rdinelli, Italian Style nel P. G. Bellocchio, Biancb e erzen, Da un esilio all'al
Diario Rivista di Piergiorgio Bellocchio e Alfonso Berardinelli Anno V, n. 7, aprile 1989 Sommario Alfonso Berardinelli, Italian Style nel futuro di tutti (Un discorso patriottico) 3 Piergiorgio Bellocchio, Bianco e nero 25 Aleksàndr I. Herzen, Da un esiHo all'altro 49 Redazione: c/o Piergiorgio Bellocchio, via Poggiali 41, 29100 Piacenza. Tel. 0523/23849. Alfonso Berardinelli, via Dall'Ongaro 83, 00152 Roma. Amministrazione: Editrice Vicolo del Pavone Soc. Coop. a r. 1., via Romagnosi 80, 29100 Piacenza. Tel. 0523/22777. Questo numero: lire 5.000. Abbonamento a 4 numeri: ordinario lire 20.000; sostenitore lire 30.000; benemerito, da 50.000 a 100.000 lire. Per l'estero, lire 30.000. Versamenti sul c.c.p. n. 10697290 intestato a «Diario», via Poggiali 41. 29100 Piacenza. Chi si abbona precisi sempre da quale numero intende far decorrere l'abbonamento: se dall'ultimo o da quello di prossima uscita. Trimestrale. Autorizzazione del Tribunale di Piacenza n. 352 del 6/6/1985. Direttore responsabile: Piergiorgio Bellocchio. Stampa: Editr. Vicolo del Pavone. Non contiene pubblicità. Spedizione in abbonamento postale, gruppo IV - 70% - 1/1989. Biblioteca Gino Bianco
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ITALIAN STYLE NEL FUTURO DI TUTTI (UN DISCORSO PATRIOTTICO) « Quei prodotti in cui creatività, fantasia, immaginazione costituiscono un'importante componente, cosl come l'estetica, la forma, il design, vengono quindi a godere di una ulteriore importante legittimazione, se si avvalgono del made in Italy... Michelangelo e Raffaello, per servire ancora al made in Italy, hanno un continuo bi-sogno di nuovi epigoni. » (L'EspressoPiù, marzo 1989) Signore e Signori, connazionali, amici stranieri, quello che sto per dirvi lo sapete già. H ,prestigio dell'Italia è aumentato. Abbiamo un ruolo storico e una missione estetica. Il mondo ci guarda stupefatto. Se si tratta di stare a galla comunque, Italians do it better. Chi sta più in alto è avvertito: diventerà come noi. Chi sta più in basso ha una speranza: diventare come noi. Siamo il meglio del peggio e il peggio del meglio. Abbiamo un futuro assicurato. Non è vero che siamo in bilico. Siamo il cardine, invece, fra paesi poveri e paesi ricchi. L'arte di non andare a fondo senza inventare altro che scialuppe di emergenza è un'arte italica. Se non siamo ancora un «modello» per gli altri, certamente non siamo neppure, ormai, un brutto «caso» da risolvere. Il nostro caso abbiamo dimostrato di saperlo, se non risolvere, almeno affrontare con una fantasia dopotutto abbastanza 1'ara. Che cosa non ci è capitato, infatti? Che cosa non è capitato all'Italia? Siamo una nazione giovane, pur essendo un popolo di civiltà millenaria. In noi coesistono sempre la gioventù e la vecchiezza, con tutti i loro attributi. Siamo scettici e privi di illusioni, eppure la nostra spensierata voglia di vivere non viene meno. Non drammatizziamo mai. Tutto passerà. Anche se i nostri giornalisti laici hanno imparato a usare quel rumoroso tono di allamne che voi, amici stra3 Biblioteca Gino Bianco
meri, trovate un poco scomposto e eccessivo, non fatevi ingannare. La vera indignazione che trova scandaloso un misfatto è poco frequente in Italia. Dopotutto qui è ,stato assassinato Giulio Cesare, qui hanno operato Caligola e Nerone, l'impero romano qui è andato in rovina, qui, attraverso ti secoli, i papi hanno mischiato il sacro e il profano e il clero ha iniventato e sperimentato tutti i modi più sottili per trasformare il dissennato estremismo evangelico in un'arte della sopravvivenza e dell'adattamento al mondo cosl com'è. Ghe cosa può ancora spaventarci? Noi alla catastrofe non ci crediamo. Per scaramanzia, quando piove a dirotto noi non nominiamo i temporali. La critica, quando non è un modo per alzare la voce, porta male! Perché accanksi a parlar male del male? Credetemi, l'idea di rivoluzione ha attecchito per poco dalle nostre parti. Anche se senza dubbio capaci di una flemmatica efferatezza, non siamo degli estremisti. L'estremiSl!llorivoluzionario italiano è stato un fuoco di paglia, una reazione disperata contro la certezza, diffusa da Comunisti e Democristiani, che niente sarebbe cambiato nei rapporti reali di potere da qui a cento anni. La cosa più grave era La esistenza di una classe dirigente senza ricambio, che occupava tutti. i posti a vita, e che teneva m vita nelle sue poltroncine di raso dei manichini irreali. Era una classe dirigente sempre con le -spalle al muro, pietrificata dalla prudenza, e del tutto incapace di mimare anche solo per un'ora l'illusorio idealismo dei giovani. Pur di intravedere un futuro in ascesa, questi giovani allora si sono messi a minacciare in massa una vera e propria rivoluzione, con vere e proprti.eparole attinte dalla tradizione rivoluzionaria. Siamo meno bravi, meno efficienti e autorevoli dei francesi, ma anche noi con le parole sappiamo costruire castelli in terra e in aria. Per alcuni anni siamo perfino diventati estremisti « alla franoese » e oo po' « alla tedesca » e cosl il ciceronismo capzioso e impresentabile del nostro linguaggio pubblico ha rimescolato nuovi ingredienti. Me ne ricordo bene. Ero esasperato dal connubio tra il linguaggio di Aldo Moro, il linguaggio di Enrico Berlingu,er, que1lo dello psicanalista padgino J acques Lacan e quello delle Brigate Rosse. Che paese è mai questo?, mi chiedevo. Che cosa sta succedendo nella testa degli italiani? Preocrnpazioni eccessive. Ero io a prendere troppo sul serio una pioggia di parole che nessuno prendeva sul serio. Ma anche 4 Biblioteca Gino Bianco
