ANNO II - N. 1 SOMMARIO 5 NOVEMBRE XVII T. I.: EROICA. DOCUMENTAZIONE GIORGIO ALMIRANTE: UNA RAZZA ALLA CONQUISTA DI UN CONTINENTE, pag. 20; A. L: RAZZISMO NORD-AMERICANO, pag. 22; COMBATTERE E VINCERE: IDEALI DEI NOSTRI GRANDI, pag. 24; L. D.: LA RAZZA DEI DISFATTISTI, pag. 29; CARLO BARDUZZI: I SADICI DELLA SCONFITTA, pag. 38; ELIO GASTEINER: GLI ETERNI IMBOSCATI, pag. 39; FRANCESCO CALLARI: LA GUERRA E LA STAMPA EBRAICA, pag. 43; ANTONIO TRIZZINO: LA PACE EBRAICA TRADI' LA VITTORIA, pag. 44. SCIENZA GUIDO LANDRA: VIRTU' GUERRIERE DELLA RAZZA ITALIANA, pag. 9; LIDIO CIPRIANI: POPOLI IMBELLI E GUERRIERI IN AFRICA, pag. 17; C. M.: UN POPOLO SENZA ESERCITI, pag. 32; GIUSEPPE LUCIDI: GIUDEO E SOLDATO, UN'ANTITESI, pag. 37. POLEMICA GIULIO COGNI: UNA RAZZA SENZA EROI, pag. 12; MASSIMO LELJ: FANTI E CONTADINI, NERBO DELL'ESERCITO, pag. 15; GIUSEPPE PENSABENE: MOTIVI TRIONFALI NELL'ARTE DEI POPOLI ARII, pag. 26; EMILIO CANEVARI: GLI EBREI E LA GUERRA, pag. 34; DOMENICO PAOLELLA: ANTIMILITARISMO CINEMATOGRAFICO, pag. 40. QUESTIONARIO FASCIO E DIFESA DELLA RAZZA NAC0UERO INSIEME; DI PARI PASSO CON GLI AMICI ITALIANI; POLITICA DELLA RAZZA IN GRECIA; IL MARTELLO; EREDITA' EBRAICA; IL COGNOME CARRARA; CHE DIFFERENZA C'E'?; LA < DIFESA DELLA RAZZA > IN GERMANIA; UN MINISTRO DI NITTI; SARDEGNA ARIANA; pagg. 46-47. Roma - Uffici: Largo Cavalleggeri, 6 - Telefoni N. 64.191 - 60.463 il ''TEVERE'' è l'avamposto della stampa fascista LEGGERE , .. •a*=~~-fL~• I jTEVERE1 DIRETTO DA TELESIO llVTERLANDI non significa soltanto essere informati ma anche e sopratutto avere una guida QUADRIVIO I •. . t E L'UNICO SETTIMANALE LETTERARIO ITALIANO IN CUI LETTERA TURA ARTE E POLITICA S'ILLUMINANO A VICENDA .. . ·•. J INTUTTELEEDICOLE
LA MAGISTRATURA E LE POLIZZE DI "PRAEVIDENTIA La Polizza di PRAEVIDENTIA è stata da S. E. il Ministro di Grazia e Giustizia riconosciuta particolarmente indicata per l'investimento dei capitali spettanti ai minori, nei casi di lasciti, eredità, indennita e sempre quando si presenti il bisogno di assicurare la incolumità del patrimonio ed i frutti di esso ISTITUTO NAZIONALE DELLEASSICURAZIONI
DI ISTITUTO DI CREDITO .DI DIRITTO PUBBLICO DIREZIONE GENERALE PALERMO CAPITALE L. 230.000.000 RISERVE L. 2 4.6.865.8 76, 81 FILIALI IN ITALIA ACIREALE - ADRANO - AGIRA - AGRIGENTO - ALCAMO - ARAGONA - AVOLA - BAGHERIA - BARCELLONA - CACCAMO - CALTABELLOTTA - CALTAGIRONE - CALTANISSETTA - CAMMARATA - CAMPOBELLO DI UCATA - CANICAffi' - CANNETO IJPARI - CARINI - CASTELBUONO - CASTELVETBANO - CASTROREALE - CATANIA - CATTOUCA ERACLEA - CEFALU' - COMISO - CORLEONE - ENNA - FIUME - FRANCAVILLA - FRANCOFORTE - GANGI - GELA- GENOVA - GIARRE - GRAMMICHELE - LENTINI - LEONFORTE -LERCARA - LICATA - IJPARI - MARSALA - MAZARA - MENFI - MESSINA - MILANO - MILAZZO - MILITEIJ.O VAL DI CATANIA - MINEO - MISILMERI - MISTRETTA - MODICA - MONREALE - NARO - NASO - NICOSIA - NISCEMI - NOTO - PALAZZOLO ACREIDE - PALERMO - PALMA MONTECHIARO- PANTELLERIA- PARTANNA - PARTINICO - PATEBNO' - PAffi - PETRALIA SOTTAN.A - PIA:NA DEI GRECI - PI.AZZA ARMERIN.A - PORTO EMPEDOCLE - PRIZZI - RACALMUTO - RAGUSA - RAMACC.A - RAND.AZZO- RAVANUSA - RIBERA - RIESI - RIPOSTO - ROMA - SALEMI - S. AGATA DI MILITEIJ.O - SCI.ACCA - SIRACUSA - SORTINO - TAORMINA - TERMINI IMERESE - TORINO - TRAPANI - TRAPANI (Borgo Annunaiata) - TRIESTE - TROINA - VENEZIA - VITTORIA - VIZZINI. FILIALI IN COLONIA E NEI POSSEDIMENTI. L'ISTITUTORACCOGLIE DEPOSITIARISPARMIO E IN C.C. FRUTTIFERO E COMPIETUTTELE OPERAZIONI D Dx ur 11 iii611Wilìi6W ______ TRIPOLI D'AFRICA - RODI - COO C]Rl]EJD• ]['Jr4D•]['JrA.]L][A.N4D• SOCIETA ANONIMA - CAPITALE L. 500.000.000 - RISERVE L. 111.659.733,35 JEJOHEOCIIA\LJE: GJENO\V 1' - ]())(JfflEZ)[O JE CIEN'JrRA\ILIE: MIL1'N"40t FILIAU IN IT AUA: Abbiategrasso - Acireale - Acqui - Alassio - Albenga - Albizzate - Alessandria - Ancona - Aquila - Arezzo - Asti - Bari ., Barletta - Bedonia - Bergamo - Biella - Bologna - Bolzaneto (Genova) - Bolzano - Bosa - Brescia - Brindisi - Busto Arsizio - Cagliari - Camogli - Cantù - Carrara - Casale Monferrato - Caserta - Cassano Magnago - Castano Primo - Costellamare di Stabia - Catania - Catanzaro - Cesena - Chiavati - Chieti - Civitavecchia - Coggida - Como - Cornigliano (Genova) - Cossato - Cremona - Cuggiono - Cuneo - Domodossola - Faenza - Fagnano Olona - Ferrara - Fidenza - Firenze - Fiume • Foggia - Forll - Frattamaggiore - Gallarate' - Genova - Iglesias - Imperia - Lanusei" • La Spezia - Lecce - Lecco - Legnano - Lentini - Livorno - Lodi - Lonate Pozzolo - Lucca - Lugo - Lumezzane - Magnago - MGda - Messina - Mestre -(Venezia) - Milano - Modena - Mola di Bari - Molfetta - Monopoli - Monza - Mortara. - Napoli - Nervi (Genova) - Nocera lnJeriore - Novara - Novi Ligure - Oristano - Ospedaletti - Padova - Palermo - Parma - Pescara • Piacenza • Pietrasanta - Pinerolo - Pisa - Pistoia - Pontedecimo (Genova} - Prato - Rimini - Riposto - Rivarolo (Genova) • Roma - Rovigo1 - Samarate - Sampierdarena (Genova) - S. Giovanni a Teduccio (Napoli) - Sanremo - San Severo - I S. Maria Capua Vetere - Saronno - Sa.rzana - Sassari - Savona - Schio - Secondigliano (Napoli) - Seregno - Sesto S. Giovanni - Sestri Levante - Sestri Ponente (Genova) - Somma Lombardo - Squinzano - Taranto • Temi - Tori.no - Torre Annunziata - Torre del Greco - Trento - Treviso - Trieste - Udine • Varese - Venezia - Ventimiglia - Vercelli - Verona - Viareggio ~ Vicenza - Vigevano - Voghera - Volterra • Voltri (Genova). ESTERO: Sede a Londra - Ufficio di Rappresentanza a New York. BA\NCRE A\FJFIJLllA\ TJE E CORRISPONDENTI I TU1fTO JlL MONDO
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ANNO II - NUMERO 1 5 NOVEMBRE 1938 -XVII ESCE IL 5 E IL 20 DI OG I MESE UN NUMERO SEPARATO LIRE 1 ABBONAMENTO ANNUO LIRE 20 ABBONAMENTO SEMESTRALE• 12 ESTERO IL DOPPIO Direttore: TELESIO I TERLANDI Comitato di redazione: prof. dott. GUIDO LANDRA prof. dott. LIDIO CIPRIANI • dott. LEONE FRANZÌ - dott. MARCELLO RICCI · dott. LINO BUSI CO Segretario di redazione: GIORGIO ALMIRANTE SCIENZA• DOCUUENTAZION POLEUIC! • OUESTIONJ\810 EROICA e i egne fasciste hanno l'aquila, come già le insegne di Roma. Le nostre Vittorie sono alate, come le Vittorie dei po.J!.oliguerrieri. Questa simbologia eroica e solare (l'aquila è l'uccello che vola più vicino al sole) è la testimonianza del persistere, nella nostra razza, dei valori eroici che ci• fecero nei millenni protagonisti della storia del mondo. Sono questi valori eroici che bisogna di/ endere, nel di/ endere la purezza della razza. Due concezioni della vita si dividono il mondo: la concezione eroica e quella remissiva, la guerriera e la contemplativa, l'attiva e la passiva. Ci sono popoli che hanno per norma l'accettazione del destino, per morale la so/• ferenza, per ideale la rinuncia e l'annullamento. Altri popoli combattono contro il destino, si sforzano di costruirne uno che sia sempre più adeguato alle loro speranze; hanno per morale l'eroismo, per ideale la vittoria sulle forze ,a,vversarie, naturali o umane. Le razze che hanno contribuito alla civiltà sono combauive, guerriere, e1~oiche;l'ideale della rinuncia e dell'annullamento è estraneo ai popoli che hanno fatto la storia. Può accadere che i valori eroici d'una razza combattiva vengano manomessi ie debilitati dall'intrusione di elementi estranei e deprimenti. E' il
