• llO 10 A. Berardinelli, Stili dell'estremismo: Fortini, Zolla, Tronti, Calasso. P. G. Bellocchio, Al di sotto della mischia. BibliotecaGinoBianco
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Diario Rivista di Piergiorgio Bellocchio e Alfonso Berardinelli Anno VIII, n. 10, giugno 1993 Sommario A. Berardinelli, Stili dell'estremismo (Fortini, Zolla, Tronti, Ca1asso) P. G. Bellocchio, Al di sotto della mischia 3 49 Redazione e amministrazione: c/o Piergiorgio Bellocchio, via Poggiali 41, 29100 Piacenza. Tel. 0523/23849. Alfonso Berardinelli, via Dall'Ongaro 83, 00152 Roma. Questo numero: lire 8.000. Abbonamento a 4 numeri: ordinario lire 30.000; sostenitore lire 40.000; benemerito, da 50.000 a 100.000 lire. Per l'estero, lire 50.000. Arretrati: lire 8.000 cad. Versamenti sul c.c.p. n. 10697290 intestato a «Diario», via Poggiali 41. 29100 Piacenza. Chi si abbona precisi sempre da quale numero intende far decorrere l'abbonamento: se dall'ultimo o da quello di prossima uscita. Stampa: Editrice Vicolo del Pavone Soc. Coop. a r. L, via Romagnosi 80, 29100 Piacenza. Tel. 0523/22777. Trimestrale. Autorizzazione del Tribunale di Piacenza n, 352 del 6/6/1985. Direttore responsabile: Piergiorgio Bellocchio. Non contiene pubblicità. Spedizione in abbonamento postale, gruppo IV - 70% - 1/1993. Biblioteca Gino Bianco
Questo numero esce a due anni di distanza dal precedente: un ritardo tale da indurre molti lettori a credere che avessimo cessato le pubblicazioni. Sarebbe troppo lungo esporre i diversi e gravi motivi di un'interruzione così abnorme. Ce ne scusiamo con i lettori e vogliamo rassicurarli che nulla del genere si ripeterà. La periodicità della rivista resta irregolare, com'è stata fin dall'inizio, ma cercheremo in tutti i modi di fare due numeri l'anno. Inutile aggiungere che gli abbonati hanno diritto a ricevere quattro fasci~ coli, quali che siano i tempi d'uscita. Biblioteca Gino Bianco
STILI DELL'ESTREMISMO I. ~ggcndo due libri recenti, uno di Franco Fortini, Non solo oggi. Cinquantanove voci (Editori Riuniti 1991), e uno di Roberto Calasso, I quarantanove gradini (Adelphi 1991), ho avuto una tentazione non facile da spiegare, ma ricorrente, insistente. La tentazione è questa: leggere i due Hbri come le due facce mconciliabili di una stessa medaglia, e i due scrittori come due autorevoli, contagiosi modelli di un estremismo culturale che non è solo italiano, ma che in Italia ha trovato un terreno particolarmente favorevole. Questo est:remismo forzato pensa sempre un po' troppo in grande e non ci permette di vedere meglio dove è ambientato. È stato uno dei tratti tipici deHa coscienza disturbata che gli italiani hanno di se stessi. Potrei chiamarla un'enfasi del pensare, che sceglie per il pensiero scenari eccessivi, mitologici, dove si riceve H mes·saggio assoluto, o si corummano le violen1.edecisive della storia e del fato. A pr.i.mavista si potrebbero avere delle perplessità in proposito. Sia Fortini che Calasso, infatti, oltre ad essere degli estremisti culturali che forzano e caricano le loro frasi, sono anche degli equilibristi della transizione e della combinazione. Sono degli ahi,H strateghi di vaste e varie geografie di nozioni. Tra una contraddizione stridula e un paradosso spericolato, ci tengono a restare in equilibrio. Fortini è stato sempre affezionato alla categoria dialettica della mediazione, nehl'uso della quale ha prodotto molte affilate argomentazioni. Calasso si mostra spesso fiero di sapere, al di là di ogni più corrente opinione, che ciò che sembra contraddittorio o eterogeneo in verità non Jo è: ma bisogna avere occhi per vedere e mente per intuire. Sia Fortini che Cafasso, inohre, sono dei veri maestri della Biblioteca Gino Bianco
passione fredda, dell'oltranza con ritegno. Non amano le emozioni, né rivelano volentieri le proprie. La violenza passionale del loro temperamento tende ad espr.imersi in eccessi ben temperati, recintati e schermati da sottili analisi e da un vasto arabesco di fortificazioni erudite. Sono due polemisti enciclopedici, la cui fondamentale passione potrebbe essere, forse, cosl definita: mostrare o dimostrare che i propri gust•i e le proprie idee, le proprie scelte e le proprie preferenze culrurali non sono limitatamente personali, ma poggiano sulla roccia invisibile di un sapere che tra.scende il singolo individuo, con le sue miserie e le sue storie ridicole. Epoca e Destino annullano e corazzano il loro Io. La combinazione di sapere politico e di sapere religioso in Fortini, la combinazione di misticismo e di snobismo in Calasso, non si presentano in forma .sregolata o di,sarmata. Ogni loro gesto intellettuale tende ad apparire come il culmine di una lunga storia, sacra e profana, di miti e di idee. Quando parlano, sembra sempre di vedere sul loro tavolo un'enciclopedia storica o un'enciclopedia mitologica. Per Fortini non c'è salvezza e verità se non nella Storia, nell'idea di Storia: che è la Croce, che è il dovere e la necessità dell'incarnazione, che è l'intersezione fra economia e teologia. Per Calasso la Storia non esiste, è apparenza, è una triviale ideologia da schiavi e da malati. L'essenziale è già scritto, è già avvenuto. E neppure la verità esiste: è solo uno squisito aroma del nulla, che dà estasi energetiche ai dominatori, a individui fatali e semi-divini. Gli scritti di Fortini hanno esercitato un'influenza varia e ramificata in un arco di tempo che va, più o meno, da,lla fine degli anni Cinquanta alla fine degli anni Settanta. Nel corso di questi vent'anni, anche se in modo non pienamente riconosciuto, Fortini è stato il saggista e cl'litico che in modo più culturalmente sofisticato, e magari per via di intuizioni letterarie, ha ispirato e commentato la crescita di una Nuova Sinistra in Italia. Riconducendo con tenace ingegnosità all'orizzonte di una politica marxista le più diverse esperienze eretiche, Fortini ha riconosciuto in Marx l'interprete centrale e il grande classico della modernità. Si potrebbe dire che una delle mosse polemiche tipiche di Fortini sia stata quella di attribuire, in un orizzonte marxista, autorità 4 Biblioteca Gino Bianco