dicendo questo sto esagerando. « Prendere sul serio » qualcosa è in Italia un'espressione lnsensata. Si sa bene. Non si tratta di doppiezza. Le parole sono ,parole, dopotutto. Mettersi in testa che abbiano davvero qualcosa a che fare con le cose è da semplicisti e da ingenui. Il rapporto tra il suono delle parole e il significato reale delle cose è un rapporto arbitrario. La linguistica moderna lo ha spiegato, e lo ha spiegato anche in Italia, dove non c'era nessun bisogno di ribadire pomposamente Sii.mili ovvietà. Arbitrario, arbitrario e nient'altro è il tap.porto che ,lega o scioglie parole e cose. Ho associato per un momento il linguaggio delle Brigate Rosse a quello di Berlinguer, Lacan e Aldo Moro. Era un'impredslone. Le Brigate Rosse, qualsiasi cosa fossero davvero, erano proprio l'opposto. Volevano decidere qualcosa di reale con le loro parole. Davano una dimostrazione pubblica e pubblicizzabile di che cosa potesse voler dire, anche in Italia, far seguire gli atti alle parole, le parole agli atti, in una sequenza cosl diretta e coerente quale era difficile vedere in questo ve11bosoe incoerente paese. {Ma sono ancora una volta poco preciso: perché i:nrealtà le Brigate Rosse hanno cercato in tutti i modi di fare sembrare reali le loro irreali parole marxiste-leniniste e ·rivoluzionarie attraverso una serie di delitti, dando per scontato che l'uccisione di un uomo pubblico è un atto più reale di qualsiasi altro). Fine dell'estremismo. Tutto questo è passato. Non è di questo che volevo parlare. Il passato recente è diventato in poco tempo un passato veramente remoto. Lo ha detto anche il giornalista Indro Montanelli alla televi,sione: dal giorno in rui è stato assassinato Aldo Modo non sono passati anni, ma secoli. Montanelli è un uomo concreto e brusco, non si lascia andare alle esagerazioni emotiive. In effetti, l'Italia da allora è molto cambiata. La sua breve stagione estremistica è stata superata. La classe dirigente ha cominciato a rinnovarsi. Con l'avvento dl Graxi e dei suoi uomini, la sfera pubblica si è movimentata. Alternanza e alternativa ai vertici del potere e al governo, restano fandonie. Ma l'equilibrio immobile è diventato un equilibrio mobile. In questo c'è molto spettacolo, molta finzione scenica. Una nuova Poli5 Biblioteca Gino Bianco
tica dell'Immagine ha finito per ritoccare l'immagine della politica. Prima la presidenza della Repubblica occupata da un burbero protagonista molto fiero di sé, molto stentoreo come Sandro Pertini ha fatto precipitare nella più irredimibile opacità tutti i presidenti cat-· tolici. Poi il nuovo Partito socialista. L'economia sommersa. n nuovo miracolo italiano. Il tandem Craxi-Andreotti in politica estera. I nuovi eroi del giornalismo e della televisione. I nuovi italiani in barca a vela, con Gianni Agnelli in testa e al timone. Umberto Eco romanziere planetario. I nuovi imprenditori come nuovi capitani di ventura. E infine, soprattutto, forse, i nostri ,incomparabili Stilisti. Loro che più di ogni altro hanno fatto capire che cosa è, che cosa poteva essere, per il futuro di tutti, lo Stile Italiano. Famiglia, famiglie. Qui tutto va male o quasi-male, la qualità di tutto è quasi scadente, eppure qui quasi tutti si trovano bene. Per anni ho chiesto con insistenza ad amici e conoscenti, quando ero di umore più cuipo, ohe cosa ne pensavano della loro vita in questo paese: perché non prendevano in considerazione la possibilità di andarsene, di emigrare. Restavo sempre meravigliato e contrariato dalle reazioni dei miei interlocutori. Dopo che avevamo detto insieme e in pieno accordo quanto vergognosamente si andasse avanti in Italia, quanto peggiorati e insopportabili fossero gli italiani ,(fossimo quindi noi stessi), l'idea di andarsene altrove risultava ai loro occhi la più strana, peregrina, inconcepibile. Andarsene dall'Italia, mai! Tutto va male, ma si sta piuttosto bene, nel complesso ... Ero un idiota a meravigliarmi. Ero uno straniero in patria. Vivevo di astrazioni. Covavo sogni bovaristici di abbandono della famiglia. La famiglia e ciò che è famHiare non si abbandona mai, se non in casi estremi, letteralmente disperati. Qui siamo a casa. Qui è la nostra famiglia, per quanto brutta sia da mostrare agli estranei. Ma del resto è sempre cosi. La famiglia reale è quella che si vede dall'interno, non quella che appare all'esterno. Per molti anni l'Italia è apparsa a quasi tutti voi, amici stranieri, come in quella copertina dello Spiegel: un piatto di spaghetti al pomodoro su cui è adagiato un nero revolver. Era solo la copertina 6 Biblioteca Gino Bianco
di un settimanale tedesco. Era insieme veritiera e falsificante come tante altre copertine e titoli di giornale. Il giornalismo non potrebbe vendere la realtà se non la falsificasse. Lo sanno tutti. Ma io devo dire che quella copertina dello Spiegel non Ja trovavo e non la trovo neppure ora tanto ingiusta. Dice una cosa elementare e precisa. Crimine organizzato e buona tavola sono due pilastri, cari amid tedeschi, della nostra ,realeWeltanschauung. I grandi capi del crimine organizzato sono dei veri italiani, sono dei pingui e melliflui mangiatori di spaghetti. Quando vengono intervistati davanti alle telecamere, :nelle loro residenze carcerarie delle quali non si lamentano troppo, la cosa di cui invece italianamente si lamentano è la malevola, ingiusta incomprensione di cui sono vittime. Mafia è sinonimo di bellezza, di eleganza, di fascino e di stile, ha detto alla televisione Luciano Liggio citando il Pitré. I delitti, allora, chi li compie? Questo è sempre un punto oscuro. Perché la Mafia come la intendono i giudici malevoli e i sociologi non esiste: « non esiste, che io sappia», dice il mafioso. E lo dice sempre, takhé mi è venuto in mente che esiste una sola vera prova del fatto che qualcuno appartiene alla Mafia, ed è proprio la negazione della sua esistenza. La definizione, da dizionario o da codice penale, potrebbe essere questa: Dicesi mafioso colui che nega l'esistenza di un'organizzazione nota a tutti chiamata Mafia. Mi chiedo perché la gente frequenti ancora turisticamente la Sicilia e tutte le zone, le città, le province, le regioni dominate notoriamente dalla Mafia, dalla Camorra e dalla 'Ndrangheta. Che cosa c'entra lo Stato nazionale? Un popolo è sovrano se dimostra di esserlo, anche sul piano locale e regionale. La Mafia non è una calamità naturale, non è un'alluvione, un terremoto. I suoi capi, i ,suoi organizzatori, e tutto il suo esercito molto efficiente è ,reclutato in loco. Perché nello stesso luogo non potrebbero o dovrebbero nascere anche le forze capaci di liberare la gente da questo morbo? La Sicilia non è occupata militarmente da una potenza straniera. È solo in mano ai siciliani. E a Napoli da dove la importano la Camorra? In verità queste popolazioni locali non hanno mai smesso di avere un rapporto di ambigua simpatia familiare e familistica con le forme specificamente locali del crimine organizzato. Perché il crimine organizzato da chi è organizzato ,se non da uomini d'onore, da veri uomini, gente no,stra, affezionati zii e padrini e Biblioteca Gino Bianco 7