momento in cui la razza, minacciata, si di/ ende passando all'offensiva. E' la storia del Fascismo, che insorse contro una casta di ,bastardi decisi a stravolgere le qualità del popolo e a cambiarne i connotati spirituali. I neutralisti del '14 e del '15 furono gli uomini che affermavano, come cosa certa, essere gli Italiani capaci di battersi soltanto in dieci contro uno, aver gli Italiani paura delle pallottole che bucano la pancia. Quei neutralisti furono sgominati da Italiani che si battevano nelle piazze uno contro dieci e andavano in. cerca delle pallottole che bucano la pancia. Quando poi le pallottole ·vennero, gli Italiani le accolsero, in pancia ò in fronte, con sublime eroismo. I disfattisti del '17, del '19, del '20 e del '21 furono ancora una volta i negatori dei v_alorieroici della nostra razza. Essi raffigurarono la guerra come un atroce errore da espiare, gli eroi della guerra come dei banditi da .punire, i segni del valore come volgare chincaglieria, i Morti come inutili vittime d'un delitto. Quei disfattisti furono travolti da Italiani che rialf ermarono i valori eroici della vita, la necessità del combattimento, la bellezza del sacrificio fecondo, la virtù educatrice della Vittoria; furono travolti dai Fasci di Combattimento, che avevano assunto le insegne degli Arditi e ripreso le aquile daJle insegne romane. Qui soprattutto il Fascismo fu di/ esa della Razza dagli elementi estranei che le avevano inoculato mortali istinti remissivi; fu difesa del patrimonio ideale della Razza, salvezza della Razza. Molti poterono scambiare per civiltà il pacifismo imbelle e l'umanitarismo e l'universalismo che i disfattisti predicarimo in Italia dopo la guerra, prima del Fascismo; ma non era che un tentativo di adulterare la Razza e di ridurla in cattività. l l Fascismo non lo permise e riportò il popolo alle sue ·virtù combattive, ai suoi ideali eroici, ai suoi culti guerrieri. Ancora oggi non c'è salvezza fuori dell'imperativo morale che ha sempre guidato, anche nei momenti più oscuri, la razza italiana: lotta e lavoro. Il lavoro come combattimento, il combattimento come lavoro. Un ideale di quiete, di rassegnazione, di rinunzia non risponde alla nostra natura, non ,è che la negazione di noi stessi e della nostra storia. Le pagine che seguono hanno il compito di chiarire questi concetti, di con/ ortarne l'esposizione con una documentazione irrefutabile, di con/ermare la necessità d'una separazione totale tra la pura Razza italiana e gli elementi razziali che le sono ostili e hanno tentato di corromperla. T. I. 8
.. VIRTU GUERRIERE .... ... ~-•;);,f~~<. ~ ..... ' Lotta fra arditi Le razze umane sono individualizzale 1!011 ·olo dai loro caratteri fì ici ma anche da quelli p,icologici. Poichè la lotta ha rappre entalo in _lutti i tempi la nec ,ità vitale per gli· uomini. è anche dal modo come è ·tata accettala la lotta che po· ono e sere di tinte la razze umane. Vi ono tate co ì razze poco adatte alla lotta e alla guerra. le quali hanno potuto vivere e pro perare finchè non t-i ono urlale con altre più adatte. e razze invece che hanno vi uto fino ai no tri giorni appunto perchè hanno saputo lottare e vincere. Ma il modo della lotta e della vittoria è molto diverso. Vi ono co ì razze che hanno potuto mantener i in vita unicamente con l'a tuzia e altre invece che hanno accettalo la lotta a vi o aperto. ohanlo a que te può pettare il titolo di razze guerriere. La razza italiana è lata in tutti i tempi una razza di soldati; e poichè l'e •. enza della romanità è appunto costituita dalla nostra razza, lo spirito guerriero si identifica con l es enza tessa della romanità. Tutto que to era perfettamente sentito dai Romani che fecero, più d'ogni altro popolo, oggetto di culto le divinità della guerra. Sempre, anche nei momenti più tri ti della vita deHa patria, questo antico spirito guerriero fu presente agli Italiani; il che era del resto perfettamente naturale dato che le qualità guerriere negli uomini di razza e di sangue italiano i ereditano immortali. DELLA RAZZA ITALIANA Pos iarno aggiungere che in noi tes i ta la no tra immortalità, in que te qua• lità eroiche che hanno individualizzato gli Italiani d'un tempo. e quelli di oggt e queJli che verranno. Per quanto indietro rimontiamo nel cor o dei secoli troviamo )'Italia abitata empre da guerrieri. Guerriere furono le popolazioni italiche che precedettero i Romani, guerriere e contadine sempre. Del resto i veri Romani ebbero empre tre sole occupazioni: ragricoltura. la guerra, il governo della co a pubblica. Sdegnarono il commercio e lo lasciarono al liberti e ai fore tieri; i curarono poco Una vedetta
------. -- - ,., ?•.,.., -· JR I\N Do e di promuovere le belle arti e ebbero una meraviglio a religione che non era mileriosa, cupa e ri lretta come le religioni a·iatiche. ma puhblica e devota ugli dei della guerra. del popolo e della terra. L'impero romano fu conqui ·tato e mantenuto finchè durò in tutti i cittadini forti imo lo pirito di dominio e di vittoria. L'impero andò in facelo quando - a cau a degli elementi orientali che avevano inquinalo il angue romano - venne a mancare lo pirito militare. La fatalità delle leggi ereditarie ha fallo ì che nel cor o degli anni queto elemento e traneo orientale fo e eliminato completamente e, man mano che l'Italia andava empre più riacqui tando la ua omogeneità razziale. riacqui tava la ua attitudine alle armi. Que la omogeneità razziale - è bene ripeterlo - è tata riacqui tata dall'Italia da almeno mille anni. In questo periodo di tempo gli Italiani ono mo trati empre più una razza di oldati, una razza dura e volitiva, che i è impo ta all'attenzione di tutti. Una falsa educazione ci ha portato a otto aiutare o addirittura a trascurare alcuni periodi e alcuni per onaggi della no tra magnifica toria. Eppure la toria italiana ri uona delle ge ta eroiche dei Il fa.nte Lanciatore di bombe Lo scoppio della granata