classica agli eretici e agli eterodossi, facendo d'altra parte un uso provocatorio e scandaloso dei classici. Costanti i riferimenti a Kierkegaard e a Goethe, a Kafka e a Lukacs, al marxismo messianico di Benjamin e al marxismo cinico di Brecht. Tenendo insieme gli opposti, integrando e correggendo, Fortini ha voluto essere il letterato dell'epoca delle rivoluzioni proletarie, che ,non scrive una riga e non pensa un pensiero senza ricordare H primato della politica e la sovranità della storia. Calasso, con sofisticatezzae sottigliezza non minori, ha collocato al centro della propria costellazionenon Marx e Lukacs, ma Nietzsche e Kraus. Nel corso della disgregazione e degradazione della rultura di sinist·ra, l'attività di scrittore e di editore svolta da Calasso ha acquistato un peso crescente. Ed è ormai piuttosto chiaro a tutti che Calasso è stato l'ispiratore paziente e sapiente di un lavoro di progressiva erosione e demolizione non solo delle più ottuse ortodossie marxiste, ma di una lunga tradizione culturale di sinistra. Questo lavoro ha conquistato da tempo molti intellettuali formatisi inizialmente nella cultura di sinistra, attraendo infine, in modo irresistibile, una vasta popolazione di ex marxisti. Proprio la .prossimità cli Marx e Nietzsche, numi adorati perché distruttori e tremendi, ha mostrato quanto volenti~ri e facilmente un marxista cinico si trasformi in un nichilista dionisiaco, restando identico, prima e dopo, il culto snobistico della potenza e dell'impassibilità. Il gelo quaresimale di Fortini, buono per un'economia del risparmio, doveva cedere al gelo libertino di Calasse, più adatto a un'economia di consumi. Comunque, sia Fortini che Calasso sono due manieristi dell'estremismo: il loro stile corre velocemente verso conclusioni ultime, immagini finali, utopia e origine. Ma in questo lampeggiaredegli estremi, si vede poco attraverso i loro scritti tutto oiò che si stende fra un estremo e l'altro. II. - Avendo indicato in via preliminare, schematicamente~e in forma cosi esageratamente didascalica, le somiglianzeper opposizione e Biblioteca Gino Bianco '
·per contrasto fra i due saggisti, vorrei ora opportunamente separarli, dicendo qualcosa ddl'uno e qualcosa dell'altro .. Secondo la tradizione de1la vecchia critica stilistica, che procedeva con poco metodo, prendo, pet cosl dire, un brano a caso, trovandolo immediatame11te t:1pico dell'autore. Si tratta di una definizione di Comunismo, che Fortini ha scritto non ai tempi dei« Quaderni rossi», ma all'inizio del 1989. Provocatorio nella sua fedeltà a un'idea assai difficile, in quel momento, da giustificare e da spiegare, Fortini si impegna in uno dei suoi strenui esercizi dialettici, dove a forza di precisazioni scarnificanti '1'oggetto da definire diventa perfetto e invisibHe. Scrive Fortini: Il combattimento per il comunismo è il comunismo. È la possibilità (scelta e rischio, in nome di vafori non dimostrabili) che il maggior numero possibile di esseri umani viva in una contraddizione· diversa da quella odierna. Unico progresso, ma reale, è e sarà un luogo di contraddizione più aho e visibile, capace di promuovere i poteri e le qualità di ogni singola esistenza. Riconoscere e promuovere ia lotta dell~ classi è condizione perché ogni singola vittoria tenda ad esdnguere quello scontro ndla sua forma presente e apra altro fronte, di altra lotta, rifiutando ogni favola di progresso lineare e senza conflitti. (p. 41) Poeta lirico formatosi negli anni dell'ermetismo fiorentino .e poi della guerra e della resistenza, Fortini ha elevato in tutta la sua opera un altare di lugubre e tormentosa devozione barocca alle idee di guerra, guerra di classe, antagonismo, conflitto, contraddizione. Il dima di tutta la sua saggistica è un clima di duro inverno bellico. Si direbbe che la teoria marx•ista della storia come lotta di classe abbia trovato nell'immaginazione di Fortini uno spazio particolarmente predisposto alla dilatazione metaforica. Questa .dilatazione fa pensare ai cerchi concentrici di un sasso nell'acqua. A partire dal punto in cui l'esperienza della guerra da un lato e la lettura dei testi marxisti dall'altro hanno colpito, il trauma e l'angoscia della scoperta si sono tradotti nella spirale di un impegno ossessivo. Impegno a ricondurre ogni illusoria apparenza, ogni seduzione culturale · all'evento ,çentrale deUa storia umana: l'evento della sopraffazione, l'evento terribik nel corso del quale un uomo ne mutila, ne ucci,de un alt:ro. Biblio eca Gino Bianco
È come se Fortini spiasse di continuo la scena spaventosa in cui corpi umani sono dilaniati e straziati da altri corpi umani. Questa angoscia dell'uccisione e della sopraffazione fisica diventa la fonte di innumerevoli metafore ossessive, non solo poetiche, ma anche ideologiche. In questo è vero che la riflessione politica di Fortini è la riflessione di un poeta lirico: di un uomo che non riesce a raccontarci una storia, ma torna a riproporci con circolare ossessività le stesse idee e le stesse figure. La prima frase del brano che ho citato, nella sua tautologica semplicità, è un vero groviglio: « Il combattimento per il comunismo è il comunismo ». La definizione ha inizio dunque con il « combattimento ». Il lettore dovrebbe sapere già di quale combattimento si tratta. Nel corso di una lotta aperta fra classi ,sociali, in cui un proletariato cosciente e organizzato affronta il suo nemico storico, una classe dominante, un'éfoe del potere economico e politico, certo l'immagine del combattimento sarebbe chiara. Questo in realtà non avviene. Quando Fortini scrive questa definizione di Comunismo, nel gennaio 1989, non c'è nessuno scontro di classe chiaramente in corso, l'influenza del mar,dsmo è assai debole, quasi assente negli stessi partit-i tradi21ionali della sinistra marxista. Il Partito comunista italiano sta per cambiare nome, i gruppi -della Nuova Sinistra nati verso la f.ine degli anni Sessanta no:n esistono più da tempo. La definizione di Comuni,smp, quindi, non può fare riferimento al presente, e il termine «combattimento» è usato nel modo più intempestivo. È Fortini stesso ad aver elaborato, per spiegare se stesso, la categoria.dell'intempestività. Cioè: dire o fare qualcosa nel momento meno opportuno. In questo caso l'intempestività consiste nel definire i-1 comunismo e nel parlare di combattimento come essenza del comunismo, quando nessuno combatte per ,il comunismo e pochi riusdrebbero a definirlo. · Se infatti il comunismo non è altro che il combattimento che ha il comunismo come scopo (scopo non definibile in altro modo), in assenza di questo combattimento i1 comunismo è -indefinibile e, più in sostanza, almeno per il momento, inesistente. Fortini dunque, definendo il comunismo, dice che esso non è definibile in teoria, ma solo in pratica: come combattimento reale, appunto. T•rattandosi Biblioteca Gino Bianco 7
