La Difesa della Razza - anno I - n.5 - 5 ottobre 1938

pole1niea Disarmiamo i borghesi Dal tempo di quei cartesiani di Napoli. dei quali Giambattista Vico parla nella storia della sua \'ita, fino ad Alessandro Manzoni e<I alla sua opera della rivoluzione, la quale consiste in un parallelo fra il 1789 francese e il 1859 italiano, corre un periodo di eliminazione giacobina, del quale sono punto culminante gli a,rni 1848 e 49. Con quella fehhre l'Italia espelle l'intossicazione francese. Riacquista la salute, nel decennio piemontese, quando la scuola di Vico, Galanti, Bandini, Pompeo Neri, Fossomhroni, Cuoco, conta tutta la gioventù fedele, oltre i delusi ricreduti, simboleggiata dall'armonia di Manzoni. anche di Rosmim, con Cavour. Quando senti dire che quello fu un periodo di maturazione, rispondi a chi lo dice che è un imbecille. L'Italia che aveva dato vita all'Europa, doveva maturare? Non Balbo, non Ca· vour, non Cap1 loni. non R1casoli, non Scialoja; dovevano maturare le nature deboli o i mazziniani ravveduti, Pallavicino, Manin, ecc.: ma quello fu un puro e semplice ritorno alla patria. E non maturarono gli eversori di feudi, i spogliatori del popolo, i creatori della borghesia, i quali invece covavano il colpo, il corollario dell'eversione, e lo fecero nel 1876. L'Italia non poteva maturare nì- la rivoluzione nè i principi1, senza corrompersi e diventare un episodio passivo dell'Europa, come diventò quando i borghesi ehbero fallo il colpo del 1876. Per la nazione <li Dante, Machiavelli, Gravina. Vico, l'illusione rivoluzionaria non era altro che un'illusione corrolla. Vico la respinse, quand'essa era ~oltanto una filosofia. La re· spinse Vincenzo Cuoco, con tutte le sue opere, anche se poi diventò napoleonico, si fece fare barone, ebbe valletti, finì come gli altri straccioni. Ma egli morì pazzo. Si può capire che l'autore del Platone in Italia, preso dall'ambizione borghese, fosse già impazzito. Vico, Cuoco, Galanti, i toscani, tutta la scuola italiana respinse quell'illusione. Cuoco la pensava alla Cavour, principiando dall'agricoltura, quando Cavour non era ancora nato, e diceva che un governo italiano dovesse succedere a tulli gli altri, e che Napoli e il Piemonte fossero in grado di prendere quell'iniziativa. e dovessero l'uno o l'altro alla fine risolversi. Altro dunque che maturazione. li primo ad annunciare il regno d'Italia fu Vincenzo Cuoco, quando Mazzini, se pure era nato. stava a balia. Altro che profeti. Ma ora dobbiamo capire che significasse la profezia della unità, che significasse fare l'unità, fare l'Italia, gl'italiani. Questo voleva dire che l'Italia non esistesse ancora e fosse da fare. Ma una nazione nasce, una nazione non si fa. La fanno, è vero. i poeti, la possono fare i guerrieri. come la Grecia. Homa. l'flalia; ma poeti e guerrieri non la fanno a posta. Proprio in questa materia. la rjvoluzione introdusse invece ragione e ,,o]ontà, come ve l'aveva introdotte la ,riforma te· BiblotecaGino Bianco desca; ma rivoluzione e riforma sono la riflessione del mondo classico, nacquero decadenti, e sono un vivente problema morale: la riflessione le innalza fino a Dio, la riflessione le cor• rompe fino alla morn le giacobina, e hanno bisogno di partorire moralisti; mentre noi siamo il principio d; questo mondo di riAessione, che ci vorrebbe assorbire, e parliamo ancora il volgare di Ennio, essendo quello di Dante la sua perpetuazione. Vale a dire che la riflessione è un prodotto secondario. che non ci appartiene. A noi appartiene l'origine e la perpe• tuità dell'immaginazione originaria, provata dalla I ingua. E vale a dire che la nostra esistenza dipende da uno svilupp\l dell'immaginazione, mentre la riflessione ci può condurre sol· tanto a concimare l'esistenza altrui, a spegnere il no~tro lnme originario, Ji cui il mondo ha bisogno, perchè da esso è nata la civiltà. Credere che l'Italia non fosse quella formatasi tra il 1200 e il Rinascimento, e che fosse invece ancora da fare, questo fu l'equivoco dei cosiddetti apostoli del patrio riscatto, dei rinno· vati apostoli ciel 1876, e della loro genera,ione bastarda, perchè è un equivoco che dura ancora, U!l equivoco mortale. una cupidità di dissolversi. Ciù deve farci comprendere quanto grande sia il destino d'Italia, quanto difficile. Agli ostacoli naturali altri ne ahbiamo aggiunto noi, che lo mellono in pericolo, lo rendono irraggiungibile, se 11011 facciamo presto a toglierli. L'Italia sariì carcerata finchè trascinerà quelle due c11tene, che sono la cultura e la borghesia. Il sistema della riforma e della rivoluzione l'hanno fallo e ce rhall'no imposto i horghesi. È il modo di' pensare, di vivere. è la società, la patria borghese; e questa patria è un luogo, che non è l'Italia, una città, che non è Roma. Parliamoci francamente. L'Italia è la nostra patria, ma in tutto quello che an· cora dipende dai borghesi, in ogni particolare effettivo. c'è una patria ufficiosa, che non è la nostra. A quella guardano i borghesi, da quella sperano. Ce ne accorgiamo nelle ore gravi. Che cosa attendono? Sono i discendenti di quelli del 1876. Sono di quella scuola, di quella razza. Non abbiamo dunque bisogno di rispondere. Tutti possiamo propendere e aver simpatia per questa anzi che per quella nazione. ma l'affeuo dei borghesi è straniero, perchè da quell'affetto essi vogliono far dipendere anche le cose d'Italfa. E' un guasto della natura. un guasto della dignità, amare una grandezza non nostra. E' meglio non aver patria che preferire l'altrui. C'è una sola borghesia nel mo11cloche sia giunta fino a questo punto. Come può l'Italia raggiungere il suo destino. se questo dipende dai horghesi? Essi sono la vivent~ e storica contradizione dell'Italia. Avanzati, organizzati, com·essi sono, che sarà dell'Italia clomani, se non li avremo disarmati? Non perdiamo tempo. MASSIMO LELJ 39

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