no tri o1dati e dei no tri capitani. alga per tutti l empio dei grandi Condottieri di que le figure colo ali di uomini che, p o venuti dal nulla, arrivavano con la ola forza delle proprie armi a1la conqui la di intere regioni; l'c empio dell'ininterrotta erie di principi di Ca a avoia col de lino dei quali i confu e il destino d'lta1ia; quello infine dell'italiani imo apoleone Buonaparte che si ervì dei Francesi, come un tempo Cear dei Galli, per i uoi di egni di illimitata conqui la. Raggiunta la ua unità politica, l'Italia ha vinto ucce ivamente un impero a iatico, un impero europeo, ed uno af ricano. Queste prove grandio e, meglio di qual iasi dimo trazione cientifica, hanno mo trato la perfetta identità della razza italiana di oggi con quel la che già ebbe i] dominio del mondo. La razza italiana, oggi come empre. ha trovato soltanto in e tessa i mezzi di lotta e di vittoria. Tutto qu to impone agli Italiani il pr~ci o dovere di con iderare aera la purezza del proprio sangue e di esaltare empre più l'orgoglio di razza nel mito eterno di Roma. GUIDOLANDRA (/l/1111razioni Ira/le dai « Diug11i di G11erra,. di Puiro Morando). Dopo I' aaaalto Natale in trincea L'attesa per l'assalto
a. loua contro i emiti si alza e si alzerà presto a motivi ben più alti di quelli del semplice odio e della semplice polizia politica, per assurgere a una vasta visione nuova, in cui due mondi sembreranno in tutta la loro vastità muoversi l'un contro l'altro, e due destini cozzarsi a sommo dei cieli. Solo allora sarà dato misurare tutta la grandezza della rinnovata idea della razza. Chè i semiti - questo mondo fantastico dell'oriente caldo, macabro ed ignoto che verso l'èra cristiana si affacci-ava per la prima volta alla soglia del mondo romano, e lo avvolgeva nei suoi cla.ngori e nelle sue miserie - sono un destino scritto forse da più di 4 millenni sotto la volta azzurra dei cieli mediterranei: e gli ariani - i romani e gli alleni - ono un altro destino : nè contro questo destino valgono le ondate assimila.trici, i tenta• tivi confusionari della moderna cultura, ove gli spiriti di tutti i popoli paiono fondere ciascuno tuUe le loro possibilità. All'origine occorre tornare, a quell'origine in cui i rom.ani, fedeli anpora alla pura voce ancestrale della loro terra, furono soltanto romani: e i greci furono soltanto greci; elleni dall'armoniosa mi,.suradella salute suprema del loro sangue incorrotto. All'origine il contrapposto è di un'evi.denza solare. Noi invitiamo tutti coloro che vogliono rendersi veramente conto della sostanza intima del problema ariano ed ebraico a non fermarsi ai sentimenti e ai risentimenti d'oggi. Ma a riprendere in mano le voci sacre della nostra gente, e confrontarle con le voci che una gente, straniera a noi del tutto per la dimensione stessa del suo sentire il divino e l'umarw, riuscì. a imporre al mondo come voce in assoluto divina. Prendete quei testi, che solo una malvagia bestemmia potè insegnare a con,.siderareprofani e quasi perversi, mentre in essi s'aduna quanto di divino seppe sognare sotto il gran sole mediterraneo la. stirpe dei nostri avi, e forse quanto di più dfoino 12 lA 4lì,1EN mai. si sognò in questo- terrestre angolo dell'universo: i nostri classici: Omero, Pindaro Virgilio, i tragici Greci. E prendete i testi acri d'Israele: la Bibbia antica, il Talmud, lo Zohar. olo ritornando a queste sacre origini della nostra e dell'altrui gente si può individuare il fuoco che cova sotto le ceneri nostre ed altrui. E quando avrete ripreso in mano questi testi antichi, e li avrete confrontati, l'abisso incolmabile vi si farà chiaro alla vista. I classici latini e greci hanno il divino dono dell'equilibrio interiore, che è come un perenne armonioso accordo con tutta l'armonia essen=iale dell'universo. La parola e il canto hanno un giro solenne e sereno, che non altro è ch,e armonia d'amore con tutti i mondi. Quegli uomini canta.van la propria pienezza, perchè erano in perfetto accordo con la natura propria, quasi gli elementi dei l<>rostessi organismi consi,.stesseroin perf eua armonia; quella consonanza armoni.ca dei loro corpi divini, che traeva dalla sete di vita ,:organale armonia cosmica delle membra, il divino canone. Tale fu l'anelito primordiale ariano. Una divina consuonanza e niente più. Tu,tto aveva valore, perchè era in questo equilibrio sereno dei mondi. C'è nell'olimpica tra cenden=a del comportamento antico rom.anodavanti a vincit,ori e a vinti, come nella giustizia romana, come nel canone architeUonico, quella solare sublimità, assorta nella divina armonia d:. Posidone e di Urania, onde alla fronte olimpia del guerriero dominatore si scoperchia in sorriso quanto di sole e di radiante energia ha la vita dell'universo. Nel classico ariano v'è questa consuonanza con la vita dei mondi; quella vera innocenza primordiale (propria degli animali e degli uomini non toa,chi da rotture interne) portata ai sublimi apogei, che è poi il segreto della perduta serenità classica. Prendete invece i testi ebraici: aprite; e al primo momento resterete colpiti da tanta fantasia in cui si scoperchiano cieli e abissi, si mu-0vono le nuvole, cadono la luna e le stelle, tremano le montagne e i mari, si piegano gli arcobaleni: tanto che vi pare che questa sia la pw. sublime ed alta poesia degli umani, e la più cosmica e potente: ma poi vi accorgete subito che questi moti.vi si ripetono continuamente, senza collegamenti logici, senza complessi sint,aUici, sen=a intimo bisogno, wme una serie rotolante di immagini a fondo perduto, che si susseguono se,i=a essenziale collegamento al giro logico delle idee. E allora vi avvedete che tutta questa fantasia assomiglia essen=ialmente al delirio febbrile: è un delirio di ùnmagini che circolano sen=a intima architettonil:a, a volo l'una dietro l'altra, e non hanno dimensione e non hanno spazio e non. hanrw confine: per cui, mentre vi pare di essere in una magnifica febbre, non acchiap• pate di fatto nulla, perchè tuuo vi sfugge in una confinatez=a informe ed essenzialmente vuota e melanconica. C'è molta triste=za e quasi spiritismo funereo nella disorganica visione del mondo del semita. Le sue immagini ,wn hanno corpo, e l'unica loro definitezza è il numero, enlità astratta di cui si fa gran sfoggio, ma con cui non ci si libera dal vuoto. Popolo perciò in.capace di qualsia,.siarte, ossia di dar corpo vero a immagini vive. Popolo astratto, debole nella sua forza creativa, che vive, di fronte all'ariano, in un perenne staro labile di allucinazione piatta, o di piattezza sen:::aallucinazione, essenzialmente incapace di amare gli organismi vivi, e di concepire organicamente l'universo. Questo popolo in tutta la sua storia si può dire che non !tct un eroe.