di una prat,ica invisibile nel presente, il tempo di cui si parla è un tempo diverso, un tempo che è, come dice il titolo del libro, « non solo oggi ». Abbi,amo perciò di fronte una definizione che nega se stessa. O meglio che afferma trionfalmente, fin dalla prima frase, la propria impotenza, sia pratica che teorica, ,rjvendicandola come un titolo d'onore e presentandola come un fiero attestato di fedeltà. Non importa che quel combattimento per il comunismo venga realmente combattuto, e che quindi il comunismo sia rea,lmente definibhle. L'intempestività (o semplicemente la superbia) trasporta 1a nozione di comunismo dalla storia positiva alla teologia negativa, o meglio dalla storia profana alla storia sacra. Ciò che importa a Fortini è la forza della negazione che nega Ja (momentanea) inesistenza teorica e pratica del comunismo, affermandone la possibilità futura, la possibHità pura. Cosi ,infatti si apre Ja seconda frase: « È la possibilità (scelta e rischio, in nome di valori non dimostrabili) che i1 l maggior numero possibile di esseri umani viva in una contraddizione diversa da quella odierna». Neppure la contraddizione odierna viene però definita, è -presupposta come un dato di dottrina accettato dalla cerchia dei fedeli e dei resistenti. Quella che dovrebbe essere la « negazione determinata » (la diversità rispetto all'oggi positivamente posto) diventa la negazione possibile di un presente indeterminato. Invece che una realtà, come poteva sembrare nell'uso del termine « combattimento », il comunismo diventa una pura « possibiHtà ». (Ricordo che questo non è molto marxista, se è vero che Marx e Engels, nell'Ideologia tedesca, defiiniscono il comunismo come « il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente»). Possibilità che comporta, certo, « scelta e rischio», ma « in nome di valori non dimostrabili». Che dei valori pos•sano essere « non dimostrabili » come si dimostra un teorema di geometria è comprensibile, ma questa sottigliezza viene usata per evitate ancora una volta qualsiasi affermazione intellettualmente afferrabile a proposito dell'entità comunismo. Anche della contraddizione in cui « il maggior numero possibile di esseri umani» dovrebbe vivere non ci viene detto nulla. Sappiamo solo che questa contraddizione (termine passepartout, termine Bibli~teca Gino Bianco
chiave della dialettica hegeliana usato più suggestivamente che precisamente da Fortini) sarà una contraddizione «diversa» da quella odierna. Tutto viene spostato avanti, altrove, nella dimensione della possibilità. Rischio e scelta vengono depositati ,in questa specie di vuota urna del futuro possibile. Nella terza frase compare qualcosa di più positivo. Si parla di un progresso. Non molto promettente, però. L'ascebi:smodella prosa di FovtinJ, ohe non si concede di ospitare oggetti concreti, che spegne e cancella i colori, comprime e quintessenzia le argomentazioni, ci mostra qui solo un edificante « luogo di contraddizione più alto e v•isibile». Ma si tratta di metafore spente, un po' a1pinistiche, che fanno pensare al progresso del comunismo come ad una scalata ver5o la visibilità. In questo luogo poco preciso, comunque, gli esseri umani potranno svilupparsi, o meglio si sviluppano già, più pienamente. Fortini usa il futuro accanto al presente. Dice: « è e sa.rà ». Non vuole apparire come uno che si perde in promesse con il verbo al futuro. Ma l'intensificazione è puramente retorica, per creare intorno all'inafferrabile un effetto di realtà. Come si dice più avanti, si diventa« migliori» assumendo« la via della lotta per i1 l comunismo», via « che comporta duTezza e odio per tutto que1lo che, dentro e fuori degli individui, si oppone alla gestione sovraindividuale delle esistenze; e flessibilità e amore per tutto quel che la promuove e fa fiorire ». L'etica proposta da Fortini è un'etica fondata nella poliicica, anche se la sua idea di politica è tanto vasta e si dilata a tal punto da· inglobare universalisticamente, per contagio dialettico, per sublimazione moralistica, qualsiasi attività ed esperienza umana. L'umanesimo marxista di Fortini, che dovrebbe integrare e mitigare la rigidezza monistica dell'ortodossia marxista con apporti esistenzia1is-nici e teologico-moralistici, finisce per accentuare guelfa rigidezza. (E quindi rafforza i legami &. parentela e di complementarità fra capitalismo e comunismo: « gestione sovraindividua:le delle esistenze » potrebbe essere una definizione della società capitalistica prima che del comunismo). Se il marxismo si presenta come la migliore definizione dell'essenza della Storia, l'intellettuale e lo scrittore devono appropriarsi della macchina dottrinale del marxismo per non essere esclusi culturalBiblioteca Gino Bianco 9
mente dalla Storia, che è tutto. È cosl, si può ·immaginare, che Fortini da giovane ha introiettato il marxismo: una volta per sempre, con i più seri propositi di coerenza. Si può parlare, in parte, di « identificazione con l'aggressore » e di neutralizzazione di una minaccia. Marx ha sempre fatto un'impressione un po' di terrore sui letterati, perché non è chiaro in che modo un\tttività letteraria possa convivere con una teoria della società· come quella marxista. È come se la letteratura, la filosofia, le arti fossero state possibili e legittime solo prima che Marx arrivasse, e saranno possibiili e legittime solo dopo che la sua teoria sia realizzata, nella società senza classi. In quanto teoria del corso deHa storia, in quanto teoria della r-ivoluzione e dell'organizzazione politica « ,ferrea » necessaria a rea:lizzarla, il marxismo si è quindi presentato agli intellettuali e agli scr-ittor-i come una minacc,ia distruttiva e nello stesso tempo come un_nuovo Super-io. Infine, come un'arma di cui appropriarsi per rendere potente l',im,potente cultura. Il marxismo è stato infatti la più razionalmente organizzata forma di critica della cultura intesa come ideologia, cioè copertura e giustificazione del .potere. Critica che non si affida, tra ,l'altro, alle sole a,rmi della critica, ma persegue la forza materiale e la « critica delle armi ». E quindi lo