figli di mamma? Il cr1rmmeorganizzato è solo un'estensione della famiglia. È una famiglia, e infatti Famiglia viene chiamato. La cellula della società, il suo principio naturale, la famiglia, è la forma originaria da cui l'intera vita associativa di una popolazione prende forma. Ed è giusto perciò che quelle organizzazioni di onore e di lucro, di rivalità e di vendette che sono le mafie e le camorre prendano nome dalla famiglia. La famiglia è la prima forma naturale dell'alienazione, è la consacrazione dell'alienazione, è la santificazione dell'egoismo nauurale e della difesa con le unghie e coi denti di chi ne fa parte ad esclusione di chiunque ne sia fuori. Non so se la famiglia ,sia davvero cosi raccomandabile dal punto di vista morale e sociale. La famiglia è un principio anti-individuale e anti-sociale. Più che la cellula di una società giusta, è la cellula di un'organizzazione criminale, che declassa ogni estraneo a sotto-umanità. Noi, in Italia, amiamo la famiglia in modo sviscerato. Non ho bisogno di richiamarmi alla storia, di ricordare il « nepotismo » del papato. Mi basta •ricordare mia madre e il suo appassionato attaccamento alla d1stinzione fondamentale che vige nel suo pensiero: la distinzione fra « noi » e « la gente degli altri », cioè fra i membri della famiglia, che devono sempre avere la precedenza in tutto, e il resto del genere umano, verso cui non si hanno doveri che non siano subordinati al dovere massimo, asso1uto e primario che consiste nel proteggere, frequentare e favorire i membri della famiglia. Guai ai soli! Cari connazionali, cari amici stranieri, questo è vero in Italia più che altrove. Ne sono convinto. L'Italia senza famiglie e senza dinastie non andrebbe avanti. Pensate: la famiglia Agnelli. È la famiglia esemplare, la prima famiglia, in ordine di stile e di gerarchia sociale, dell'Italia contemporanea. Tutti prima o poi se ne innamorano. Soprattutto i loro avversari. Sentono che 11avviene qualcosa di essenziale, di magico, di alchemico dal punto di vista di tutto ciò che nel mondo umano e nella vita terrena ha un peso misurabile. Ll, in quella famiglia, avviene la fusione o la trasmutazione delle quantità e delle qualità, si realizza la spiritualizzazione della materia, ,l'indistinguibilità di splendore aureo e di splendore estetico. Ricchezza, bellezza, finezza, forza. Ll ci sono i denari, le coppe, le spade e i bastoni. C'è il Capitale, c'è il Potere, c'è ,lo Stile. Al vertice delle 8 Biblioteca Gino Bianco
nostre classifiche contemporanee, bisogna collocare la Mafia {e il suo · potere trans-oceanico) e gli Agnelli (e il loro potere multinazionale). Il resto è contorno, apparato strumentale, longa manus, cassa di risonanza. Ci sono i seguaci e ,gli ammiratori. I comprimari direi di no. Semmai, ,gli oppositori sempre sull'orlo di un impresentabile isterismo distruttivo o vittime di un imbarazzante amore ,respinto. Gli stilisti sono venuti dopo. In principio, c'era solo Gianni Agnelli e famiglia. Lo Stile italiano emana da .fi, la fonte certa è quella. Armani, Versace, Valentino e gli altri sono dei modesti codificatori, hanno scritto la grammatica .di una lingua che Gianni Agnelli inventava semplicemente parlando. Più precisamente, gli stilisti sono una delle numerose casse di risonanza degli Agnelli. Pensate che dififerenza, che .progresso, che -regresso, dai tempi in cui la cassa di risonanza degli Agnelli erano Giolitti, i Savoia e Benito Mussolini (industrialismo, interventismo e fascismo)! Spade e bastoni, a tempo debito. Ora, di preferenza, coppe. Fermo restando che i denari non devono mancare mai. Gesù. Nell'apparente follia italiana, c'è un metodo collaudato nei secoli e che il futuro potrà riprendere in considerazione. Questo metodo è cosl duttile e adattabile alle circostanze reali che è potuto apparire per molto tempo una mancanza di metodo. l,n realtà le regole che sottostanno all'Italian Way sono ferree. Meglio ancora: sono poche, semplici e vaghe, e possono essere ampiamente «interpretate» in un senso o nel senso contrario, secondo i casi. Noi italiani non siamo dei dottrinari o dei rigidi moralisti. Non pretendiamo che le teorie, le costituzioni, le leggi e i principi morali debbano -veramente essere applicati o messi in pratica. Questa è ancora una volta una cosa da ingenui. La pratica è sempre andata poco .d'accordo con la teoria. Quello che si dice, e in particofare quello che si dice la domenica dal pulpito, sta bene dove sta, dentro i limiti propri alle parole e ai ·sermoni. Noi in Italia quale peso si debba dare ai sermoni e alle prediche e alle belle parole lo abbiamo appreso per tempo. È qui infatti che il cristianesimo si è radicato prima. Roma, 1a nostra fa9 BibliotecaGino Bianco
mosa e orribile capitale, è stata il centro di 1rradiazione del cristianesimo, questo madornale equivoco, questa colossale bugia e pericolosa nevrosi dell'Occidente. Che cosa poteva avere a che fare il cristianesimo vero, il cristianesimo di quell'estremista anti-sociale che fu Gesù il Cristo, con lo sviluppo della nostra Europa? Imitare quell'individuo eccessivo, in rotta con tutti, con la famiglia, con i sacerdoti potenti e con i subdoli fonzionari, con i mercanti nel tempio... ! Imitare Cristo sarebbe stata una vera follia. Troppo apocalittico. Troppo acerbo, anche come uomo. Ambiguo e risentito. Per fortuna che si è circondato di gente pratica, un po' rozza ma pratica, come gli apostoli, che si sono organizzati, hanno fondato un partito, hanno moltiplicato gli adepti, hanno sfidato l'impero romano. Ma poi? Era possibile trovare nel modo in cui Gesù era vissuto e morto un metodo di vita, un'ispirazione a mandare avanti la vita sociale, organizzandola, moderando i conflitti, scatenandoli quando era il caso, dotando il cristianesimo di un braccio armato, facendo convivere prepotenti signori e miserabili servi? Siamo stati proprio noi in Italia a capire per primi che quelle storie di quel ·personaggio eccessivo che si leggono nei Vangeli andavano interpretate con un grano di moderazione e di sale. Cristo avrebbe portato tutti alla rovina, indirizzando verso il regno di Dio, non qui, ma oltre, ma altrove. Bisognava fare in modo che la vita sulla terra, la vita cosl com'è, sulla terra cosl com'è, trovasse un modus vivendi in presenza di questa terribile immagine di Cristo. Cristo (lo ahbiamo capito subito, noi) è un nemico della vita, di questa vita, e un nemico dell'Italian Style. Quindi le parole, le letture del Vangelo e i sermoni domenicali non vanno mai presi alla lettera. Il vizio deve rendere qualche omaggio alla virtù, ma non deve spingersi oltre cercando di diventare esso stesso virtù. Andrebbe perduta, con questa aspra coerenza, la meravigliosa e fantasiosa varietà della vita. ,Pensate: ci siamo adattati a convivere con le parole di Cristo senza uscirne a pezzi. Per secoli, le migliori parole hanno trovato il modo di adattarsi con le peggiori azioni. Chi pensa che l'azione sia un'applicazione della dottrina, della morale, della legge o della teoria si nutre di fantasie. Noi sappiamo meglio di chiunque altro che fra il dire e il .fare deve esserci sempre, per fortuna, il mare, che è grande e indomabile. 10 Biblioteca Gino Bianco