Anche nei casi di peggiore necessità, l'ebreo non combatte, ma si abbandona a quella larva astratta di ellenico Fato che è la semitica volontà di Jahvè. Volontà personale di un dio animico e vuoto, nella sua assolute=:a contro natura e antiumano, che niente ha a spartire col volere del Fato ariano, il quale si sviluppa dal contrappunto architettonico dei motivi che circolano per l'infinita vita déll'universo. E anche quando l'ebreo sarà vittima delle più dure e ingiuste persecuzioni, non paragonabili per la loro crudezza con le persecuzioni assai più lievi subite da altri popoli, per esempio dall'italiano, nel corso glorio o della loro storia, non troverete fra gli ebrei neppure uno che sappia insorgere con uno di quegli atti eroici e sublimi che salvano l'onore di una stirpe. Nessuno sa impugnare una spada, af/ermare cori una sublime violenza la propria volontà tonica di vita e di salute con quei gesti conclusivi che aprono il cielo e scrivono i sogni essenziali del destino. Incapace di autonomia questo popolo, mansueto e umanitario, m{!diocrilà della propria forma vitale, si rassegna e perde: e an=ichè coricretare plasticamente la bella forma della propria presunt<1r,eden=ione, come fa ogni popolo a cui la spina dorsale non è infranta, si appella a un futuro sempre più futuro e sempre più lontano in cui immagina con la debole:za febbrile della propria astratta fantasia paradisi irrealizzabili, disegni inconsisteuti di una reden=ione fatta di sogni sen=a logica e di maledi:.ioni. La più alta impresa del popolo ebreo fu una fuga: e la viltà può dirsi essen:ialmente - senza voler con ciò pronunziare un insulto - la speciale forma dellà virtù. semita; fatta di rassegnazione e di attesa, di odio e di livore contro la più salda concretezza della maggior parte delle forme viventi umane e animali che il semita si trova intorno. la dilf erenza essenziale è la seguente: I' ariano - come ogni essere sano e ogni razza umana, sana, anche se injeriore, an=i c<>moegni sano aramale,ma,iti grado altissimo e solo nell'ariano completo e suscettibile delle più alte manifestazioni culturali - concepisce, e sente la vita cosmica e sua come un sistema architettonico di a::ioni e di reazioni, un'immensa fuga in cui a un motivo dsponde l'altro motivo, a una parte del reale l'altra parte, a un'olfesa uri ardimento e una continua possibilità di superare il mancamento e I' errore con il divino compenso dell'azione. Per l'ariano l'universo è un'architettura, in cui ogni parte è parte di uri tutto, e ad ogni forza, anzi a innumerevoli for:ze, corrisp<>ndonoi11numerevoli controforze, in un coro di energica potenza. E la crudeltà è essenziale al divino imw della vita. la spada deve essere snudata quando il destino lo vuole, con quella serena salute virile onde chi snuda la spada e la tuf /a nél sangue del nemico sente di adempiere anche così alla divina armonia di una più vasta giusti:ia cosmica. Il semita è tutt'altro. Anch'egli immagina e desidera snudare la spada: ma solo per vendetta e odio, e per dom;nare egli solo Il muro del pianto, a Gerusalemme
Giudei in preghiera sul monte Gorizi.m sulla morte di tutto. In tutta l'immehsa, letteraJ.ura semita, tra tanti clangori di natara ardente e scon1,olta, non si trova mai un momento di anwre e adesione all'immensa voce della natura. e sun amore per gli animali e per le pianle, per il tenero coro infini.to della vita del nwndo: la natura non è che una fantasmagoria soggettiva e innaturale, f onle di immagini illogiche cioè e nient'altro. L'anima, fugge sempre in fughe sconvolte verso Jahvè, altissimo e lontano, a/fincl,è su tutta questa confusione faccia giusti=ia, la quale sarebbe poi nient'altro che l'esaltazione del solo Israel,esul cimitero di tutti i nemici. Mente piatta, quella dell'ebreo. L'ebreo è per es enza di armonico. I suoi sogni non hanno organismo: il suo corpo stesso manca sempre in qualche nwdo dell' arnwnia della vera bellezza. All'ebreo manca la p/,asticità della vita e dell'ingegno; è per essenza un essere debole e infranto: e come tUUii deboli è mansueto e perfido, umanitario odialore essenziale di tuua la vita che per lui non ha un sorriso. E questo resta inconsciamente vero anche nei casi d'indiscussa onestà del carattere e dell'animo. *** Perciò l'ebreo non è guerriero: perchè è debole e infranto. Come àiremo meglio altra volta, per l'ebreo non si può parlare propriamente di razza origi.nariarnente inferiore: ma piutto to di un imbastardimento in gran parte antichi simo, che ha costituito come una rottura dell'armonia dell'essere, propria di ogni vivente sano e sgorgato dalla spontanea natura: un peccato origi.nale che ha dato luogo a una razza infranta. Raz=e inferiori a quella del popolo ebreo ve ne sono molte: ma molte sono più integre, più tutte di un pezzo di quella. L'ebreo non è guerriero: è sacerdote. Ma nei popoli ariani le due altissime qualità i fondono: e anche Cristo fu in Rom.ti armato di spada. • ell' ebreo restano immutabilmente separati, perchè nell' P sere infranto lo spirito va da sè e l<fmateria da sè. 14 Nell'antica tradizione, riesumata in parte, come i sa. dal Bachofen, questi popoli sono popoli della luna, e gli altri sono gli apollinici, i solari, coloro che portan-0 luce, cioè gli ariani. Popoli della femmina i primi e del maschio gli altri. Gli antichi Brahman furono insieme guerrieri e sacerdoti: e guerriero (' sacerdote fu il re di tutte le civiltà classiche. In ognuna di esse vi è quella freschezza incorrotta, che è sana potente natura desiderosa di combattere e di aprirsi la strada nel mondo. Carattere di gioventù, la /ame che è desiderio di assimilare, di prendere, crescere e trasformare in sè. Carattere fondamentale di vita quello della belva che uccide per prendere più vita. E tulli gli esseri che sono belli e ariosi sono per natura loro guerrieri. Chi rinuncia alla lotta rinuncia alla salu-tee alla forza; anche se, come ogni debole e malato, continua a combattere, con quel resto di t•olontà di vita che gli rimane in seno, con i o/i mi e i sotterfugi. Ma Lasua integrale natura è scomparsa: e con essa è compar a L'armonia e il sereno sorriso della vita. Noi non crediamo troppo alle antite i di Bacho/en. Percl,è è chiaro che al gioco di f or=e dell'architettonica dell'unitierso sono nece sarie ugualmente la luce e [ombra, il sole e La luna, il maschio e la femmina: e nella divina armonia è troppo chiaro che enlrambi gli elementi hanno uguale valore. l'antitesi consiste piuttosto nell'alternativa fra que la armonia e la f ratiura. in cui tulto si spezza e precipita. E in questa antitesi il volto levantino dell'ebreo errantp è il triste fenomeno di un'umanità infranta che non ritrova più l'arnwnia del la salute cosmica. ia il suo esempio un monito e un avvertimento tragico per tutti gli altri popoli. GIULIO COGNI Il monumento equestre a Cangrande. a Verona
