La Difesa della Razza - anno I - n.2 - 20 agosto 1938

' E' tempo - ed è bene - che venga messa in luce meridia:1a questa grande verità: l'« orgoglio» nazionale di noi Italiani è essenzialmente, anzi unicamente, « orgoglio di razza». Si comincia infatti a constatarlo daJ:a nostra maggior musa, da Dante Per chi non ha il mal vezzo di perdersi dietro i significali anagogici, è chiaro come il Poeta non faccia mai distinzioni o discussioni filosofiche intorno alla sua origine: dice senz'altro di sè, e della schiatta cui appartiene, d'essere la pianta nella quale rivive « la semente santa» dei Romani. Tutta la « Divina Commr,dia > è imbevuta di questa convinzione, che ha un deciso valore reale ed inequivocabile. Il Poeta è, insomma, per la stirpe: ossia per gli elementi materiali che distinguono popolo da popolo. « D'uno in altro sangue », « nostra nobiltà di sangue ». « confusione delle persone », cioè mescolanza di razze diverse: queste sono le sue espressioni più comuni e significative. Coloro che non vi hanno badato, o si sono lasciali invischiare dai varii umanitarismi e misticismi che infestano un po' tutti i secoli, hanno per conseguenza affermato che in Dante il problema della nazionalità non era sentito, o avvertilo, nel modo nel quale, secondo loro, si determina più tardi. Errore grossolano e ingeneroso, perchè mentre disconosce un fatto innegabile, altera d'altro canto i termini della verità sotto il miraggio d'ideologie in tutto esotiche. Per Dante non c'è Nazione, che non sia Popolo, stirpe, :azza, precisamente come per gli autori dell'antichità, e come per Giambattista Vico. Nazione Italiana equivale infatti a razza Italiana, e vi sono soltanto, in Dante, o Latini, o Greci, o Tedeschi, o Mussulmani, o Ebrei, osia razze determinale e determinabili. Tanto determinabili che non si la nemmeno quistione, al caso concreto, di noachidi, oppure di reggimento politico avulso dalle condizioni materiali dei popoli: la politica è sempre in funzione della stirpe. Per questo Da~te ha messo in circolazione la nota frase sull'Italia considerata quale « giardi:1 dello Imperio». Egli non l'ha adoperala nel senso capovolto, nel quale l'hanno capila i più: che, cioè, ci debba essere prima l'Impero, e poi, dentro di esso, l'Italia, quasi che a questa spellasse l'unità nazionale, e a quello l'unità politica. Invece pr,r Dante la stirpe latina è quella che ha dominalo e deve dominare, perchè la « sanguinilà gentile» è destinata da Dio al comando. Sarebbe infatti strano che, proprio il poeta che, oltre set secoli addietro, ha delineato con indiscussa precisione i confini geografici della Patria nostra, si fosse poi dimenticalo che questa Patria, con un popolo illustre per stirpe e tradizione, dovesse anche avere un Regno! Il vero è che l'Impero di Dante non era, nè il cosmopolita impero dei Franchi, nè quello forestiero degli Ottoni, ma semplicemente e naturalmente l'Impero d'Augusto, che ha per centro Roma, e per territorio suburbicario l'Italia, ossia il territorio abitato dalla « razza italiana», la quale s"identifica senz'altro con la « razza latina» Nè in modo diverso da Dante ·10 pensò il BibliotecaGino Bianco DI UN Petrarca. Questi fu sempre persuaso che geografia, popolo, storia e grandezza politica son cose che slanr,o le une in relazione ,;;on le altre. Il vacuo spiritualismo romantico dell'800 sarebbe stato, per la sua solida mentalità, un assurdo senza nome e senza consistenza. Una patria è sempre un che di tangibile e di visibile. Nel 1358, bramoso di far ritorno in Italia, dopo lungo esilio, il cantore di Laura non si mette a disquisire dal punto di vista morale sul concetto di nazionalità. Scrive invece, in un impeto d'entusiasmo lirico, che sa quasi di bramosia fisica o carnale, la famosissima epistola metrica in torno alle bellezze del no;;tro Paese, nella quale si parla di confini geografici, di pregi naturali e di uomini forti, capaci d"imporre la loro volontà al mondo. ;i ricordo di Vergilio vi è