La Palombara. In questo mare della vera realtà italiana si è avventurato da poco lo studioso Joseph La Palombara. Finalmente. Sarà in virtù della sua origine italiana, sarà per la sottigliezza delle sue riflessioni, certo è che questo studioso ·riesce a capirci cosl bene che leggendolo si ha l'impressione di sentire la voce del nostro avvocato difensore di fronte al tribunale severo dell'occidente sviluppato. La Palombara ci rende ,giustzia. Apprezza le nostre qualità, le vede in azione, ne riconosce i risultati. Non solo ci aiuta ad essere più fieri di quello che siamo, di quello, soprattutto, che abbiamo realizzato negli ultimi dieci anni. Ma tranquillizza anche Europa e Stati Uniti circa la stabilità del nostro sistema politico. Non ci spingeremo in avventure dissennate. Non abbiamo nessuna voglia di diventare un paese comunista, ànohe se di comunismo in Italia si è parlato molto. E siamo davvero una democrazia, anche se molti ne dubitavano. Una democrazia a modo nostro, una democrazia Italian Style. Purtroppo l'edizione italiana del libro ha scelto un titolo che non rispecchia fedelmente lo spirito del libro. Traducendo Democracy Italian Style con Democrazia all'italiana hanno alimentato la nostra maldicenza autodenigratoria, perché da noi l'espressione « all'italiana» vuole dire più o meno: « scadente», « poco attendibile», « inaffidabile», « allegramente disonesto», « non rigovernato, lasciato andare», «dissestato», « truffaldino», «corrotto», « impresentabile altrove e accettabile solo qui, solo fra noi, in famiglia», ecc. Invece La Palombara non scherza affatto. In fondo lui è un americano. Se dice una cosa è perché ci crede davvero. Ah, quanto ci conforta questo: che qualcuno ci prenda sul serio, che parli di noi senza sospetto, per allontanare da noi il sos,petto altrui, per far capire che siamo proprio affidabili cosl come siamo! « Secondo ,gli standard americani, britannici o tedeschi in Italia la libertà pare confinare con l'arbitrio e l'anarchia», osserva onestamente La Palombara. Ma avverte anche che: « Dobbiamo stare attenti a non escludere la validità della strada italiana solo in ossequio alle definizioni teoriche». L'avvertimento naturalmente è rivolto a coloro che hanno a cuore le « definizioni teoriche », o meglio agli abitanti di quelle democrazie più antiche e stagionate, Stati Uniti, 11 Biblioteca Gino Bianco
Francia, Gran Bretagna, che guardano alla democrazia italiana come a qualcosa, appunto, di « scadente» e « poco credibile». È vero che noi, come ho detto, riteniamo « poco credibili noi stessi», al punto che s<0noben pochi gli attori italiani in grado di prendere a tal punto sul serio un personaggio da recitarlo credibilmente. A Joseph La Palombara, però, credo che si possa credere. Ci ha studiato con notevo1e obiettività e con quello sforzo di comprensione spregiudicata che uno .scienziato delle cose umane e sociali deve cercare di raggiungere. E tra le altre cose ha capito che in Italia fra le parole e le cose c'è un rapporto non facile da definire e che forse solo una famigerata formula potrebbe aiutare a immaginare: soprattutto in politica, fra i lunghi, complicati, incomprensibili discorsi (carichi di uno strano equilibrio e di continui eccessi) e la prassi reale c'è un rapporto di « convergenze ,parallele ». In realtà non ci sarà mai né convergenza né coincidenza alcuna. Ma a parole, come auspicio doveroso, questa impossibile convergenza resta un augurio, e non va mai esclusa per principio. In questi apparenti misteri c'è anche un insegnamento che la politica italiana può dare a tutti, nel mondo di domani, se ci sarà. Ancora una volta questa lezione riguarda la capacità di tenere insieme i contrari, di conciliare l'inconciliabile, o di far convivere spettacolar.mente, fino ad esaudmento, i termini estremi di un conflitto. Dice La Palombara: « Pensando che la politica italiana sia completamente dominata dal conflitto ideologico e profondamente caratterizzata da una retorica esagerata, manchiamo di notare quanto gli italiani siano pragmatici, pronti al compromesso e ingegnosi nella scoperta di strumenti che lo facilitano » (p. 153). Grande Politica. In effetti, anche senza un preciso desiderio e una propensione caratteriale in favore dello spettacolo e dello spettacolo ,politico, l'Italia è stata per decenni in Occidente una scena ,piena di sorprese. L'idea del « pluralismo polarizzato» (Giovanni Sar.tori) non era dopotutto una pura invenzione allarmistica. C'era il pluralismo, ma c'erano anche due poli ben visibili. In quale altro paese avanzato, 12 Biblioteca Gino Bianco
sviluppato, appartenente allo schieramento atlantico, si dava uno spettacolo simile? Qui c'erano in azione i due grandi e nuovi partiti di massa, quello cattolico e quello comunista, la Democrazia Cristiana più legata agli Stati Uniti e al Vaticano di tutto l'Occidente, e il Partito Comunista più forte e più originale di tutto l'Occidente. Due colossi che avrebbero ,potuto dare luogo ad un pericoloso scontro frontale, se non fossero stati guidati da uomini massimamente prudenti. In superficie un'opposizione energica, frontale, fino al pittoresco. In profondità un accordo sul mantenimento dello stato democratico, sulla difesa della costituzione repubblicana e una longanime consapevolezza che gli italiani avrebbero preferito accordarsi nel rifiuto del passato fascista, nella ricerca della sicurezza e del benessere, piuttosto che scontrarsi violentemente in nome della democrazia o del comunismo. Lo scontro violento in apparenza e la necessaria convivenza in realtà, hanno contribuito a fare della politica italiana un fenomeno unico nelle storia. Un fenomeno