FANTI E CONTADINI NERBO DELL'ESERCITO .È cerio che l'esercito è 1l nerbo della razza: m conseguen:,a lo è due volte la fanteria, che maestri, guerre e l'esser fanti ci avvezzarono a considerare regina delle ballaglie. on .,o se l'arte militare le dovrà un giorno toqliere tale ovranit,à, pu conferirl!J, ad un"altra arma. agli aviatori. per esempio, che oltre ad e sere veri campioni della ra;;za, potrebbero far prendere una piega nuova al/"arte di vincere; ma non credo. /,',,sercito ha bisogno di quella mttraglia, che è la fanteria. Cli è nect'S aria quella for=a esecutiva della vittoria, che porta a effetto l'a=ione dei cannoni e degli aeroplani ne frutta i particolari: e sa ola penetra nel ferro rovente e ci resiste, s'impadroni ce d'una roccia, non molla. Ed essa è il popolo dell'esercito, della nazione; co11 essu.,, .wno i popoli tessi che fanno la guerra, e così la fanno nazionale. che anche l'arte della guerra vuole temperamento di popolo, come tutte le altre. e pure è possibile, è vano che il temperamento 110:,ionalesia concentrato tutto allo stato maggiore e non arri vi fino ai plotoni. Guai se chi ci comanda non lo pos iede. Que ta è la ragione degli errori di generali militari s1:mi e istruitis imi, e che le ca te militari perdano le guerre; la spiegazione di quel che Cadorna no11 immaginò e Diaz intuì, il segreto della nostra vittoria. Chi intende ciò sa che Caporetto non fu una disfatta. ma la vera premessa della vittoria. Caporetto e Vittorio Veneto f uron.o due fatti di popolo. Questa è la ragione che sia carattere di generale quello capoce di entire il popolo, il proprio popolo: insomma un carattere di fanteria. Allora la. disciplina sarà calore e fusione dell'e ercito; vitale, non ascetica; non ci schiaccerà, non ci preparerà soltanto a morire. ma a vincere da vivi. e u11 popolo 11011pos edesse i tinto di consen:azione e i abbandonasse allu morte, pnderebbe le guerre e la ste sa esisteu:,a. l,wPce proprio quell'i tinto ha da veder con la vittoria. Allo stesso modo, soltanto chi abbia visto di faccia e afferrato per i capelli fu paura. è coraggioso. on vi ricordate come i fanti avevano imparato a guardarsi, in trincea e all'avanzata: a giungere t•ivi sul nemico? Come avrebbero potuto vincere? Stando a faccia a faccia con la nwrle, at•e110110imparato a giuocarci a rimpiattino; aguzzato l'udito, l'orientamento. tutti i sensi svegli. Fucei-ar10 scudo rlel terreno. avevano imparato la musica e il tempo, si butwmno a terra. si gettavano a corpo morto nella buca d·una granata, sentivano /"onda, il sas o, il riparo. che poteva ottrarli a una mitragliatrice. all'istante. Erano lenti, parevano inerti. erano invece tempisti. Il terreno gli l'r<I alleato familiare, s'erano impastati con esso da contadini. Erano tulli contadini: non ho conosciuto altri fanti che contadini. Erano contadini, come i loro progenitori peligni, equi, ,ncusi. vestini, marracini; erano fanti e contadini, come quelli del La:.io, com.e i sa11niti,come i guerrieri della lega italica, come i soldati di Cesare, com'è ancora la midolla, il serbatoio della nostra raz:.a. Il cara/lere dei nostri ·volti italiani è mrale. Quelli più nobili che vedi, sanno ancora di terra. È contadina Lu nostra ra:,;;apiù pura, e ogni contadino italiano ha una genealogia da patriarca, è un re; questo per fortuna gtimpedisce di essere aristocratico. E questo ti fa capire l'impero, e che il genio e l'esercito di Cesare era(U) un corpo solo: ·effe la conquista delle Callie dipese allo stesso grado dall'arte del duce e da, quella di munire fossi, gettare ponti, potare viti selvatiche. on (immaginare La fanteria diversa da quella che è, cerca di comprenderla qual'è, imparerai ad amare un eroismo non evidente. Essa non è ciù che intendiamo garibaldino. non è bersagliera, non ardita; non s • inebria della bu.ttaglù,, non va all'a alto cantando, non è gua cona, non è goliurda. Queste splendide qualità non le confanno ed es <L vuole le sue ed e ser qual' è. È taciturna, può oltanto bestemmiare e magari raccomandarsi alla Madonna.. e tu non ti scandali=zare e lascta anche che maledica la guerra: è il suo privilegio, la sua energia. e • e11ti maledire la guerra uno che non l'ha fatta, digli che è un poltrone; ma Lasciala maledire al fante, è il suo modo di farla, lo aiuta a vincere. Dura pali romanum dev'essere stato ritto per lui. Egli maledice e fa quel che deve fare. Maledice e sta. maledice e 11011 molla, maledice e avanza. Muledice e inca sa. la ua capacità d'incassare va oltre il limite umano, è paurosa. la più dijficile virtù della guerra moderna è questa. e ce /'/,11, la fanteria, capace di stare un mese, due mesi sollo il fuoco· stare u11 giorno, due giorni di seguito sollo il bombardamento. e uscire dal/p bue/te, lasciare i morti, andare alla trincea nemica, tenerla_ capir<' il terreno, postare Le mitragliatrici. i canno11cini, riordinare i sacchPtti_ gli scudi. cercare le buche, suornbrarle, scavarle ricoverarsi, dura a morire. essa che lascia il maggior numero di morti. ~ono opratutlo cli fanti i no tri cimiteri di guerra. qu<'lli del confine • quelli Lasciali P non dimenticati in terra straniera. Da Florina a Mona tir e dalla curva del fiume alla l"et!a di quota 1050 e di picchi Rruciato ,. Roccioso Lasciammo tante croci, aiuole. gruppi di croci sparsi. !,asciatemi ricordare i fanti che la.sciammo e quello che fecero i fanti in MacPdonia. Tennero testa alle più agguerrile truppe tedesc/,,,_ e ai bulgari, ai turchi. Dopo la conquis:a di Monastir. alla quale gl'italiani ebbero una parte decisiva, l'Armata d'Oriente, come ht chia11w1 1ano i francesi. che La comandai:ano. della quale faceva parte la nostra trentacinquesima divisione, che t•ra invece quasi un'armata, condoua da Petilli di Roreto; occupò due montagne, ne fece un sistema, per barrare ai tedeschi la strada dP[ mare, e le chiamò quota 1050 e quota 1248. Questa fu consegnata alla Legione traniera, nella quale non mancavano italiani, come il principe Andrea Pig11atelli di Cerchiara, quel magnifico soldato, che ci la ciò La vita. Quota 1050 fu consegnata agl'italiani. Alfo sua sommità le linee si stringemno come un binario. Ci stavano i Cacciatori del Kaiser. oi li 1:olevamo snidare e giungere a Prilep, i tedeschi volevano spezzare l'assedio e giungere al mare. e ci fossero riusciti, La guerra avrebbe preso un'altra piega. Ciò vi faccia capire l'importanza del compito degl'italiani e della fronte macedone. Tutta impe11nacclLiata,quota 1050 brontolava di giorno come un temporale: la notte ardeva specialmente in cima. I tedeschi attaccavano a gruppi, drÌlti sotto il fuoco, accompagnati con quelli che a due a due porta11ano cassoni di bombe. Una notte portarono i lanciaficim.me_ parevano inzolfatori di vigne, ma 15