scrittore che vuole essere modernamente critico del presente, consapevole del proprio posto nella società e nella storia, non può che ammalarsi di marxismo e poi curarsi con esso. Come per molti intellettuali e scrittori del Novecento, per Fortini il marxismo è stato prima un trauma, un incubo persecutorio (H marxismo ha sempre incoraggiato ad essere marxisti duri, più duri di chiunque altro), e poi una dottrina a cui fare riferimento continuo per « salvare » H proprio pensiero razionale e i propri fantasmi mentali, le propr,ie poesie e i propri saggi crirtici. In un'epoca di critica, il marxismo si è presentato come la super-ar-ma critica, H più critico di tutti i sistemi o metodi di analisi evitica. Non a caso, spesso la prosa .di Fortini fa esattamente questa impressione: quella di essere cioè una forma di discorso critico «· al quadrato». Se si parte da nozioni non marxiste di critica, su di esse arriva poi un ulteriore allargamento o approfondimento, questa volta marxistar del ragionamento. Se si parte da qualche luogo co10 Biblioteca Gino Bianco
mune del marxismo, poi arrivano le correzioni e ::integrazioni mterpretative, che dilatano e fanno lievitare la piattezza, solo apparente, degli enunciati marxisti . . · Detto questo, non si deve pensare che Fortini sia una sorta di specialista della teoria marxista. Ne è piuttosto un osses-sivo devoto, un sospettoso custode. Se un compito si è dato, come critico e come · scrittore, questo compito è stato di glossare alcuni elementari enunciati marxisti, assunti come punt>i fermi di una dottrina cultural- . mente, politicamente non superabile. E di mostrare che -le più diverse forme di sapere umano, dall'analisi morale alla narrazione romanzesca, dall'antropologia all'espressione poètica, dalla religiosità ebraica o protestante allo studio dei testi letterari, possono organizzarsi e attorcigliarsi, come una rigogliosa vegetazione di rampicanti, into.rno al traliccio di ferro del marxismo. Come ogni eretico, Fortini è, in rapporto a1la tradizione marxista, un super-ortodosso. La sua aspirazione è sempre stata di mostrarsi, di fronte ai sacerdoti e ai tribunali dell'ordossia marxista, più fedele ancora di loro, più inventivamente e culturalmente dotato per assolvere il compito, molto delicato e impegnativo, di tenere in vita la lettera e lo spirito della dottrina. Nessuno più dell'eretico è legato ai principi. Nessuno è meno disposto a ridiscuterli. Fortini è uno degli ultimi esempi, credo, di una serie di intellettuali europei che hanno· sacrificato tutto il foro fantasioso e geniale acume critico al culto di una sostanziale ortodossia. A volte hanno sognato un Marx piuttosto diverso da quello reale. Hanno però fatto di Marx, non diversamente da quanto facevano i Partiti comun::isti de1la Terza interna2Jionale, un autore « trascendentale», l'autore che sintetizza l'epoca. E perciò integrabile, commentabile, da attualizzare. Ma non da ridiscutere nei suoi fondamenti. A questa serie di intellettuali fulminati dal marxismo, tutti troppo assorbiti dal filosofare per contrapporre a una dottrina affa. scinante e poderosa qualche prova empirica in èontrario; appartengono anzitutto alcuni dei ma~tri di Fortin::i: voglio dire Gyorgy' Lukacs, Èrnst Bloch, Walter Benjamin, J ean-Paul ·Sartre. È vero che, il loro marxismo, considerato sul piano dell'adesione ai testi di ·Marx,· è spesso fantasioso, impreciso, idealisticamente parziale. Ma quello Biblioteca Gino Bianco u
che ha finito per essere decisivo, per loro come per Fortini,· è stata la fatalità intellettuale e storica del pensiero di Marx. Lukacs ha cercato di applicarlo alla teoria del romanzo, Bloch lo ha caricato di utopismo visionario, Benjamin lo ha tradotto in aforismi esteticoteologici, Sartre ne ha fatto il piedistallo materialistico della sua filosofia della coscienza libera. Il marxismo, in sostanza, per tutt,i loro non era neppure un pensiero, era una realtà incarnata. E in effetti non avevano torto, perché attraverso i Partiti comunisti e almeno due grandi rivoluzioni, quella ·russa e quella cinese, il marxismo appariva tout court l'espressione della classe opera-i.ae di ogni proletariato autocosciente e rivoluzionario. Glossando il marxismo, non ci si .timitava ad essere i commentatori diligenti di una dottrina, ma i commentatori della realtà contemporanea interpretata in quella luce. Questa contiguità di giornalismo impegnato e di glossa ai classici è presente anche in Forcini. I suoi interventi su fatti o argomenti dell'attualità gli si trasformano facilmente nella riproposta di qualche principio polidcomorale: come se il teologo-giornalista disegnasse cartigli sapienziaH sotto foto d'agenzia. Direi che l'estremismo manieristico di Fortini è dovuto soprattutto alla sua diligente fedeltà. In un certo senso è tanto più tenace quanto più è indiretto e mediato. La ricerca, la verifica di una « giusta posizione politica marxista » viene sublimata e sollevata G9n·ripetuti rituali retorici nel cielo dell'indiscutibile. La Storja secondo Marx diventa, nel suo immaginario culturale, un fantasma che ingoia tutto. Ogni volta, le lente, affilatissime ruote dentate del ragionamento di Fortini si mettono in moto per ridurre tutto a materia della rivolu~ione che verrà. · Di questo crudo trattamento riservato ad ogni idea, immagine, esperienza che ,si presenti aHa sua attenzione, Fortini non si sente indiv,idualmente responsabile. La sua persona e i suoi gusti (sembra dire ogni volta) non contano. Un crudele pensiero critico è infatti. solo il doveroso riflesso soggettivo di un'epoca crudele. A una dura realtà deve e non può che corrispondere un duro pensiero. Il capitalismo è arido: per rispecchiarlo e per combatterlo bisogna essere più aridi a·ncora. Il meccanismo marxista si è instaUato dentro 1a testa dello 12 Biblioteca Gino Bianco