indescrivibile e indefinibile se non come « convergenze parallele ». Il capriccio, l'assurdità verbale era capriccio, assurdità reale. Minacciare opposte scelte di civiltà, innalzare il vessillo di società strutturalmente inconciliabili: e convivere di fatto, avere le stesse abitudini_, vivere la stessa vita quotidiana, avere gli -stessigusti, le stesse aspirazioni e preferenze o quasi. Quali altri partiti politici tanto influenti e cosi precisamente caratterizzati come il Pci e la Dc hanno avuto altrove l'opportunità di raffinare il metodo del compromesso, l'arte della doppia verità, la ricerca della via d'uscita meno dispendiosa e meno impegnativa per il futuro? Questa -è politica! Questa è Grande Politica, vorrei dire. Ora sta diventando chiaro a noi e a tutti. La politica è un'attività che deve sembrare solenne e importante idealmente. Ma non deve cadere nella trappola delle proprie parole dichiarate. Deve impedire che un mondo pericolante crolli, in un paese in cui tutto è pericolante e dove i crolli improvvisi avvengono -sempre. Il sentimento della vergogna, a noi, sembra vergognoso. Meglio non drammatizzare, quando si tratta di veri drammi. Innalzare le insegne del Cristo per fare ombra sulla pratica vera dei poveri peccatori democristiani. Mostrare le bandiere del Comunismo ,per consolare gli afflitti, promettere il riscatto futuro, trovare un posto nel presente. La politica italiana 13 Biblioteca Gino Bianco
viene da lontano. Nell'arte di far coesistere senza interferenze Teoria e Prassi, è il capolavoro europeo. Continuità. Ci sono, ci saranno certamente altri modi di fare politica. In America, in Russia, per esempio. Ma in Europa e nelle zone del mondo che si apprestano ad avere con l'Europa un rapporto prefer,enziale, noi abbiamo buone probabilità di essere un modello utile. Se gli europei dovranno imparare a fare politica barcamenandosi fra est e ovest, fra nord e sud, allora gli italiani hanno qualcosa da insegnare. Gon il fanatismo sionista e con l'estremismo islamico siamo noi ad aver trovato il giusto dosaggio di: a) difosa dei diritti umani e politici, b) equidistanza moderata nelle situazioni •scottanti, e) spregiudicata penetrazione commerciale. La nostra saggezza dipende dalla nostra mancanza di orgoglio, dalla scarsa fierezza militare, dal desiderio di evitarci situazioni dispendiose e faticose di conflitto accentuato. Abbiamo favorito Arafat essendo così esposti alle recrudescenze del terrorismo islamico. Abbiamo tenuto a bada Gheddafi. Abbiamo evitato che gli americani ci trascinassero in imprese guerresche, in azioni che avrebbero certamente provocato ritorsioni. Con gli anni Ottanta, con Pertini, con Andreotti e Craxi la politica estera italiana ha disegnato il suo nuovo profilo, una nuova e inedita fermezza nel perseguire il suo disegno di mediazione moderata e sdrammatizzante. Non vogliamo cannoneggiare nessuno. Vogliamo continuare ad avere il petrolio che ci serve. Vogliamo proteggere le nostre città e i nostri aeroporti. Confonderci con gli americani, i francesi e gli inglesi nei rapporti con il mondo arabo non ci conviene affatto. Le ragioni per cui un uomo politico come Giulio Andreotti riscuote sempre maggiori consensi hanno una base obiettiva. Non si tratta soltanto di un voltafaccia del gusto estetico. Anche questo va messo nel conto, perché una faccia insulsa e volgare diventa interessante, la si ,guarda con gratitudine, ha un benefico effetto rilassante, quando si è constatato che ci compare davanti da dieci o ·venti anni e mai sarà rimossa dal nostro orizzonte visivo. Qualunque 14 Biblioteca Gino Bianco
bruttura diventa familiare, confortevole, col tempo e con l'abitudine. Gli esperti del Potere lo sanno. All'inizio si prova repulsione, ci si indigna, ogni difetto viene messo puntigliosamente in evidenza nella segreta speranza e convinzione che la critica abbia qualche potere magico: possa annullare e far sparire gli oggetti che colpisce. È solo un'illusione superstiziosa, che non tarda mai troppo a rivelarsi per quello che è. E così, quando lo spirito critico è stanco, esausto, e non si diverte più con se stesso, subentra ,prima la rassegnazione amara e poi, infine, un'umile accettazione di ciò che è stato inutile rifiutare. Si è quasi grati a coloro che rimangono imperturbabilmente in sella ad onta delle frecciate del nostro odio. Invulnerabili al disprezzo e alla critica, gli uomini di potere continuano a governare, a dirigere giornali influenti, a scaraventarci addosso opere voluminose, a imporre ai nostri figli i loro libri scolastici. Giulio Andreotti ha vinto, come ha vinto Gianni Agnelli. La gente, in Italia, li ha dovuti subire tanto a lungo che li trova attraenti e simpatici, quei mostri di casa, li trova confortanti e protettivi. Sono diventati due simboli certi dell'incerta identità italiana. Hanno una certa classe. C'è un insuperabile tocco di eleganza stilistica nella loro inamovibilità. Nessuna opposizione H ha davvero logorati. Sono sempre al loro posto, come nuovi. I loro fans e aficionados sono 1n aumento. Negli anni del secondo miracolo economico italiano, negli anni del nuovo incremento della motorizzazione privata, in cui nessun italiano si vanterebbe più di una minuscola utilitaria, loro sono sull'onda. In anni nei quali l'amore italiano per lo stile signorile è aumentato, lo stile di quei due signori dell'industria e della politica si è imposto. Sono laconici, distaccati, precisi, la loro comunicativa consiste in questo. Stilisticamente Andreotti non sembra neppure uscito dalla Dc. Non si avventura in discorsi fumosi, architetture verbali interminabili e fantastiche come ponti sospesi nel vuoto, senza ,pilastri. Il Rinnovamento, questa continua alluvione di novità che trascina l'Italia in avanti verso l'eterno Meglio e Di Più, ha bisogno di punti di riferimento. Chi meglio di Agnelli e Andreotti può dare a noi italiani il senso della persistenza, della continuità, e la certezza che 1n tutto questo caos deve esserci un ordine se loro sono sempre loro e sono sempre ai foro posti di comando? Sono rassicuranti come 15 Biblioteca Gino Bianco