dai tubi uscirono lunghi getti di fuoco. la sorpresa e le fiamme fecero franare la 11ostraliMa. la vetta fu perduta. Ebbene: fu ripresa la stessa notte. Andò all'attacco anche il medico del battaglione. Dalla pianura di Monastir, dove il fiume faceva gomito, qtwta 1050 salivu come un calvario, precipitava alla destra degl'italiani, e si rialzava con certi picchi e rocce lunari, che le carte francesi avevano chiamato Picco Bruciato e Picco Roccioso. Anche là seppellimmo i nostri· pwtoni, lasciammo mucchietti di croci, con un numero e una striscia di zingo. Dal fiume fino a mezza costa, c'era la brigata Sicilia, e aveva da fare coi bulgari. la quota e i ,picchi erano tenuti dalla brigata Cagliari, dalla frrea, e da, batt,aglioni complement,ari. Lassù s'aveva da fare coi tedeschi al centro, con bulgari. e /u,rchi alle ali. Nostri eran-0 j, mitraglieri, nostra l'artigli!!ria da montagna annidate, alle nostre spalle, che ti sfiorava il capo, con una cortina fischiante e precisa, ti apriva la strada u lagliava le gambe al nemico; nostre le bombarde, quei lunghi maiali volanti. che dal fondo dei. burroni montavano diritti sul tuo capo. ed esitawno. parevci che volessero retrocedere. prima di butt,arsi col muso e andqre a crepare fra i reticolati. soffiando ca,valleui, sacchi, elmi, braccia. ·pa-Strani,contorcendo pudreUe che queste parevano ferrettini di donne. Quota 1()50 era tutta un forte di fanteria. un esempio di fortef icazione, fatta dal fante italiano con la =appa. le mine. la pa· :.ienza, e ri/aJ,t,aogni giorno. Caverne, baracchini di travi e sacclielli, baracchini muniti di travi di ferro, muraglie di sacchetti bianchi, terrapieni, camminamenti profondi, trincea, parapetti, con scudi d'acciaio a,feritoia, con stipetti, coperti da una tenda di sacco. per tenerci le bombe e i caricatori. Parallelo a.lla trincea, correva u,i camminamento maestro, ~sava innanzi alla bocca dei baracchini, che dava.no le spalle alla trincea. U11a rete di camminamenti stretti univa quelle due arterie, fra le quali comandi di compagnia, pwtoni, vedette vegliavano, combat1.evano, dormivano. mangiavano, scrivevano. Era una città schiacciata sugli abit,anti, nella quale tutto era e//imero, la co11sisten=adegli edifici, il terreno, la vit,a. Travi, uomini, mu· raglie erano so/fiati dagli scoppi. Ogni notte, c'erano parapetti franati. baracchini sventrati, camminamenti riempiti. All'alba, le talpe ricominciavano il lavoro di Sisijo; rifacevano mura, lPUi. parapelli, camminamenti. Al parapetto del secondo plotone, c'era la punta d'una scarpa, che s'af /acciava, tra i sacchetti, e se cercavi di tirarl,a, sentit1i ch'em incassata. C'erano del rPsto tanti stracci e legni e rottami. tra i sacchelti, e anche quella scarpa faceva da zeppa. Fra11at 1ano una, due. tre file di sacchetti. e la scctrpa era l,à, pareva che reggesse [,e altre fila. U11anotte, e/te i tedeschi vennero <tvanti e il tiro corto dei ca11norzieri/ra11cesi schiacciò al parapetto le mosche del s,,condo plotone, tult,0 il parapetto /u denwlit-0, e fo scarpu. rirtwse là, sospesr, in aria. Era il piede d"un uomo asciugalo ,, nero. usci11a dalla rovi11a,.Fu ri/auo il p<trapetto e i fanti cuntinuarono a combauere da quella sepoltura. Parew d'entrare in una fortezza. a quota 1050. d'essere giunti al sicuro, /inchè non vedevi i primi che s'addormentavano, come, appena vi giunsero, quei du,e pia11toni di fureria. Dovevano cercarsi e costruirsi un riparo, mo erano due ragazzi. 11011 avevano imparato a guard<irsi. Videro un muretto a secco st'micircolare, una st,anzeUa scoperta. uno di quegli appoggi provvisori delle avanzate, !-O coprirono con un telo dct tenda e ci si ficcarono. Appena c'erano entra'-i; un cannoncino so/ /iò il telo e comparvero quei due ragazzi, col pastrano, il tascapane ancora a tracolla, seduti, gli OC{:hichiusi, l'uno appoggiato all'altro, con la spalla e col capo, senza una goccia di sangue. I tedeschi avevano cannoncini ben post,ati, che frugavano il camminamento meastro e i baracchini, ed erano sempre in agguato. Non facevano ferite. divora.vano. Invece non c'era da IPmere fucili e mitragliatrici altrQ che ai posti di vedetta. I te16 deschi erano ottimi tiratori di bombe a mano ed erano ri ffl· gati con buona moneta di bombe Carbone, vere granate• della forma e gra,ule=za di una pan11occhia di gra.none. con ma11i,:o di /erro. che serviva per _impugnarle e anche pPr appenderlP al cinturino, le quali avevano appiccica/et alla base un'orecchietta di tela: strapp<tndola, accendevi la bomba. che aspe!· t,ava qualche minuto, prima di scoppiare. Il jante non si emo- =ionava, non at·eva /retta. e i migliori tiratori la scagliavano, che ,scoppiava in aria. Al Picco Bruciato invece non ti pot,evi muovere sen:.a dare nell'occhio. scoprire il plotone, bus,carti una fucilata. chiamare· le bombe sui tuoi uomini. Anche il ca:.mbiodPlle ved,•ttp succedeva con quella padronanza del terreno, eh,, i vecchi fanti avevano acquistai.o. ·Non do,1evi ceri-Oesser lu a n.wntar,· la sentùiella. ma non .potet·i fare a meno di cercarti un punto d'osserva=ione, imparare a conoscere ciò che stat,a in jac<'ia al tuo plotone. Dovevi a.bituarci l'occhio guardare e guardar<' qu,el grodglio: t-i scoraggia.vi. rinunziavi. ricomincicwi a guardare, scorgevi qualche oscillazione. ti cor,cP.ntravi sopra un punto, vedevi sparire la can11Ctd'un fucile, la cupola cl'u1_1elmo. riconoscevi un sacchetto, una puJ,rella. e a poco a poco leg• gevi quel geroglifico, tentat1i di farne lo .