Diario - anno VII - n. 9 - febbraio 1991

diventa troppo remota perché è lo scrittore stesso che la vuole cosl remota. Cosl Calvino negli ultimi dieci, quindici anni della sua attività diventa uno studioso della materia naturale e culturale, e delle sue incessanti metamorfosi. Pensa a Lucrezio e a Ovidio: il mondo è fatto di atomi e di miti. Anche la morte individuale non è infine che un'illusione, o meglio il t-rapasso da uno stato a un altro della materia. Il che è insieme molto vero e molto consolante. L'ultimo brano di Palomar, che fa all'inizio cosl impressione per il suo suono di inesorabile tristezza ( « Come imparare a essere morto »), si rivela poi ironico. Ma si tratta di un'ironia che Calvino non può controllare del tutto. Sebbene lo scrittore ammicchi, è questo infaui il suo vero costante progetto. La sua ·pedagogia e auto-pedagogia, il suo metodo portano esattamente 11: all'assurdo di una beffa. Come sappiamo, Calvino è astuto, finge di scherzare anche quando fa sul serio. La sua pedagogia arriva fino al punto in cui vorrebbe catturare ciò che è impossibile o inutile catturare: l'essere morti. Si tratta di un vecchio programma ascetico. E una favolistica ascetica, eremitale come quella intrapresa ad un certo punto da Calvino, non poteva che portarlo ll. Afferrare la vita è impossibile, come impossibile è afferrare ,la morte. Ma soprattutto per questo: che un'ascesi letteraria si rivela fatalmente una falsa ascesi. (La vera letteratura ascetica è noiosa, mentre Calvino vuole essere divertente). Non per finzione, infatti, la letteratura è una finzione, ma realmente. Ed è tanto più realmente finzione proprio quella letteratura che pensa e programma se stessa come tale. L'ultimo brano di Palomar è una rivelazione, una denuncia del carattere coerentemente pedagogico e consolatorio, fino all'assurdo, che alla propria letteratura Calvino aveva sempre attribuito. E' un capitolo che colpisce. Lo lessi per la prima volta, non quando il -libro uscl, nel 1983, ma dopo due anni, quando Calvino era morto da poco, inaspettatamente. Lo lessi perciò, e tuttora non riesco a fare altrimenti, come il suo testamento. In fondo Palomar è un libro di sofferenza, disagio, delusione e tristezza. Calvino domina tutto con il nitore delle sue trascrizioni, rende asettico, infinitamente remoto e lunare il suo stesso dolore. Lo racconta come da un altro mondo. Si studia con il telescopio. Ma le affermazioni sono Il. Dietro 55 Biblioteca Gino Bianco

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