le voci dei radiocronisti e telecronisti delle partite di calcio. Le domeniche del campionato di calcio non avranno mai fine, il concitato vociferare che ci racconta l'epica calcistica ogni domenica pomeriggio ci dà la certezza che niente potrà mai cambiare davvero. Niente sarà mai più reale e durevole di quelle telecronache, dei notiziari serali, dei commenti e processi del lunedl. Agnelli e Andreotti sono un assurdo vizio nazionale, dolce come una ninna-nanna. Il complesso della cultura. Da Pier Paolo Pasolini a Umberto Eco. Ridotta a due nomi propri, la Grande Trasformazione culturale italiana può essere cosi riassunta. Sono loro le due immagini alternative. I due veri inconciliabili. Quando usci Il nome della rosa, anche chi non aveva condiviso Pasolini, si chiese che cosa avrebbe detto il Pasolini « corsaro» di un romanw come quello. Con l'arrivo di Eco romanziere, la mancanza di Pasolini si è fatta sentire ancora di più. Il ,problema Eco non riguarda tanto ,iJ successo o l'insuccesso, che rivelano le esigenze e i « complessi » culturali delle nuove masse scolarizzate e semi-scolarizzate. Riguarda anche la critica letteraria che una volta si sarebbe definita « militante », d'élite o d'avanguardia. È questa che ha rivelato tutta la sua i11sipienzae viltà. Si è scoperto che gli esperti di letteratura non capiscono niente di letteratura, come se non avessero fatto vere esperienze di lettura, e che i professori di filosofia e di storia medievale comprerebbero, come tanti storici e critici d'arte, croste e patacche di ogni tipo. Eco ha prodotto un «finto» romanw che tutti hanno preso per vero. Finto soprattutto come pastiche e parodia. È lui il nuovo esempio, il tipo esemplare dell'intellettuale italiota divenuto cosmopolita, il furbo di paese che se ne è andato in città e ha venduto agli americani e ai turisti di tutto il mondo la Torre di Pisa e il Colosseo. Come studioso ed estimatore del famoso kitsch, o spazzatura culturale con pretese, Eco è riuscito a mettere sapientemente in pratica le sue teorie. È stato utile. Ha mostrato che la furbizia degli italiani negli anni Ottanta ha toccato livelli sensazionali e che la cultura mondiale è allegramente in preda a quello che i nonni chiamavano « cattivo gusto ». Ma 16 Biblioteca Gino Bianco
quando le avanguardie intellettuali non distinguono un falso da una opera autentica, questa noiosa e vecchia distinzione può essere definita teoricamente superata. Umberto Eco è il massimo promotore mondiale di questo superamento della distinzione fra buono e scadente, fra marmo e polistirolo. L'Italian Style, come stile che permette di vendere cose scadenti come se fossero buone, deve a lui quasi tutto. L'altro risultato ottenuto dal romanziere Eco è ancora più profondo. Riguarda la psiche del pubblico, il rapporto tra gli acquirenti potenziali di carta stampata e le librerie. Eco ha tolto agli italiani il complesso della cultura, il senso di carenza culturale e di inferiorità nei confronti della cultura qualitativamente « alta ». Eco ha fatto una terapia psicanalitica agli italiani, facendo loro capire che non c'è da avere paura e soggezione, non c'è da credersi esclusi dal grande banchetto, perché c'è provvidenzialmente lui a chiarire tutto, a portare i piatti in tavola, a sintetizzare tutta la cultura e tutte le culture più fini e difficili di cui si cibano quegli spocchiosi individui dei docenti universtari e degli specialisti. Lui è un grande professore e un grande specialista. Democratico e affabile, però. Che rende a tutti ogni cosa culturale altrettanto democratica e affabile. Eco ha tolto alla povera gente il complesso di inferiorità nei confronti della cultura. Al posto di quella intimidente cultura si è messo lui, di persona, col suo sorriso sornione. Ora tutti possiamo entrare nelle librerie senza timidezza, senza avere paura del libraio, senza vergognarci di fronte agli smaliziati habitués che sanno sempre che cosa comprare e che cosa leggere. A testa alta ognuno può entrare nella prima libreria e chiedere con voce chiara: « Mi dia Il pendolo di Foucault, mi dia Il nome della rosa. » Non c'è bisogno di altre parole, di altre spiegazioni. Questa formula magica è sufficiente. È il nuovo « Apriti Sèsamo ». Il libraio resterà colpito, avrà per noi un immediato rispetto e riguardo. Anche noi apparteniamo alla grande e potentissima associazione dei lettori di Eco. Non una setta, ma una religione ecumenica. È come dire « civis romanus s,um», oppure: « mi manda Woytila, mi manda Gorbaciov ». Meglio ancora: « mi manda Eco, sono qui per comprare il suo libro, e lei sa bene quanto famoso, venduto, colto e temibilmente intellettuale sia questo autore». Senza Eco, niente Made in Italy. Il suo stile, letterariamente 17 Biblioteca Gino Bianco
parlando, non è granché, come ho detto, è anzi piuttosto scadente. Ma è riuscito ad apparire sofisticato e di alta qualità anche a critici che fino ad allora erano parsi capaci di discernimento e di finezze. Perciò l'Italian Style non è dovuto solo a Gianni Agnelli, a Craxi, a Giorgio Arimani e a GiuHo Andreotti. È dovuto anche a Umberto Eco, forse soprattutto a lui. Ha liberato gli italiani del senso di inadeguatezza e di inferiorità oulturale e li ha fatti sentire in grado di rappresentare degnamente se stessi, la cultura europea, la sua tradizione, il suo accumulo post-moderno di luoghi comuni turistici. La Grande Immagine. Dallo stile fascista all'Italian Style. Ecco un altro passaggio. È questo in effetti il passaggio decisivo di cui volevo ,parlare. Mussolini ha cercato di creare un nuovo stile nazionale unitario, uno stile unificato che fosse adoperabile dalle regioni alpine alla Sicilia. Il primo grande tentativo in grande di creare uno stile italiano è stato il suo. La monarchia piemontese e i liberali non erano stati capaci di tanto. L'unità d'Italia restava imperfetta, incompleta. C'erano troppe tensioni centrifughe e troppa varietà. Insomma, il progetto era questo: costruire in fretta la Grande Immagine, perseguire una intensa politica dell'immagine da mostrare all'interno e all'esterno. Si potrebbe dire che il fascismo di Mussolini fu anzitutto questo: la inrvenzionedi uno Stile Italiano, lo sviluppo consapevole di una politica dell'immagine. Cartapesta, ahimè. Ma per un po' qualcuno ci ha pure creduto. E non gente da poco. Ci hanno creduto Luigi Pirandello, Gabriele D'Annunzio (grande stilista italiano), Filippo Tommaso Marinetti, Giovanni Gentile, Giuseppe Ungaretti. Scrittori e filosofi dovrebbero avere il senso dello stile, il •senso di ciò che è e di ciò che appare. Mussolini però non era affatto un politico da poco, se politica, in fin dei conti, vuol dire averla vinta sugli avversari, fregare e fare fuori gli antagonisti, dare il senso di una forza da rispettare, creare una Casa degli Italiani, un vasto tetto sotto cui ripararsi e dare senso ai sacrifici che la vita e il regime richiede. Se proprio si deve sopportare un peso, sempre meglio sentirsi grandi sotto quel peso, ingrandirsi come eroi nazionali. 18 Biblioteca Gino Bianco