scrittore e del critico per garantire l'ingranarsi di uno stile letterario su una realtà storica. Torno ancora alla definfaione di Comunismo. Quando dico che lo stile di Fortini è una notevole e tipica forma di stile estremistico, non dico questo perché Fort-ini parla di comunismo. Lo dico per il modo in cui ne parla, e perché ne parla proprio nel momento in cui l'oggetto del suo discorso (cioè il « combattimento per il comunismo ») è meno presente e visibile. Forse ne parla proprio per pa1:'1are dell'invisibilità e della non-presenza. Ne parla per lanciare tentazioni e trappole a chi invece semplicemente credesse che è reale ciò che ognuno può vedere. Farei ancora un passo avanti. Come si è visto, il discorso definitorio di Fortini si rivela un lucido e ben congegnato involucro dove le negazioni, le abrasioni di ogni significato positivo, prevalgono sulle afferma:doni stabilmente afferrabili. Di che cosa Fortini ci sta parlando? Ci parla davvero di comunismo? Il contenuto didascalicamente, dichiaratamente offerto è davvero il contenuto reale? La definizione che ci offre Fortini è in realtà un gesto pseudo-discorsivo, il calco vuoto di un discorso impossibile, l'inarcatura retor.ica che aspetta l'avvento di un evento reale. Questo evento reale ha qualcosa di solenne e di terribile, di ecclesiale e di massonico: consiste nella « gestione sovraindlviduale delle esistenze ». Guai a chi vi si opporrà, felice colui che saprà favorirla con la più umile e amorevole cedevolezza. I flessibili e fioriti rampicanti sii attorcono su un'asse di ferro. L'accostamento di contundente, tagliente durezza metallica (qui, poco sopra, « durezza e odio») e di delicatezze idH:liche, di pasquali fioriture, è un accostamento molto amato da Fortini ed è fonte di innumerevoli « metafore ossessive ». A questo punto, di nuovo, dopo le parole « flessibilità », « amore », « fiorire », ha inizio un altro, più severo capoverso: Il comunismo in cammino (un altro non ne esiste) è dunque un percorso che passa anche attraverso errori e violenze tanto più avvertite come intollerabili quanto più chiara sia la consapevolezza di che cosa siano gli ailtri, di che cosa noi si sia e di quanta parte di noi costituisca anche gli altri. Comporterà che gli uomini s,ia!nousati Biblioteca Gino Bianco 13
come mezzi per un fine che nulla garantisce; invece che, come oggi avviene, per un fine che non è mai la loro vi-ta. Ma chi sia dalla lotta costretto ad usarrli come mezzi mai potrà concedersi buooa coscienza o scarico di responsabilità sulla necessità e la storia. (p. 42) Ci viene annunciato, con un singolare spostamento al futuro ipotet>icodi fatti già avvenuti nel passato accertabile, che .il « comunismo in cammino » passerà attraverso « errori e violenze ». ·· , . Certo Fortini non può es-sere accusato di avere ignorato o taciuto « errori e violenze » passate dei partiti e dei regimi comunisti. Da11acr,i,tica al togliattismo e allo stalinismo fino alla difesa di So1genitsin,per anni la sua è stata una voce di denuncia e di protesta. È comunque singolare che ;i,ldinamismo utopico del « Prindpio Speranza», per dirla con Ernst Bloch, trasformi di nuovo dei fatti storici (persecuzioni e stragi stalini,ste) in larve allegoriche distribuite lungo iJ cammino futuro di un comunismo ,senza contenuto, ma che si ,riveste di uria forma ben rigida. Ancora una volta, benché in via di austera ipotesi, si parla di necessità durissima e perfino di pos,sibili, prevedibili crimini: di crimini, anzi, storicamente necessari, che dovranno essere compiuti e dei quali si dovrà ,soffrire, però, tutto il 11imorso.Un .fine 1 buono, che niente può garantire che sia davvero buono, giust>ificamezzi cat~ tivi, del cui uso non sarà permesso assolvere se stessi. Azzardo ,la meno benevola, ma anche la più inevitabile delle definizioni: questo delineato qui da Fortini sembra un machiavelHsmo marxista con i:ntegra~ionedi coscienza pienamente sensibile (o meglio: cattiva ma inflessibile). La necessità politica viene daita come assoluta. Alla morale non resta che aggiungere il dolore del rimorso. Una delle cose che più impressionano in questo come in altri pass,i di Fortini non è tanto ciò che viene detto, quanto ,lo strenuo coscienziaHismobellico che Fortini propone: come llll10 stratega che non solo contempli il campo di battaglia della lotta di classe, ma programmi e prescriva in anticipo anche i sentiment>ie i movimenti di coscienza da cui ogni atto dovrà essere accompagnato per risultare correttamente in accordo con il piano universale di una antropologia dialettico-progressiva. 14 Biblioteca Gino Bianco
Fortini aborrisce l'ottimismo progressista in tutte le sue varianti, è vero. È lui lo -scrittore italiano a cui dobbiamo i più preziosi chiar_imenticirca gli inganni del progresso e l'inevitabiHtà, un tempo creduta serenamente oggettiva, del socialismo. L'umanità non può uscire « dai propri limiti biologici e temporali». Nessun umanesimo faustiano e superomistico, nessuna cancellazione del peccato originale, nessuna restaurazione ddlo stato edenico e adamitico verrà realizzata nel comunismo. Le promesse del comunismo di cui pa1'1aFortini sono magre e avare. Ancora contraddi~ioni, lotta e lavoro, sudore e lacrime: ma di altro genere, di qualità superiore. Prendo Fortini cosl alfa lettera perché non credo che vada ritenuto inconsapevole e irresponsabile di quello che dice. For~ini parla del tutto seriamente, prevede e auspica un orizzonte di destinatari altrettanto seri, e sa bene, per averlo sottolineato varie volte, che la stilizzazione, la qualità letteraria di un testo non neutralizza, non volatilizza la responsabilità etica e politica del suo mes,saggio. Ferma restando la consapevole res-ponsabiliitàdi ogni parola detta, credo che infine questa definizione del comunismo possa essere considerata come un arduo poemetto in prosa ideologica, neHo stile della variazione retorica su un tema politico centrale della nostra epoca. Ecco il capoverso conclusivo: Il comunismo è il processo materiale che vuole rendere sensibile e intellettuaile la materialità delle cose dette spirituali. Fino al punto di saper leggere e interpretare nel libro del nostro medesimo corpo tutto quel che gli uomini fecero e furono sotto la sovranità del tempo, le tracce del passaggio della specie umana sopra una terra che non lascerà traccia. (p. 43) Si tratta dunque di un « processo materiale » che « vuole » qualcosa, dotato di una volontà. La materia non è i1 contrario dello spirito. Vuole anzi restituire a1lasensibilità e all'intelletto quelle cose che ora ,si presentano chiuse nell'apparenza della materia. Come si capisce subito, viene annunciato in questi termini il mas,simo programma immaginabile di superiore trasmutazione della nostra antropologia culturale presente. Ciò che, secondo la terminologia hegeHana, è il rapporito soggetto e oggetto, spirituale e mater.iale, 1.5' Biblioteca Gino Bianco
