La Difesa della Razza - anno I - n.2 - 20 agosto 1938

confina solo a ponente con la Provenza, e a tramontana con la Germania, mediante però le monlag:1e altissime ed aspre, che (secondo pone il Biondo) franzescamente si chiamano Alpi >'. uale ~ istorico mondano.,,, come egli si profes~a. cioè quale patrocinatore degli interessi terreni, e non dei disegni spirituali della Provvidenza, il Giam bullari si scaglia quindi contro Costantino « che trasferl la sedia u1 Bisanzio» e abbandonò « la universo! regina del mondo, proponendo i paesi strani a' domestici, i servi a' signori>. Concezione questa che è dantesca e petrarchesca i:1sieme, purchè si voglia tener resente che, ai tempi del Petrarca, era oramai sv nito anche la estrema speranza d'uno ~ renovatio impeni >, e l'unico potere Italiano. e Romano era quello dei Papi, profughi ad Avignone, come Costantino a Bisanzio Il Gi mbullari, nel bel mezzo del Cinquet._-nto, fa pertanto eco ai suoi predecessori lancia ai posteri un doppio monito che è anche un sublime vaticinio: Roma « caput mundi~ non può essere posposta ai « paesi strani )> ed ai ~ servi >, e l'Italia - che il Petrarca h cantato quale « opulenta viris >, cioè feconda di eroi, ha la stessa figura d'una fogìia di quercia, ossia della pianta c!-ie è c;imbolo della forza e della perpetuità, e la cui fronda serve per coronare i vittonosi. Sostituirebbe adesso un'esercitazione puramente rettorica quella d'andar cercando, nei secoli successivi della nostra Letteratur , documentazioni altrettanto manifeste come quelle riferite fin qui. Cinquant'anni dr: c.::, dopo il Gicmbullari, Fulvio Testi, nel suo poemetto dal titolo « Pianto d'Italia, o l'Italia affl"tta », fa dichiarare alla nostra Patria che e~sa non ha sopportato mai « lungo tempo-, un impero « barbaro o ignoto» e che, anzi, ....qual palm nobile e indefessa mi sollevai, più nel vedermi oppressa. Quasi nello stesso torno di periodo il Tassoni, resunto autore delle famose « Filippiche> contro la dominazione spagnola, mantiene co:1 il Polonghera un carteggio che è pieno di sacro fuoco d'amor patrio e dà lo spunto ad una letteratura hbellistica in gran parte anonima, che pullula in ogni dove, nelia Penisola Sono queste verità che tutti conoscono, e che perciò non giova ripetere. Quello che invece bisogna chiarire è (come è stato avvertito da qualche pensatore di buon senso) che non si tratta affatto di manifestazioni isolate di concetti e sentimenti individuali, ma di "voci che, tulle insieme, si congiungono in un sentimento di odio, che le ispira e le iniiamma > e che « formano come un nobile cccordo di rimpianto e di gioia, di timo:-e e di speranza, nel quale suona alto e si afferma il nome d'Italia, innanzi ai suoi figli e allo straniero>. Perciò non c'è da meravigliarsi se la letteratura politica del Sei e Settecento diventa addirittura imponente. C'è da meravigliarsi invece che essa si sia falla più vivace e violenta, quanto maggiormente il rischio d'esprimere un'opinione diventava addirittura minaccioso. Non sono più soltanto i Grandi che ievano le loro proteste e parlaBibliotecaGino Bianco no alto della nostra stirpe d eroi. vi sono una folla di minori il cui nome a stento può essere colocalo oggi in una storia delle nostre « uma:1issime » Lettere. '!"uttavia i Grandi sono, come sempre, 1 più ascoltati, ed è per questo che l'Ottocento non si è ricordato altro che di loro e, per bocca del Foscolo, ha consideralo l'Alfieri quale !'esponente massimo dell'indignazione italiana e della speranza mai assopila negli animi. Vittorio Alfieri era un simbolo veramente degno: le sue ossa, in Santa Croce, potevano « fremere amor di patria >, perchè in lui il problema della nazionalità aveva assunto lo stesso colorito di concretezza che aveva avuto in Dante. « Insisto - egli scriveva nel « Misogallo » - su questa unità d'Italia, che la Natura ha sì ben comandala, dividendola con limiti pur tanto certi dal rimanente del!'Europa >. E, rivolgendosi alla Patria, con l'impeto stesso della famoso ap:,strofe del canto di Sordello, diceva: « Finchè un tremuoto, o un diluvio, od una qualche cozzante cometa, non ti avranno trasmutalo di forme, finchè tu stretto e montuoso continente, tra due racchiusi mari, penisoletta ti sporgerai, facendoti del!' Alpi corona, i tuoi confini dalla natura son fissi ed una pur sempre (per quanto in piccoli bocconcini divisa e suddivisa tu sii) una sola pur sempre esser dèi d'opinione>. Vi:torio Alfieri riepilogava il pensiero politico e letterario italiano, quale s'ero rivelato con chiara precisione fin dai tempi di Dan!e L'Italia è una Nazione e deve essere uno Staio, perchè è un popolo, ossia una razza geograficamente