~ch/==o,parago,w ,·i hi lua con la posi=ione nemica. La nolte era più facile andare da una vedetta. portare coi caporali. cercare il sergente, e non ti facevi sorprendere da.lla luce dei razzi allo scop.erto, se avet i capito il terrt.'no. A v,•vi la pistola d'alluminio, per chiamare l'artiglieria, per dirle, con quei garofani rossi, che si spalanca,,ano in ciew, d'ullungare il tiro; per dirle . d'accorciarlo. con quei /iordalisi turchini. Il ra==odi tri:ncea lo lanciavi quando non c'era la luna, e ci volevi veder chiaro. Lo lanciava il sergente, lo lanci.am un caporale, se 11,11avedetta aveva avuto un sospetto; lo lan• ciavq il tuo e il plotone dei bulgari, che ti stava in faccia; il tuo bat.t,aglionee il battaglione nemico, la tua brigat,a e quella tedesca, sulla quota, ,illuminando anche la sella, P i picchi. Ma tu non dovevi accenderlo per ogni piccofo cosa; se eri impu· =iente, nervoso, penavi a farti un carattere di fanteria. Col ra=zo ti guardavi dalle pattuglie, da un colpo rii rruuw. un attacco improv~iso, e vedevi il terreno dare rilievo a cose trascurate dal sole; an{:he /,a luna ti svelava qualche sel{rP.to; ma 110nbast,ava capire il terreno. Dovevi imparare ui musica. La musica generale e quella che .ti riguardava da t icino. Devi confessare che al principio non distinguevi altro cl,,, i violini d'artiglieria da monta,gna e quel fabbro che me,wn, nw==ate sull'incudine ·della tua roccia. Sentivi le mitragliatrici e non ca,pivi ,se erano nostre, se erar,o nemiche; non distinguevi una mina da una cannonata, una bomba da uno spe:.- =on.e, una granala da una, bombarda, un centocinque da un settantacinque. un colpo che arrivava. da uno clw partiva. Se una wcornotiva forava l'aria. il fante sapeva che cos'era. dove era diretta; tu st,a1 1i come l'asimo in mezzo ai suoni e non domandavi nulla. La guerra .te la devi imparare da te. Comi11ciavi a capire i colpi di passaggio, quelli che ,w,, ti riguarda,• vano. e ti alleggerivi di un peso; cominciat•i a distinguere i nostri dai colpi nemici; li restavano da capire i proiettili coi quali avevi maggiormente da fare; non tardavi a riconoscerli dalla voce. Arrivavano a casaccio? Battevano lo stesso punto? Tutti certo miravano alla /ronte e alle spalle • del plotone. Pppure ogni arrna,aveva le sue preferenze. le bombarde, i ca.11noncini, le mitragliatrici; capiti clove andavano le bombe '.1 mano. dove allignavano le /ucilate; ti facevi un'idea del metodo e quasi dello scacchiere dell'artiglieria tedesca, e dell'imprevisto, con cui t'ammoniva. Così imparavi a ,wn fracassarti subito le ossa e cominciavi a diventare fante. Quando facevi l'avanzata capivi il terreno. I ragazzi invece cascavano com11 Le mosche. La maggiore probabilità di giungere alla trim:,.,, nemica, l'avet1ano le vecchie talpt•. MASSIMOLELJ
• • • opo 1 1m e 1 e guerrieri in Africa Feticci::> scolpito dei Baluba . (Congo meridionale). f n questa medesima riv1- :;ra S.crivevodi recente che la c.lottcina razzista « pone gli Etiopici in un'evidenza speciale che è nostro dovere e interesse valutare adeguatamente. Sull'argomento credo di portare una parola imparziale ispirandomi alle ricerche da me condotte sull'intera estensione del Continente Nero in otto v~aggi svoltisi fra il 1926 e i 1 l 938 e riassumendo quanto da anni ho detto in numerose pubblicazioni fra le quali, de. Stinate al gran pubblico, i vo. lumi « Dal Capo al Cairo » e « L'Impero Etiopico». Trarrò soltanto qualche conclusione nuova, d'altra parte già implicitamente espressa da me in passato, sull'opportunità per noi non solo di risanare in senso medico l'Etiopia ma anche di non frenare nei suoi indigeni la naturale prolificità spontaneamente incoraggiata, invece, dal benessere da noi portato sul posto, sì da far prevedere un raddoppiarsi dell'attuale popolazione nei prossimi decenni. Una volta resi fiduciosi gli Etiopici del nostro potere e ben trattati, essi non desidereranno di meglio che restarci sottoposti e magari affiancarci in qualsiasi nostra futura impresa coloniale, eventualmente - ed anzi con tanta maggiore gioia per loro i - anche fuori i confini dell'Etiopia. Ve li conduce l'innato senso <li fedeltà verso chi stimano e lo spirito bellico impareggiato da ogni altro africano ». In quanto a stima, !'indigeno ne ha certo per chi lo tratti, anche: se in modo rude e con punizioni più o meno severe ma giustificate, bandendo sentimentalismi impossibili a seguirsi e infondendo, invece, nel dominato il senso della superiorità del dominatore: nei nostri territori, del dominatore italiano sopra ogni altro bianco. All'uopo, arti eccellenti seppero usare, e usano, i nostri ufficiali. Dalla materia grezza dell'Africano semibarbaro mmiellano così il soldato coloniale· ormai ben noto: con arti ispirate soprattutto alla semplicità e alla considerazione delle tendenze naturali insite nei nostri sudditi di colore e per le quali questi sono facilmente portati a sottostare in pieno alla volontà di chi rispettano. Ciò in particolare quando tali arti si applicano sulle genti etiopiche che, ripetutamente dissi, costituiscono il miglior materiale umano del Continente Nero. Difatti gli Etiopici, benchè antropologicamente siano tutf altro che scissi dagli altri elementi etnici del1' Africa, vi sono rimasti il gruppo meno contaminato ·da incroci sfavorevoli, sì che hanno conservato, meglio di ogni altra popolazio~e con loro imparentata,- una componente da dirsi europoide che è la causa, e più ancora lo fu in passato, del loro differenziarsi sotto l'aspetto somatico e culturale. Tale componente può rilevarsi anche oggi alla base di numerose genti dell'Africa: fatto importante e impossibile a non considerarsi da chiunque voglia in<lagare sulle vicende di ogni tempo e gettare uno sguardo an h~ su quelle future dell'intera Africa. In proposito ripetutamente già dis ussi, :id esempio pec piegare quali furono i motivi della decadenza di quell'antica civiltà dctt:1 di Zimbàbue fiorita a lungo ne!la Rhodesia Meridionale: essa non perse di splendore fino a che i suoi artefici - indigeni. benchè da molti si sia sostenuto il contrario -- si mantennero in uno stato di purità razziale suflicicnte a serbare inalterate le qualità psichiche della stirpe. La caduta, inve e, sopra\'venne rapida appena cominciò l'incro io sregolato con genti razzialmente inferiori come i Negri e i _Boscimani. Di grande significato per la storia etnica dell'Africa è che i costruttori di Zimbàbue e di tutti gli edifici, oggi in deplore\'ole rovina, sparsi su un'area grand<: quasi tre volte l'Italia, furono di un tipo che l'antropologia può riferire soltanto all'etiopico. La decadenza della Rhodesia ebbe effetti sensibili su gran parte dell'Africa Meridionale, perchè finita la produzione indigena dell'oro, a cui Zimbàbue dovè la sua origin-e, si allontanarono i trafficanti arabi che per lunghi secoli ne avevano curato l'esportazione, troncando così l'unico legame col mondo esteriore. Soltanto con l'arrivo dei Portoghesi, agli albori del XVI secolo, sorsero nuovi contatti, ma gli indigeni erano ormai troppo abbrutiti per potersene in vero modo avvantaggiare.