volontà libera e coscienza della necessità, sarà integrato in una nuova unità sensibile e inteHegibile. Ma nell'u'ltimo periodo del capoverso l'antropologia sociale sembra dirventare un'antropologia mistica e iniziatica: tutta la storia e preistoria del genere umano, sedimentata oscuramente nelle «cose» dello spirito e nella nostra fisiologia corporea, emergerà per diventare leggibile e interpretabile come un libro. Trasparenza simbolica degli oggetti, resurrezione culturale dei corpi in una supercoscienza veramente finale: 1a quale ben dovrà sapere, peraltro, che l'uomo non è il centro de1l'universo e che può solo lascia.re tracce su una terra « che non lascerà traccia ». Il ragionamento sul comunismo, dopo aver ripetuto con un supplemento di enfasi morale alcuni luoghi comuni della t-radi2iione rivoluzionaria sulle dure necessità della lotta e alcuni nobili postulati sulla fonzione conoscitiva del rimorso, vola ai confini bui del,l'universo. Come un pugno di polvere, la terra sparisce nel nulla, incurante di ogni epica de'll'autocoscienza collettiva. Fra il tutto dell'integrazione dialettica e il nulla delfa terra che sparisce, Fortini riesce a bruci.are nello spazio di un ,paio di pagine tutto il suo enciclopedico eclet-t:1smoideologico. Il pathos della condensazione, dell'interrelazione, del travaso di una nozione nell'a:ltra, del questo in altro, del qui in altrove, del cosl in un altrimenti, attraversa -il libro di cui sto parlando come gli altri di Fortini. Non solo oggi sembrerebbe un Hbro occasionale, il montaggio di testi e framment,i in un piccolo dizionario maneggevole del pens-ierodell'autore. Si parte dalla voce « Aliena2lione e coscienza di classe» per arrivare alla voce «Verità». Oltre .a « Comunismo », troviamo « Antropologia marxista», « CapitaHsmo e anticapitalismo», «Progresso», «Rivoluzione», « Socialismo e stalinismo», « Utopia ed estremismo». Ma ci ,sono anche voci come « Amore », « Felicità », « Morte », « Pazienza », « Suicidio », « Vecchiaia ». Le voci su personaggi sono quattro: «Brecht», « Dostoevskij», «Mao», « Serantini ». Ma invece che un libro occasionale e secondario, Non solo oggi f,inisce per civelarsi un libro-sintesi, un libro-chiave per capire Fortini. È vero che è quasi assente quanto c'è di meglio e di più durevole 16 Biblioteca Gino Bianco
nell'opera di Fortini, cioè la critica letteraria, ma g1i scritti occasionali, inevitahi1 lmente ripetitivi, si ordinano qui in un ciclo, in una mandala di definizioni. Alle prose, prevafonti, si aggiungono alcuni testi in versi: « Destini generali », « Iddio », «Realtà», « Serantini » (il g,iovane anarchico ucoiso nel '72 dalla polizia a Pisa). Politica, critica della cultura, riflessiioni generali suHa letteratura e suilJ'arte. La voce « Religione » è accanto alla voce « Rivoluzione ». La rivoluzione dovrà saziare una sete di religione che il marxismo di partito ha negato illumini1 sticamente, condannandola alla dimensione equivoca dell'i-r,razionafee alla funzione di oppio dei popoli. Contro il progressismo anarchico e avanguardistico, :iHumin'isticoe liberale, Fortini ripropone mediazione e utopia, comunismo e rivolu~ione. Nella voce dedicata a quest'ultimo termine (un articolo tratto da:l volume Insistenze, uscito da Garzanti nel 1985, e qui incastonato nel lessico) Fortini cosl riassume la propria storia e H senso della propiiia « posizione», caricando di presupposti, di distinguo e di ambiguità ogni affermazione: Credo di aver passato lo scorso trentennio, lo confesso senza pentimento, a imparare e insegnare partendo dal pensiero di Hegel, Marx, Lenin, Trockij, Gramsci, Mao, Lukacs, Sartre, Adorno. Da costoro ho appreso che non si oltrepassano i criteri giuridici della società illuministico-borghese - con le sue guerre, ben peggiori dei gulag - senza una modificazione radicale dei rapporti di produzione e di proprietà. Tale modificazione i:nduceva quelle iintrodotte nel processo penale, della Russia anni Venti, poi degenerate nella inquisizione ideologica stalini,sta: vi assumevano ruolo primario l'indagine sociale sull',imputato, fa « legalità socialista », la confessione, l'autocritica. Non credo certo che per uscire dalla legalità borghese si debba riperco11rerenecessariamente quel cammino. Ma quella direzione, sL (p. 247) Gli errori e g1iorrori di quel cammino già compiuto non vengono mes,si in relazione con eventuali limiti o distorsioni o ·hllusioni filosofiche, di teoria socia,le e magari etiche della tradizione marxista e para-marnista, ortodossa ed eretica (gli autori sono comunque un po' troppo allineati l'uno all'altro, come se non fossero visibili e interessanti i punti di disaccordo, le differenze, più che l'intarsio neo-ortodosso e militante, tipico degli anni Sessanta). La proposta è di ri17 Biblioteca Gino Bianco
cominciare con gli stessi testi alla mano, stando attenti, questa volta, nei pross·imi cento annj, a non sbagliare. L'inciso, poi, che confronta 1e guerre « illuministico~borghesi » ai gulag 'Staliniani, ammonendo che le prime sono « ben peggiori » dei secondi, è un'esibizione di superbia di parte davvero non necessar~a, da guel.'lrafredda, da assemblea di partito, per alleviare l'eventuale senso di colpa dei militantii. Con quelila breve frase Fortini confronta J'inconfrontabile e svaluta tutta quella cultura di sinistra, non marxista o ex comunista, che ha denunciato il modo in cui si è realizzato il rapporto fra teoria e prassii.,fra idee dichiarate e azioni compiute nella storia effettiva del,le rivoluzioni. Dimostrando di non capi1 re che il limite maggiore (e fatale) del:la Nuova Sinistra, dal 1956 al 1980, è stato i1 limite culturale che ha impedito di riconoscere gli autori più utili per rileggere la storia del secolo: non tanto ,gli eretici marxisti (da Korsch a Sart,re) quanto i critici del marxismo, deli'hegelismo e del leninismo (doè Serge, Souvar-ine, Silone, Simone Weil, Orwell, Koestler e altri). Ma naturailmente, ancora una volta, e mimando una tipica mos1sadialettica (o sofistica) di Fortini, possiamo di-re che, in realtà, quando Fortini parla di Comunismo e di Rivoluzione non pal"laesattamente di questo, ma di altro. H demone distru,ttivo del suo sti.Je è l'arte dei nessi, dei troppi nes,si, delle mobi1i connessioni e dei continui rovesciamenti dialettici, per cui l'altro è già contenuto nell'identico e l'identità è def.inibHe solo in -rapporto all'alterità. Nell'esercizio di quest'arte spericolata e ·rischiosa, spesso Fortiini si è perso, facendoci spostare da una promessa non mantenuta a una ipotesi inverificabile. Le voci enciclopediche che compaiono in questo :libro, nel quale tutti i suoi libri si ,incontrano e si annodano, sono ancora una volta promesse di definizioni, o fantasmi progettualii del non ancora veramente pensato e del non realmente, sinceramente vissuto. Proprio lui, che è uno degli scrittori più ans•iosicirca I'orfazonte dei propri destinatal'li, che si preoccupa (forse sempre un po' troppo) del dire « a chi, che cosa, fo quaile sede », ha 1avorato a ,rendere più Jpotetici che .rea:lii propri lettori, strappandoli ad un ordine logico e naturale di pensi-eri, tormentandoli e frustrandoli con scrupoloso senso del UJ Biblioteca Gino Bianco