palese, e vi è palese pure il ricordo di Dante, di cui il Petrarca fu emulo tanto costante, quanto inconfessato. Ma, attraverso il ricordo, il sentimento è vivissimo e violento, come di uomo che riconosca i traiti di un volto, del quale avverte l'affinità naturale, senta il caldo d'unu mano animata dal suo stesso calore. E nell'altra non meno famosa canzone all'Italia, -:he i critici pongono tra il 1344 e ii !370, l'elemento concreto e materiale è il solo su cui il Poeta in ultima istanza si fonda, per distogliere i contemporanei dalle rivalità rissose, e insieme neghittose. Il « barì::arico sangue » è contrapposto con estrema violenza al «vostro sangue», cioè al sangue degli Italiani, che non discende, come quello degli stranieri, dal « seme del popolo senza legge», e la « tellus tuta bonis, meluenda superbis » dell'epistola metrica, diventa « il terren ch'io toccai prima ». il « mio nido », la « madre benigna e pia, che copre l'uno e l'altro mio parente>. Non si potrebbe dunque essere più espliciti di cos\: geografia. rozza .. dimora, prima di ogni altra, e sopra ogni altra cosa. Poi. quando queste saranno state ben determinate. allora verranno la storia e le glorie della politica, ossia la civiltà. In tal modo sentono, in tal modo scrivono. nel Medio Evo, i vaticinatori della nostra Italia presente, segnando la traccia a quanti scrittori vengono dopo di loro e tramandano di secolo in secolo l'idea generosa e feconda d'una Patria sublime per memorie e privilegiata per natura. S'impossessa di questa idea, sui primi del Cinquecento, Niccolò Machiavelli e osa comporre il suo «Principe» nel bel mezzo di contese politiche che avrebbero fatto tremare le vene e i polsi a qualsiasi altra tempra d'uomo. E si badi che le sue espressioni sono, alla perline, le espressioni stesse del Petrarca, con i cui versi anzi conchiude il ventiseiesimo capitolo del suo immortale capolavoro. Per lui, come per il cantore di Laura non v1 sono che Italiani contrapposti a B~rbari: e il dominio dei Barbari, « puzza » come puzza appunto una pelle, un sangue, una razza che non sor,o la propria. La violenta espressione del Segretario Fiorentino non è un·espressionc metaforica, ma una espressione. per quanto plateale, ben concreta e precisa essa designa dantescamente una verità che deriva da;Ja natura stessa delle cose, e ch" solo la gente imbellettata può prendere in senso traslato. Gli Italiani si distinguono da ogni altra razza per la solidità delle loro membra e la sanità della loro carne abituata all'igienico lavacro delle terme romane identici ai Latini oer virtù e volontà oltrechè per filiazione "e discendenza diretta, sono deboli soltanto per l'assenza di ordinamenti politici e la mancanza di un Capo Chè, se in Italia apparirà un «redentore» con quale amore non sarà « ricevuto in tutte quelle provincie che hano patito per questrilluvioni esterne »I « Quali porte se gli serrerebbono - domanda con lirica esaltazione il Machiavelli - quali popoli gli negherebbono ubbidienza? quale invidia se gli opporrebbe? quale Italiano gli neghPTebbe ossequio?». Geografia, razza, e quindi tradizione storica e politica sono i pri:1cipii dominanti di quella sana mentalità positiva che nutrl il nostro Rinascimento, il quale tenne· d'occhio alla •?: realtà effettuale delle cose :I) e non si perdette mai dietro le frascherie sentimentali tipo secolo XIX. L'Italia è, per gli scrittori del secolo d'oro delle nostre Lettere, innanzi tutto una realtà che si vede e che può essere raffigurala in modo preciso: solamente a questo titolo essa costituisce una Patria. Se Erodoto aveva infatti paragonato il Peloponneso ad una foglia di platano, il Giambulla!'i paragona l'Italia ad una foglia di quercia. « Giace dunque l'Italia - egli scrive nel suo stile solenne - come una foglia quasi di quercia, tra il levante della vernata, e il mezzogiorno· e da tre bande circa dal mare Adriatico, Ionio P. Tirrenio, 41

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