Guerriero nubiano (preso dal vero da Pilghein). Il crollo culturale della Rhodesia rimase perciò definitivo fino a1 nostri giorni. Alla pari delle genti a caratteristiche somatiche e culturali superiori che abitarono l'Impero del Monomotapa - così chiamato dal nome del sovrano che risiedeva in Zimbàbue - le popolazioni di molti altri stati sorti in ogni parte del continente, e alcuni dei quali di ragguardevole entità, si erano avviate alla decadenza, per identici motivi, bene ayanti l'arrivo dei coloni europei. Di parecchi di cotesti stati è giunto fino a noi l'eco delle imprese guerresche compiute in virtù di un fierissimo ed intelligente spirito combattivo, di cui attualmente si rintraccia appena, qua e là, un pallido riflesso. Di P'• sè significativo sarebbe anche l'arido elenco di tali potentati a dimostrazione della generalità in Africa di culture molto superiori alle. odierne. La storia ci parla dei sovrani del Sudàn Occidentale e delle loro dinastie durate per secoli, come nello stato di Tombuctù. Risonanza notevole ebbe, fra i tanti, il reame di Benin in Nigeria, che gli Inglesi trovarono già affievolito quando, nel 1897, ne saccheggiarono la capitale. Nei principali musei d'Europa e d'America si ammirano i bellissimi bronzi di squisita fattura, gli avori e i legni scolpiti dovuti agli antichi Bini, fondatori di Benin. Nel Sudàn Centrale sappiamo dei regni Asande e Mangbetu; nell'Orientale di quello Scillùk. Nell'Africa equatoriale sorsero pure stati di elevata-organizzazione: quelli dei Congo, dei Balunda, dei Bacuba furono alcuni di essi. Il loro potere si estese su territori talvolta molto più grandi dell'Italia mentre, anche indipendentemente dal predominio europeo, i capi sono ora incapaci di presiedere a una giurisdizione che superi le poche diecine di chilometri quadrati. Analoghi fenomeni si verificarono nella regione dei, Grandi Laghi, per cui negli ultimi 18 secoli non vi si ebbero che staterelli dai mille ai ventimila abitanti ciascuno. Ove sussistono tracce di autorità indigena è per l'esservisi mantenuta una maggiore proporzione del sangue primitivo legato a caratteristiche somatiche superiori di tipo europoide. Così fra gli Angoni della Rhodesia Settentrionale, discendenti degli Zulu di cui è rimasto celebre l'ardore bellico: essi dettero molto da fare perfino agli Inglesi. Origine zulu ebbero anche i Matabele, tribù di agricoltori e pastori abitanti la metà ovest della Rhodesia Meridionale detta Matabeleland. 11 loro sorgere fu dovuto a prette cause militari. Difatti, al principio dell' '800, dopo la conquista del Natàl da parte degli Zulu con alla testa il re Ciaca, un guerriero di questi, Mosilicatze, venuto in disgrazia del Capo per questioni di interesse, varcò i Monti dei Draghi con un certo numero di armati. Insediatisi nelle nuove terre, furono detti Matabele per il loro modo di combattere mantenendosi nascosti. Sotto la pressione dei Boeri, nel 1857 doverono attraversare il Limpopo. Passati nel territorio dei Makalanga, sterminarono la popolazione indigena dedita a pacifiche industrie minerarie. Dopo una lunga serie di saccheggi e scorrerie si stabilirono nella regione che occupano tuttora, assorbendovi i locali Negri Masciona, genti tranquille dedite alla coltivazione, all'arte della ceramica, alla scultura in legno, alla metallurgia, ecc. e assorbendo così sangue inferiore al loro. Il popolo Matabele risultò col tempo diviso io tre gruppi principali: Abezanzi, Abanhla, Amaholi ... Tra il 1885 e il 1891 subirono l'urto della British South African Company che con facilità abbattè definitivamente il loro potere. Episodi del genere sono da mettersi in relazione con l'impoverimento del patrimonio razziale che diverse tribù avevano ricevuto dagli Zulu. Questi, come ho potuto accertare con mie visite durante l'ultimo decennio, sono lungi dal presentare l'aspetto negro ritrov.ahile più a nord di loro, come nel Mozambico, nel Tanganica e nel Congo. Impressionano invece per il buon numero di fisonomie veramente fini, che nessun confronto migliore trovano se non con i nostri Etiopici. Lo stesso indicano anche parecchi loro usi e comportamenti consueti. E' certo strano, ma di grande importanza per l'antropologia, osservare la ricomparsa in fondo all'Africa di un tipo come quello presentato da tanti Zuiu. Non si tratta però di un caso sporadico : non pochi aggruppamenti umani ripetono in Africa, e non a caso, il medesimo fatto. Si ha nell'Africa Centrale, nel Congo, nella regione dei Grandi Laghi, nel Nord e nel Sud Rhodesia, nel Transval e altrove. Si tratta di residui, sopravvissuti per circost:m.ze fortuite, di un tipo umano molto evoluto, già ampiamente diffuso in Africa, ma ora ridotto di numero per incrocio con razze indigene inferiori. Gli Zulu sono, dunque, nient'altro che uno di codesti residui. Lo spirito battagliero, non ancora del tutto sopito, che essi posseggono ne dipende direttamente. Il loro paese appartiene alla fascia costiera dell'est dell'Africa australe e si estende alla parte compresa fra l'Oceano Indiano e la Catena dei Monti dei Draghi, o Drakensberge, dalla baia di Santa Lucia al nord e la foce del Tughèla al sud. Tutto questo terreno è in massima parte in mano deg!i Zulu che vi allevano le loro numerose mandrie di buoi e vi coltivano un po' di granturco e di cereali, mentre il rimanente è usato soprattutto a scopo agricolo e di allevamento di bestiame da un non grande numero di Europei. Nello Zululand, possedimento inglese, i capi indigeni hanno conservato i poteri, sotto la sorveglianza britannica esercitata a mezzo di sei funzionari, ognuno dei quali dirige uno dei sei distretti giudiziari in cui il territorio è diviso. Prima dell'attuale regime il paese fu alquanto turbato per guerre, specialmente da quando, intorno al 1810, salì al potere il famoso capo Ciaca, detto, dagli storici çlel Natàl, il Napoleone del Sud Africa, per
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