dovere e con innumerevoli tecnliche di differimento della soddisfazione mentaJe. Perché, secondo Fortini, Ia ,soddisfazione, fagio mentale e la compiutezza m,relilettualee stilistica devono essere un peccato contro il passato che aspetta di es·sere redento, e contro il fu. turo da cui la reden~ione dovrà arrivare. La realtà del presente, l'oggi, sono seduzioni da .cui guardar,si. TTa memoria e ,speranza, tutta J'opera di Fortini ha voluto proporsi come ,un 1uogo di itrainsito, inabitabile, dove l'indugio della sosta è appena concesso. (Ma quale luogo abitabile non è transitorio?) La Storia incalza, e la mora1e de1lo scrittore militante è una morale in cui !llon ipuò ·brovare luogo nessuna immagine di una comune esistenza espressa in una comune lingua, ·un po' più sgombra di presupposti dottrinali e di stilizzazioni manieristiche. A,ssediato dal dovere di chiaTire la propria posizione nelfta Stor.ia e nella situa~ione politica, Fortini lotta con imperiosi, Hv.idi fantasmi, diventando a sua volta, in questa lotta, imperioso e livido. Il suo argomentare si muove fra entità grandiosamente presupposte che incorniciano come sentineHe storiche tutto ciò che, secondo Fortini, uno scrittore consapevole può scrivere in un'epoca di dvoluzioni. La cornice dell'opera di Fmtini è appunto l'epoca ,storica definita dalla tradizione marxista nelle sue diverse ramificazioni. Dentro questa cornice, o in nota al grande testo della Storia, l'opera dello scrfrtore, del poeta e del critico, prende posto come una fitta :sevie di glosse. Lo stile di Fortini è uno sni:leche .si regge e lavora su presupposti. Di qui le sue contrazioni e oscurità, il ,suo carattere aUusivo, elHttico. Viene presupposto anzitutto un lettore che condivida con l'autore un'interpretazione hegeliana e marxista della storia umana, della cultura moderna e del presente sociale e politico. Nel suo immaginario culturale sovreccitato, da studente in gara, che ragiona per epoche e per grandi strategie, dentro l'enciclopedismo diligentemente aggiornato del suo sistema di allusioni, Fortini è un pensatore settario. Ogni sua pagina, frase o verso, presuppongono un sistema di alleanze·e di conflitti con tutte le altre pagine, frasi e versi: presuppongono una linea di demavcazione, un fronte di lotta, prima linea e retrovie, truppe e alti comandi, in quella ,guerraper.petua del linguaggio scritto che solo una minoranza militante ;può intendere e praticare. Lotte di classe più o meno mascherate o guerreggiate nel mondo 19 Biblioteca Gino Bianco
ce ne sono sempre: ed è lì che la coscienza impegnata e !',immaginario militare cli Fortini si spostano immediatamente. Nei coriiidoi e etmicoli bui, nelle prigioni, nelle tdncee e nelle sale di tortura della Storia Fortini è in spir-ito sempre prese.tite. Da questa presenza 1n spiirito arrivano di continuo sulle sue pagine visioni, intuizioni, ire, allegorie teoriche e cronachistiche della grande guerra continua che è Ja Storia. Ciò che non vediamo bene è il Juogo da cui lo scrittore parla, e sul quale ci dà notizie troppo scarne e scarse, quasi che soffermarsi a descrivere quello che gli è fisicamente prossimo fosse una futilità, un'indulgenza verso se stessi e verso quell'immediatezza sensibHe che è sempre apparenza e mai verità. A forza di non indulgere, di non indugiare sul mondo circostante così come si presenta giorno dopo giorno, questo scr,ittore che sarebbe stato in grado di darci una diversa immagine dell'Italia e della sua stor,ia recente, non ci ha dato che i piani di costruzione di una antropologia marxista sempre da portare a compimento e da diffondere, chissà quando e chissà da chi. In Fortini coesistono una vocazione oratoria, una vocazione poetica, una vocazione moralistica, una vocazione enciclopedica: ma tutte hanno contribuito, sotto la pressione di un'incombenza politica onnipresente, spesso immaginaria, a rendere puntigliosamente astratta, programmaticamente delusiva la sua scrittura. Coskché la sua opera somiglia davvero a queH'uva che è restata acerba sulla vite senza essere raccolta e che il vento gelido del futuro continua a tormenta-re. Benché criticato e tenuto prudentemente a distanza dai militanti e da,i politioi attivi, Fortini è anche stato, fra mi1le resistenze e fraintendimenti, forse la più tenace e autorevole coscienza intellettuale della Nuova Sinistra ita'1iana per circa vent'anni. Per quella sinis:tra nuova, che avrebbe dovuto essere rivoluzionaria, rileggendo i,l vero Marx e il vero Lenin e riaccogliendo in sé i marxisti eretici, Fortini ha avuto una funzione di mèntore, di direttore di coscienza e di stratega culturale. Attraverso i suoi saggi, due o tre generazioni di intellettuali di siniist-rahanno letto e interpretato i rapporti fra letteratura e marxismo, fra cultura e politica, fra intellettuali d'avanguardia e avanguardie di Partito nell'Europa della prima metà 20 Biblioteca Gino Bianco
