donne chiesa mondo - n. 69 - giugno 2018

DONNE CHIESA MONDO 28 DONNE CHIESA MONDO 29 razione dal compagno dovette affrontare la soli- tudine e il peso di lottare come laica e madre single in una società che discriminava le donne e in una Chiesa ancora molto segnata dal ma- schilismo: tutto ciò suggellò, da allora in poi, il destino di Dorothy. Ma sarà quello stesso corpo a vibrare di compassione e di solidarietà verso tutti gli uomini e le donne povere e infelici che incrocerà nel suo cammino e a farle sperimenta- re come sue le sofferenze del mondo e dell’uma- nità. Dopo essersi separata da Forster, incontrò Pe- ter Maurin, il grande compagno e socio nella sua vita spirituale e nel suo lavoro apostolico. In lui Dorothy Day trovò un cristiano e un ri- formatore con cui sperimentò una comunione di mente e di sentimenti. Nel 1933 diedero inizio insieme al Catholic Worker Movement, che non solo pubblicò un giornale influente, che in bre- ve tempo raggiunse una tiratura di oltre mille copie, ma fondò anche numerose case di acco- glienza per servire i senzatetto vittime della Grande depressione che si era abbattuta sul paese dopo il crollo della borsa nel 1929. In quel momento della sua vita Dorothy Day com- pì il passo definitivo di vivere come e con i po- veri. Temi come la giustizia e la trasformazione delle strutture sociali — considerate dalla Chiesa dei suoi giovani anni come estranee alla ricerca di una salvezza individuale attraverso una cre- scita spirituale, separata dalla responsabilità per l’organizzazione del mondo — l’avevano abitata da sempre e ora si confermavano e davano sen- so alla sua esistenza. Vedeva chiaramente che non basta lottare contro gli effetti della povertà. La povertà è un male e va estirpata. Occorre pertanto trasformare la società alla radice. Simili riflessioni mostrano che Dorothy Day, nell’espe- rienza della sua fede cattolica e della sua misti- ca, riceve da Dio ispirazione e conoscenza, che la pongono ancora più avanti delle più avanzate riflessioni dei cattolici del suo tempo. Tali riflessioni, che si moltiplicano in tutti i suoi scritti, la presentano come una pioniera di movimenti che sarebbero emersi solo più tardi nella Chiesa. La consapevolezza del peccato so- ciale e del bisogno di soluzioni strutturali inve- ce che di soluzioni meramente palliative e fram- mentarie, per esempio, sarebbe stata molto pre- sente nella teologia della liberazione che esplose con grande forza nella Chiesa latinoamericana negli anni settanta. Dorothy Day fu certamente una rivoluziona- ria, ma coerente con ciò che chiamava «rivolu- zione del cuore». Fu certamente una mistica, ma una mistica fuori dal comune. Negli anni sessanta fu apprezzata ed elogiata dai leader della controcultura, come Abbie Hoffman, che la descrisse come la prima hippie, descrizione che le piacque e che approvò. Scrisse con pas- sione sui diritti della donna negli anni dieci, ma si oppose alla rivoluzione sessuale degli anni sessanta, avendone osservato gli effetti devastan- ti negli anni venti. Riuscì a tenere insieme un atteggiamento progressista nella difesa dei diritti umani, sociali ed economici con un senso molto ortodosso e tradizionale della moralità e della pietà cattoli- che. La sua devozione e obbedienza alla Chiesa non erano tuttavia cieche o acritiche. Per esem- pio, condannò pubblicamente il generale Fran- cisco Franco durante la guerra civile spagnola, e questo le valse l’opposizione di molti cattolici nordamericani, religiosi e laici. Dovette cambia- re il nome del suo giornale, «Catholic Worker» perché in apparenza «il termine “cattolico” im- plica una connessione ecclesiale ufficiale, quan- do non era quello il caso». Le sue lotte princi- pali furono a favore della giustizia e della pace. Per esse visse e morì. Il suo pellegrinaggio ter- reno si concluse il 29 dicembre 1980 a Ma- ryhouse, a New York, dove morì tra i poveri. di N ICLA S PEZZATI Q uesto spazio, che vogliamo dedicato alla vita consacrata femminile nella pluralità delle sue forme, si apre come areopago in cui la ricca traditio (biblico–teologico-ecclesiale) e l’esperienza pluriculturale delle donne consacrate possa raffrontarsi con la temperie provocativa di un’antropologia femminile che va mutando nel suo impatto con le culture. Areopago in cui desideriamo che s’incontrino fondamenti e prassi di vita, visioni in processo e pratiche in impasse per elaborare pensie- ro vivo, duttile e fecondo secondo i principi, che hanno sapore di po- stulati, presenti nell’ Evangelii gaudium (222-225) . Ci riferiamo soprat- tutto al primo, il più caro a papa Francesco: «Il tempo è superiore allo spazio», enunciato la prima volta nell’enci- clica Lumen fidei (57), ripreso nell’enciclica Laudato si’ (178) e citato nell’esortazione apostolica Amoris laetitia (3 e 261) si rivela come principio dinamico, vettore di seminagioni nuove, foriero di radici profonde. Un postulato che suona anche per noi donne consacrate come in- vito a una lettura comune amorevole e critica su cosa significhi, oggi, per la donna la vocazione alla consecratio per evangelica consilia ; un in- C ONSACRATE « PER EVANGELICA CONSILIA » Donne che abitano il mondo

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