La Nuova Classe Dirigente e la vecchia. Però non saranno soltanto questi individui ultranoti a guidare l'Italia. Ci saranno pure degli uomini {e delle donne, ma tra parentesi) che si ,fanno avanti solo ora. Mi sorprendo ad avere una curiosità nuova nei confronti di questa Nuova Classe Dirigente italiana. Perciò ho acquistato Class. Il mensile della classe dirigente, a cui è accluso un secondo fascicolo più o meno delle stesse dimensioni, Class Milano, da cui si capisce subito che la nuova classe dirigente italiana si trova a Milano. Classe dirigente, infatti, non Classe politica. Quest'ultima si presta meno al lusso e alla patina splendente delle foto a colori. Il colore dei politici resta il grigio, forse perché non sono mai veramente loro a comandare, ad avere il potere reale, ma sono solo degli esecutori e interpreti dei ricchi. I capitalisti, infatti, come è ,stato detto, sono i soli marxisti ortodossi: credono ancora nella purezza della dottrina ottocentesca secondo cui viene prima il denaro, l'Economia, e poi le leggi, il Potere. Infine la Cultura: disegno industriale, abbigliamento, libri. Ormai anche i leader Dc vestono meglio e hanno rapporti con i libri. De Mita compare in doppiopetto gessato, le cravatte di Forlani fanno pensare a una certa vanità virile, peifino Andreotti è più vaporoso, fisicamente meno mortificato. Ma lui è un vero uomo di spettacolo, appartiene al genere umorismo lugubre, sembra uscito da un film comico con Dracula e Frankenstein, racconta di aver baciato sua moglie per la prima volta in un cimitero. E scdve libri, riceve premi, presiede giurie letterarie. Tuttavia, le attrattive stilistiche della Classe politica sono scarse, perché i suoi membri si limitano a seguire con fatica la corrente. È il Psi di Craxi e di Martelli, semmai, che è nato insieme con gli stilisti milanesi degli anni Ottanta e costituisce con essi un fenomeno unitario e coerente. Più che membri della Classe politica, Craxi e Martelli sembrano piuttosto dei manager, degli imprenditori, dei dirigenti della Confindustria. Il segnale di rinnovamento che hanno portato consiste in questo stile, accigliato e netto, deciso e senza sorrisi, che fa apparire la politica una cosa concreta e seria, qualcosa su cui si lavora con competenza, efficienza e coerenza. Niente di meno vero, in realtà. Ma la nuova politica è fatta soprattutto di nuova 19 Biblioteca Gino Bianco
apparenza. Se non è possibile migliorare la qualità della vita italiana, si può tuttavia trovare il modo migliore per presentare decentemente il prodotto. Rendere accettabile la Classe politica alla Classe dirigente, far,e in modo che siano tra loro più simili e somiglianti, è stato parte del buon lavoro compiuto in questi anni dai socialisti. Non esiste più un'Ideologia Dominante, esiste uno Stile della Classe Dirigente, stile al quale tutti aspirano, perché attraverso lo stile si entra simbolicamente a far parte di ,una cerchia dalla quale si resta di fatto esclusi. La Nuova Classe Dirigente Italiana fa propaganda a se stessa oon il suo Stile. E lo Stile è il metodo formale attraverso cui qualcosa di impresentabile può finalmente apparire sulle scene e sui mercati nazionali e mondiali. Sfoglio i due fascicoli della rivista per ·vedereche aspetto hanno i rappresentanti più eminenti e tipici della Nuova Classe Dirigente, cioè « I 300 under 40 che stanno cambiando l'Italia». Dunque sempre la stessa cosa: « L'Italia che cambia », come dice ,il titolo di un libro di Giorgio Bocca, che a p. 135 scrive: « Nella società dello spettacolo ogni azione dell'uomo è riflessa, l'uomo si osserva vivere». È una buona definizione di quello che avviene con riviste come Class. Si tratta di una classe superiore, che è anche la sola classe che si rappresenti o venga rappresentata {l'arte migliore qui è l'arte fotografica, la più carica di aura, di mito, di effetti ipnotici: e quella che non ha bisogno di artisti per esistere e riprodursi). La rappresentazione di questa classe non è una rappresentazione realistica. Queste immagini sono mito, non documento. Le copertine dèi due pesanti fascicoli patinati sono occupati da due facce, che stanno a indicare il presente e il passato, il legame fra presente e passato, cioè la vicinanza, la continuità, il rapporto di filiazione fra la classe dirigente di ieri, tuttora vigorosamente in sella, e la classe dirigente di oggi e di domani. Questo legame di continuità è la garanzia che l'immagine della nuova Italia del nuovo miracolo economico anni '80 non abbia crepe, non faccia pieghe. La faccia di oggi-domani è quella di Giorgio Fanfani, figlio del leader Dc, che « ora si è mel'itato la copertina per il grande balzo che ha compiuto fino al vertice massimo della Star, una delle più grandi industrie alimentari del paese, entrata proprio di recente in un'importante operazione finanziaria internazionale alla quale partecipano la holding francese Bsn (oltre 9mila miliardi di lire 20 Biblioteca Gino Bianco
di fatturato, a cominciare dai prodotti Gervais-Danone) e l'If.il, la seconda finanziaria della famiglia Agnelli. Fanfani, lo si vede anche dai lineamenti, è figlio di Amintore, come molti altri figli di nomi illustri compaiono nel nuovo gruppo dei 300 ». La rivista aveva già compiuto la ·stessa promozione illustrativa tre anni fa, come precisa l'editoriale, ed oggi la lista di allora viene allargata e integrata. « Nella prima inchiesta i nomi erano 200, oggi sono 300, alla prossima edizione ,potranno essere ancora di più». È un augurio. La Classe Dirigente si •rinnova e continua a crescere, come il Prodotto Nazionale Lordo e i dividendi. E tutto mostra di andare per il verso ascendente giusto: « Molti dei volti e dei nomi di allora hanno continuato a salire, conquistando posizioni sempre più decisive nella società. Nessuno dei 200 ha sceso qualche gradino ». Il direttore responsabile di Class, Paolo Panerai, si dichiara .fiero: « La nuova classe dirigente che sta cambiando l'Italia ... è, in molti casi, figlia della vecchia: il :potere in Italia, assai spesso, passa di mano all'interno della stessa