del secolo. In quanto mediatore, Fortini si è presentato anche come ,il custode dell'interpretazione politicamente e moralmente corretta di autori non facili da collocare ,in prospettiva po1itica: Kierkegaard, Kafka, Simone Weil, e perfino Goethe, o Prou:st, o Solgenitsin. Ma lo stile intellettuale di sinistra, che in Italia è stato prevalentemente marxista, anche se sovraccal1ico di astra2'li.oni,ha sublto un colpo assai duro a partire dagli anni del terrorismo. Con la seconda metà degli anni Settanta, hanno cominciato ad allentarsi gli stretti nodi nei quali Fortini con insistenza e sottig1iezza teneva insieme il suo vasto repertorio di autori e di temi in vista di un prossimo uso ,politico. Da allora l'intero edificio della cultura cosiddetta di sinistra si è gradualrrrente decomposto. Con uno di quei bruschi ribaltamenti di cui sono maestri gli intellettuali francesi e che trovano in Ita'1ia un terreno accogliente, si è passati allora da una specie di feticismo dell'idea di Politica e dell'idea di Storia, ad una negazione neo-ontologica e neo-mitologica (non meno estremistica) di quell'idea. Scegliere un .autore fra tanti per illustrare una tendenza culturale assai diffusa, è sempre r,ischioso e discutibile. Ma forse se dico che Roberto Calasso, saggista e direttore deNa casa editrice Adelphi, è una presenza centrale nella più recente fase della cultura italiana, dico qualcosa di non molto lontano dall'ovvietà. Come nel caso di Forcini, si tratta di un saggista-st,ratega, di tempra assai forte, di polso fermo, che !indirizza, ofi.enta, costruisce pazientemente il suo puzzle, H gioco a •incastro di una cultura che ,in questo caso, per dirla nel modo più sempHce, è una cultura aristocratica, ricca di aromi, nichilistica: con il culto non dell'Utopia, ma dell'Esse,re, dell'Origine e del Mito. Questa cultura ha risposto a un improvviso b1sogno di squisitezza signorile, élitaria, che ha cdlpito come una incresciosa epidemia snobistica la classe media cuilturale e la stessa popolauone intellettuale di sinistra. Così, anche i termini di « destra » e « sinistra » applicati alla cultura sono entrati in disuso. E molti problemi a lungo e inutHmente discussi, ,sono sembrati all'improvviso noiosi. Ho sce1to per brevità di descrivere soltanto aloune caratteristiche della saggi5ticadi Fortini e di Cal'asso.Ma ancora più sbrigativa21 Biblioteca Gino Bianco
mente aggiungo qualcosa sul'le « costellazioFl:»i. di classici moderni e di autori italiani contemporanei scelti dall'uno e dall'altro per fondare, rafforzare e cementare le proprie costruzioni. Come ho già detto, se l'autore che per Fortini definisce la modernità è Marx, per Calasso è Nietz,sche. A:l posto del Lukacs di Fortini troviamo •il Kraus di Calasso. E si potrebbe continuare, giocando, in un parallelismo antagonistico, con i nomi e le idee. Heidegger e Cad Schmi>ttiper Cafosso contro Emst Bloch e Gramsci ,per Fortini. Da un lato il classicista cattolico Giacomo Noventa, maestro di Fortini. Dall'altro lo sciamano freudiano e taoi1StaRoberto Ba~len, maestro di Calasso. L'intossicazione di Storia in Fortini. H dopo-Storia e il ritorno al mito in Calasso. Nei dinitorni di Fortini troviamo un marx-Ì'stasoliido e satirico come Cesare Cases ,(che corregge Lukacs con Karl Kraus), ma anche, sempre di più, un ex oper:aista, ora teologizzante, come Mario Tronti. Nei dintorni di Cailasso troviamo fa solennità vaporosa di un critico 1ettera:rio come Pietro Citati (per il quale tut-ti i poeti sono :uguali in quanto emanazioni della Poesia), ma anche l'ec'lettismo mistico di Elémire Zolla, che mira alla guarigione definitiva del male di vivere e d invita con mille dtazioni poliglotte a uscire dal mondo. III. Soave e riilassato, sciolto dai vincoli dehl':io, Zolla è un estremista anti-mondano che ha raggiunto la meta e che quindi non si sforza più. Non è un arco teso. La freccia è già stata scoccata, il beJ:1saglio è già stato •rag.giunto e .l'arciere è scomparso. La mehite che ana1izza e Hssa il suo oggetto ora lascia la ,presa, perde il suo ancoraggio e fluttua al di là di se stessa. Non più schiavo di nessuna gravità, « li:berato in vita» nell'anima e nel corpo m virtù dello spirito, Zolla ci parla suadente. La sua prosa non si cura di se stes,sa. Suona come un semplice e fluido canto di Jode: 22 Uscire dallo spazio che su di noi hanno incurvato secoli e secoli è l'atto più bello che si possa compiere. Quasi nemmeno ci Biblioteca Gino Bianco
rendiamo conto delle nostre tacite obbedienze e automatiche sottomissioni, ma ce le possono scoprire, dandoci un orrore salutare, i momenti di spassionata osservazione, quando scatta il dono di chiaroveggenza e libertà e per l'istante si è padroni, il destino sta svelato allo sguardo. Per mantenersi in questo stato occorre non avere Jnteressi da difendere, paure da sedare, bisogni da soddisfare; si raccolgono i dati, s,id1spongono nell'ordine opportuno e, al di ,là dei recinti dove si &ta rinchiusi, si spalanca ,!'immensa distesa del possibhle. Sono le parole con le quali si apre l'ultimo libro di '.Zolla, Uscite dal mondo (Adelphi 1992), un libro d,i seicento ,pagine, in cui l'autore ci propone una vasta sintesi deHe sue esplorazioni instancabili di viaggiatore e di lettore nel mondo dell'oitre~mondo. Zolla si è sempre dedicato alla ricerca dei punti in cui Ja superficie de1le apparenze si incrina, la comune percezione del tempo e detlo ·spazio, delle cause e degli effetti sembra miracolosamente sospesa, e Ja brezza delJa Meta.fisicapenetra nella prigione del mondo ,profano. Allora 1a maledizione deWillumini<smoperde il suo potere e la mente può essere finalmente e davvero Hluminata. Il libro prende nota di ogni genere di « fenditure e varchi » che oi permettano il trasferimento dai reale al possibile: perché i,l reale è schiavitù, secondo Zolla, mentre il possibile è delizia e libertà, coscienza e beatitudine. H mondo moderno, nato dal'la rivolu:l!ione industriale e dalla ra2iionalità illuministica, è un mondo dentro oui i,l genere umano ha perso Io scopo della v•ita, che è iil « trapasso » nella condizione suprema, la sola veramente desiderabile perché defil.n:itiva,indifferente alla vita e al'la morte, insensibile ad ogni dolore: Ja condizione di un essere umano in contatto stabile con l'Essere e ,perciò dominato da uno « spirito impas·sibi,le ». Allora, per chi è morto ad ogni desiderio e ad ogni bisogno, per chi ha raggiunto Jo ,stato estatico e riflette in sé .il « cosmo intero », « non sussiste più nessun condizionamento ». È la meta proposta e raggiunta dai mistici, tante ,vofte da loro descritta più o meno negli stessi termini ora usati da Zo1la. Il « liberato in vita » ha trasceso tutti ii limiti della vita comune, non ha più niente dell'« uomo normale» e deHa condizione umana: Non ha nessun desiderio, come chi dorme. Pensa che nulla esista. Agisce, ma nulla lo tocca nell'interiorità. Rinuncia interior23 Biblioteca Gino Bianco
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