donne chiesa mondo - n. 73 - novembre 2018
DONNE CHIESA MONDO 12 DONNE CHIESA MONDO 13 dovrebbe essere quello di allargare e intensificare i modi di guardare e abitare la vita, in senso ampio. Ma più cresciamo e più la nostra vista, e con essa il nostro sguar- do sul mondo, sono condizionati dalle esperienze che facciamo. La pedagogia può allora aprire domande sui processi di formazione di uno sguardo. Spostiamoci alle basi della nostra quotidianità: un pre- ciso lavoro, i percorsi a piedi o coi mezzi di trasporto, le letture, le abitudini, i panorami abituali, le persone che incontriamo e i discorsi nei quali siamo più immersi ci allenano continuamente a precisi modi di vedere, e di pensare. E anche a un certo senso estetico e a un gu- sto, o meno, della vita. Che tipo di esperienza siamo soliti far fare alla nostra vista? C’è, nei nostri giorni, un equilibrio tra l’esperienza del guardare vicino e lontano? Del guardare in basso e in alto? Del guardare in profondi- tà? I movimenti della vista non sono mai pura questione meccanica. Hanno ripercussioni sul modo di essere al mondo. Le situazioni che viviamo ci educano poi a focalizzarci su alcuni precisi aspetti della realtà, di noi stessi e di ciò che incontriamo. Do- ve tende a fermarsi la nostra attenzione quando guardiamo, e quali aspetti vengono lasciati ai margini? In occasione di alcuni incontri di formazione con insegnanti, cer- cavo di riflettere insieme con loro sull’uso sempre più diffuso e inva- sivo dei cellulari. L’intento non era quello di demonizzarne l’uso, il che sarebbe oltretutto ingiusto, visto che aspetti positivi e usi creativi non mancano. L’uso continuo del telefonino, però, rappresenta un continuo vedere da vicino, verso il basso, con la tendenza a escludere dalla vista chi è prossimo (anche solo il vicino di posto su un mezzo di trasporto). Tende a disabituare all’osservazione diretta, al soffer- marsi con attenzione sulle cose, e a volte alla contemplazione di per- sonaggi e scenari. L’uso prolungato ha inoltre e spesso il potere di fagocitare altre sensibilità. Penso alla difficoltà di restare in ascolto di tutti i suoni e rumori del paesaggio sonoro. Questo esempio porta anche a chiedersi: quanto, nella nostra conoscenza del mondo, delle persone, riusciamo a mettere in dialogo i nostri sensi, senza privile- giare e assolutizzare il senso della vista (così sollecitato anche dai media), per avere una visione più comprensiva e complessa dell’uma- no? «L’ascolto avvicina lo sguardo alle cose» dice efficacemente Tul- lia Gianoncelli, antropologa. È quanto io stessa ho vissuto nell’ascol- to di tanti ragazzi e ragazze. La possibilità di farsi vicini alle situa- zioni e alle persone sta proprio in un guardare, in una capacità di os- servare con attenzione i dettagli, le espressioni, i gesti, mettendoli pe- rò sempre in rapporto coi racconti, le parole e i significati dei prota- Sguardo libero U NA QUESTIONE EDUCATIVA di R OSSANA B RAMBILLA I l senso della vista mi fa subito pensare agli occhi birichini dei bam- bini, nei nidi e nelle scuole dell’infanzia, che si muovono e osservano molto più di quanto gli adulti possano percepire o immaginare. A cosa vogliamo allenare la vista di questi bimbi, nelle esperienze che proponiamo? Il mio lavoro diventa quello di aiutare educatori e inse- gnanti a guardare e ragionare sulla configurazione degli spazi educa- tivi quotidiani: dimensione degli angoli, degli oggetti, forme, colori, orientamenti, posizioni. Linee, superfici, giochi di luce. E poi far ri- flettere sugli sguardi ai quali educhiamo i bambini e le bambine, per esempio nelle uscite didattiche. Si tratta di non limitarsi ad attenzio- ni relazionali o comunicative, ma di mostrare percorsi di sguardi pos- sibili, alla ricerca di forme che si intrecciano, accostamenti di colori, elementi naturali ed elementi costruiti dall’uomo che si alternano, di- versità tra elementi naturali... Osservazione e contemplazione della bellezza e delle differenze. Nei luoghi educativi il compito principale
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