distinta dalle altre per il volere di Dio e per !e materiali condizioni della Natura. E poichè la razza è istinto e passione, l' Allieri non predicava ideologie inconcludent". ma proclamava in modo semplice e crudo: ~ Chiunque, o Italia, t'insegnerà a ben odiare i tuoi naturali e perenni nemici, verrà ad insegnarti, e a rammentarti ad un tempo, il più sacro dei tuoi doveri »! Accadde cosl che, quando nel secolo scor- .,o il Mazzini per ragioni tutte particolari e contingenti, cercò di mettere in luce un concetto «spiritualistico» della nazione, rifattosi al nostro passato e alla tradizione letteraria, fu <.:ostretto a desistere dal suo tentativo e a ritornare all'idea squisitamente latina dela razza, senza false intromissioni di elementi e di convincimenti esotici. Nello « Statuto della Giovane Italia> il Grande Genovese lascia da parte qualsiasi distinzione più o meno sottile e parla senz'altro di università degli italiani, con espresso richiamo ad una nozione condivisa da ognuno. Tutt'al più egli ci aggiunge la parola progresso, che è fondamentale per la sua filosofia politica, ma che non esclude, anzi presuppone, i dati materiali del concetto di nazione. < Per Nazione - egli chiariva in altra sede - noi intendiamo l'universalità dei cittadini parlanti la stessa favella, associati, con eguaglianza di diritti civici e politici, all'intento comune di sviluppare e perfezionare progressivamente le forze sociali e l'attività di quelle forze>. Tuttavia una definizione di questo genere non chiariva soltanto il concetto di Nazione Italiana, ma metteva in luce anche un intere programma politico. La azione rimane un fatto geograficamente, e cioè materialmente determinalo, e attestalo inoltre da un fenomeno sensibile: la lingua. L'intento di perfezionarsi, il mezzo, o i mezzi necessari per raggiungc~e un tale intento, non sono p1u falli, ma aspirazioni che ne dipendono, e sono possibili solamente ove il fatto esista. Coloro che hanno tanto elucubrato sopra lo spiritualismo e l'idealismo mazziniano sono pregati di ben meditare, per loro personale edificazione, sopra il V capitoletto dei < Doveri dell'Uomo>, che porta il titolo d: ~ Doveri verso la Patria». Ivi è detto con estrema semplicità che Dio ha fonddto « IÌ germe delle Nazioni >, ripartendo il genere umano in gruppi nettamente divisi « dai corsi dei grandi fiumi, dalle curve degli al 1 monti e dalle altre condizioni geografiche> E, per quante riguarda gli Italiani in ispecie, il Mazzini scrive senz'altro: « A voi, uomini nati in Italia, Dio assegnava, quasi prediligendovi, la Patria meglio definito d'Europa. In altre terre segnate con limiti più ince, ti o interrotti, possono insorgere quislioni che il voto pacifico di tutti scioglierà un giorno, ma che hanno costalo e costeranno forse ancora Jcgrime e sangue: sulla vostra, no ... Non vi sviate dietro a speranze di progresso materiale che, nelle vostre condizioni dell'oggi, sono illusioni. La Patria sola, la vasta e ricca Patria Italiana che si stende dole Alpi all'ultima terra di Sicilia, « può compiere quelle speranze». Una certa rivista fiorentina che, quantunque retta da degnissime persone, sta tuttod: a bofonchiare intorno alle vicende della nostra politica e cultura nazionale, ha di recente rilevato, con particolare malizia critica, come, secondo· il Tommaseo, il termine « razza> sia male approprialo quando si faccia quistione di uomini, perchè tale termine s'usa propriamente per le bestie. Peccato che la toscanissima e « puritanissima » rivista non abbia tuttavia pensalo che il Tommaseo non era fiorentino di nascita e, per conseguenza, spesso si trovò ad affermare cose, intorno alla lingua, che mancano d'un reale fondamento. Chè, se, viceversa, la delicata rivista avesse consultalo o la Crusca, o ser:1plicemente il Petrocchi, avrebbe avuto agio di vedere come il termine «razza» s'usa in Italiano « di famiglie di popoli >, talchè si dice « razza bianca, razza nera, gialla, rossa o americana >. o meglio, « razza latina, germanica, slava. greca :t-. Si tratta dunque di un termine geografico, che tale è, e deve rimanere, perchè gli uomini sono stati distinti da madre natura in razze, proprio in base alla terra da loro abitata ormai da millenni. E noi Italiani siamo di « razza Italiana>. Tali ci siamo sempre sentiti, e ci sentiamo, profondamente convinti con Dante, con il Petrarca, con il Machiavelli e con il Mazzini, che, in questo campo, l'orgoglio è dignità e decoro di un popolo, e che i varii umanitarismi e spiritualismi più o meno cosmopoliti sono soltanto originati, o dall'astuzia degli ipocriti, o dalla debolezza dei vili. RICCARDO MICELI

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