famiglia. Ma già in questi ultimi tre anni il trend è cambiato... la dimensione crescente delle aziende impone gestioni manageriali e non più padrona1i ». A questo punto ha inizio la nuova filosofia e la nuova estetica, anche, che fa lo Stile della Nuova Classe Dirigente. Bando alla volgarità, alle prepotenze ostentate. Basta con le Grinte. Meglio una sorridente fermezza, che non deve più mostrare i denti per mordere, perché ha già morso e dischiude le labbra per ragioni di sazietà. L'estetica trova di nuovo il suo ,punto di equilibrio: fuori dalla Prassi, come immagine eminente, da contemplare disinteressatamente, con ammirazione. La scalata è avvenuta, sfoderare continuamente le unghie sarebbe solo sgradevole ostentazione. Ora la Nuova Classe Dirigente « è assai meno rampante e assai ,più preparata. Meno rampante nello stile, nel modo di porsi, nella spreg1udicatezzad'azione... Dopo il ruggente inizio degli anni 80, immediatamente seguenti al decennio buio in cui tutti i valori delle società occidentali (dal profitto alla ricerca del benessere) erano stati negletti e anzi combattuti, la società ha ritrovato un suo equilibrio. Oggi non si hi1 più paura a pronunciare la parola profitto ... Quindi sono sempre più apprezzati valori di discrezione e misura. Lo stile della classe dirigente sta tornando a essere più pacato: per farsi sentire non c'è più bisogno di 21 Biblioteca Gino Bianco
gridare. I festaioli e le rubriche che li celebrano non hanno più fascino, anzi danno non poco fastidio. Sono ritornati dominanti i valori tradizionali della buona borghesia. Crediamo che Class sia interprete ideale di questo nuovo spirito che combatte la volgarità e l'ostentazione ... » Sì, ma come fare? Come evitare quella fatale volgarità dell'ostentazione consistente nell'esistenza stessa di una rivista come Class, e che porta il titolo di Class.Mensile della classedirigente? La classe dirigente ha classe, ed è ovviamente una classe. Le altre classi esistono ancora, o ci troviamo in una società senza classi, in un'età dell'oro nella quale gli armenti non temono più i leoni, ma li inseguono per nutrirli e per essere come loro? La sola classe nominabile e estensibile è la classe dirigente. Le altre sono invisibili, nascoste. Si nascondono, sono andate a nascondersi. Pas·sano il tempo libero a cosparger.si di vernici colorate nello strenuo sforzo di sparire o di ingannare l'occhio. Post-moderni. Siamo post-moderni, noi, .siamo i più post-moderni di tutti. Quando mai abbiamo praticato il tragico rigore, il cinismo a oltranza, il nichilismo, il rovesciamento di tutti i valori, la trasgressione? Mai la modernità fu nostra, finché fu. Ora che finalmente è passata e il disincanto ha colpito anche il più moderno dei disincanti, ora è giunta la nostra ora. Intrai:nontabi1i italici! Non avendo uno stile, uno stile veramente borghese e moderno, possiamo usare e mischiare tutti gli stili, possiamo avere uno stile post-moderno. La Moda è cosa nostra. La Moda che è sorella della Morte, l'una e l'altra « figlie della caducità». Cresci,uti in mezzo a gigantesche rovine, a marmi e muri solenni e oppressivi come carceri, come altari, sappiamo quanto dura la carne. Quaggiù noi siamo di passaggio, e lo sappiamo: « pulvis et umbra sumus ». Effimeri e post-moderni come nessun altro, pur non essendo stati molto cosmopoliti. I cosmopoliti erano moderni. Oggi tutto il mondo è nuovamente un paese, e noi amiamo i paesi, noi li conosciamo, siamo noi i « paisà ». 22 Biblioteca Gino Bianco
Dove siamo? Preceduto da .festose e rasserenanti scariche sonore, in cui si ha l'impressione di sentire mescolati un inno na~ionale, una canzonetta desueta e sentimentale, una canzonaccia politica altrettanto sentimentale, una marcetta domenicale, ecco apparire un individuo che si presenta subito ai telespettatori come sommamente ironico e disincantato, pronto a commuoversi di qualunque cosa sbeffeggiando contemporaneamente qualunque commozione. È alto, ha una bella taglia, veste un abito militare bianco, con spalline e bottoni d'oro. Potrebbe essere un ammiraglio in alta uniforme, un maresciallo austriaco dei tempi dell'Impero, un domatore di cavalli del circo equestre. Sorride. Ci sorride con grande, inusitata familiarità. Ci fa subito complici. Ha la faccia di nostro cugino, dello zio scapolo e gaudente. Potrebbe essere un regista di filmetti comici o erotici. Ma è più smaliziato. È buono, inoffensivo e smaliziato. Si vede subito che è un individuo trans-culturale, qualunque cosa questo termine voglia dire. È un pigro, ma è anche abbastanza os·sessivoda lavorare in continuazione. Vive a Roma, passa l'intera mattinata al telefono. Viene dal sud, si presenta ironicamente come un ben educato signore liberale, o meglio liberal, abbastanza equilibrato da circondarsi di radical o ex. Ha in sommo grado il senso dello spettacolo. Scopre di continuo talenti nuovi, trova da ,lavorare ai disperati e ai dimenticati, organizza delle gran serate con pochi mezzi. Ha sempre l'occhio rivolto ·in varie direzioni. Mentre mi lancia uno sguardo con un mezzo sorriso ammiccante, guarda la persona con cui parla, a cui sorride ammiccando. Meglio ancora: siamo tutti nello stesso posto, al di qua e al di là del video, tutti sulla stessa barca o nave che va e va, noi, stasera, con lui, nella nostra Italia, al centro del mondo, al sicuro. 1948. Dall'alto mi vedevo intorno un mare di bandiere rosse. Ondeggiavano al vento. L'aria era ,piena di sole, doveva essere primavera avanzata. Maggio, probabilmente, il primo maggio. Avrò avuto quattro o cinque anni. Il ·mio elevato punto di osservazione era sulle 23 Biblioteca Gino Bianco
spalle robuste di un mio cugino, un giovanotto non ancora ventenne, un manovale gigantesco, infantile e introverso. Era comunista come quasi tutti in famiglia e mi aveva .portato con sé al comizio del primo maggio. Per non farmi soffocare e annoiare mi aveva sollevato a cavalcioni sulle spalle. Un mare di bandiere rosse ondeggianti nella mattina assolata e ventilata di maggio. Non avevo mai visto prima una tale massa di persone riunite in un solo posto. Un anno dopo mio cugino spari raggiungendo suo padre :in America latina. In Italia non trovava lavoro, era giovane e disperato. Il sole e le bandiere del primo maggio non cambiavano le cose, non gli permettevano una vita decente. 24 Biblioteca Gino Bianco
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