- Proti, Auditori di conti, Dodici eletti, Maggiorenti, Conservatori degli Atti, Nove Soggetti, Sindaci - e le autorità religiose: Sommi sacerdoti, rabbini, maniglori, idubi, elemosinieri e giudicì spirituali. Si arrivò perfino per oltre 40 anni - dal 1405 al 1447 - a far eleggere un loro giudice universale, il die11chelele. Erano soltanto sottoposti ad alcune tasse particolari e ciò probabilmente in relazione alle loro migliori condizioni economiche rispetto agli altri cittadini. Le comunità ebraiche pagavano le cosiddette gisie. I sin. goli erano sottoposti ad una tassazione per le nozze, detta ;oc11Jaria- ;udeomm. Sborsavano 4 Jarì per ogni sposalizio, un tarì per ogni ebreo che nasceva e un carlino per ogni ebrea. In più erano tenuti a fornire le bandiere per i castelli e le galee e a p~are alcune saltuarie imposte di ordine secondario. Provvedevano alla pulizia dei castelli, delle fortez_ze e dei palazzi reali. Per farsi un'idea delle condizioni di favore di cui gli ebrei godevano in Sicilia basti tener conto di questo fatto. Nel 14° secolo gli ebrei furono espulsi dalla Francia per l'editto di Carlo VI. Solo quelli di Provenza poterono rimanere, perchè l'antica Provincia dei Romani non faceva parte della Francia ma era contea autonoma. Quando il conte Carlo IV lasciò per testamento la Provenza a Ludovico XI re di Francia, gli ebrei dovettero sloggiare, e in massa - ciò avvenne nel 1491 s1 27
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