donne chiesa mondo - n. 69 - giugno 2018

DONNE CHIESA MONDO 40 dossale e ci indicano qual è la vocazione del cri- stiano. «Voi siete il sale della terra»: di per sé il sale non serve alla terra, anzi la rende sterile, ma qui Gesù intende dire: «Voi siete il sale della vita umana sulla terra». Il sale nell’Antico Testamen- to è simbolo di comunione, di fedeltà, tanto che nell’ebraico si è giunti a coniare l’espressione «alleanza di sale» ( Numeri 18, 19; 2 Cronache 13, 5) per definire la fedeltà del patto che Dio ha stipulato con il suo popolo. Essere il sale della terra significa vivere una presenza di comunione e di pace con gli altri esseri umani su questa terra. Matteo prospetta il fallimento di questa vocazione; il sale può diventare insipido. Il ver- bo greco qui impiegato ( moráinein ) significa «di- ventare stolto». È la stoltezza di chi «ha co- struito la casa sulla sabbia» ( Matteo 7, 26) e non sulla roccia, che è il Cristo stesso; è la stoltezza di quelle cinque giovani donne che hanno preso le lampade ma non l’olio ( Matteo 25, 2-3). Il sa- le scipito, «stolto», non serve ad altro che a es- sere «gettato fuori», espressione questa frequen- te nel vangelo di Matteo per designare il giudi- zio. «Voi siete la luce del mondo»: la luce non ci appartiene; possiamo soltanto accoglierla e ri- fletterla. Soltanto Gesù può dire: «Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre e avrà la luce della vita» ( Giovanni 8, 12). Nessun altro può dirlo di se stesso. Nes- sun trionfalismo, nessuna arroganza! Sarà la vi- ta, saranno gli altri, sarà il Signore a giudicare se siamo sale e luce. A noi spetta mantenere il nostro sguardo rivolto al Signore, in ogni istan- te, in ogni situazione, senza lasciarci distrarre da false luci che cercano di sedurci. «Satana si tra- veste da angelo di luce» ( 2 Corinti 11, 14) ci ri- corda l’apostolo Paolo. Non dobbiamo negare le nostre tenebre, né nascondere, a noi stessi e al Signore, che nonostante il nostro desiderio di seguirlo e di amarlo, ci sono in noi tante resi- stenze, tanti dubbi, tante esitazioni, e che spes- so diventiamo complici delle nostre tenebre, ma giorno dopo giorno dobbiamo accogliere la luce che viene dal Signore, riflettere questa luce sui nostri volti, su tutta la nostra persona, sulla no- stra vita quotidiana; dobbiamo credere nella lu- ce per diventare «figli della luce» ( Giovanni 12, 36), amare per rimanere nella luce («Chi ama suo fratello rimane nella luce», 1 Giovanni 2, 10). Allora compiremo quelle opere che Matteo chiama «belle» ( Matteo 5, 16). Che cosa sono le «opere belle»? Sono quegli atteggiamenti illu- strati nelle beatitudini: la povertà di chi si rico- nosce mendicante presso Dio, il pianto sulla propria e l’altrui tenebra, la mitezza, la fame e la sete di giustizia, la misericordia, la purezza di cuore, la costante ricerca della pace in se stessi e con gli altri, il trovare la propria gioia e la bea- titudine soltanto nel Signore, anche se la nostra sequela desta il rifiuto, lo scherno, le false accu- se. «Beati voi quando vi insulteranno, vi perse- guiteranno e mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia» ( Matteo 5, 11). Anche l’apostolo Pietro invita ad avere una «vita bella» in mezzo agli uomini «perché al vedere le vostre opere belle diano gloria a Dio» ( 1 Pietro 2, 12). Questa vita bella stupisce e in- terroga; a chi gliene chiede il motivo, il cristiano renderà conto della speranza che lo abita (cfr. 1 Pietro 3, 15).

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