donne chiesa mondo - n. 68 - maggio 2018
DONNE CHIESA MONDO 32 DONNE CHIESA MONDO 33 membri di una famiglia ( Colossesi 3, 18 - 4, 1; Efesini 5, 21 - 6, 9), quelli di un secondo ( 1 Pietro 2, 18 – 3, 7) e un terzo periodo ( 1 Timo- teo 2, 9-15; Tito 2, 3-5) esigono dalla moglie sottomissione e silenzio nei confronti del marito. Non solo, ma si osserva anche come, attra- verso misure disciplinari, si cerchi di limitare l’autonomia della don- na e di ridurre il suo insegnamento nella comunità, relegandola all’ambito domestico ( 1 Timoteo 5, 2-16; 5, 13; 2 Timoteo 3, 6; Tito 2, 3- 5). In un certo senso, questo tentativo di limitare le sue funzioni è te- stimonianza e retaggio di altre forme iniziali di procedere, così come riflettono la lettera ai Filippesi e altre propriamente paoline. Così co- me fattori esterni e interni alla Chiesa primitiva confluirono, nel II secolo, portando pian piano alla scomparsa della guida comunitaria femminile, nel I secolo fattori esterni e interni al cristianesimo aveva- no contribuito alla sua affermazione. A tale riguardo gli studiosi sot- tolineano come le prime comunità cristiane si articolassero e organiz- zassero attorno alla casa ( òikos ), spazio specificatamente femminile. Marta García Fernández è una religiosa della Congregazione delle Suore di Nostra Signora della Consolazione. Dopo una laurea in scienze bibliche al Pontificio istituto biblico (2004) e un dottorato in teologia presso la Pontificia università gregoriana (2008), nel vrebbe intendersi in termini di procreazione o di “dolce metà” trova- ta dall’uomo, bensì estendersi al piano lavorativo, che è la chiave del racconto della Genesi , e intendersi, in questo senso lavorativo-voca- zionale, come complementarità. Detta complementarità si respira nelle comunità paoline e traspare nei “gruppi missionari” come quello che è brevemente presentato in Filippesi 3, 4: Evodia, Sintiche, Clemente e altri collaboratori. A loro, o almeno in parte, è probabilmente rivolta la bella e sentita azione di grazie dell’esordio ( Filippesi 1, 3-11) e sempre a loro probabilmente si riferisce l’appellativo inaugurale con cui si apre la lettera: «Paolo e Timoteo, servi di Cristo Gesù, a tutti i santi in Cristo Gesù che sono a Filippi, con i vescovi e i diaconi» ( Filippesi 1, 1). Pur trattandosi di una designazione inedita nelle lettere scritte da Paolo, secondo molti esegeti i termini «vescovi» e «diaconi» non hanno qui il significato tecnico che acquisiranno in seguito. Come osservano gli studiosi, benché l’atteggiamento di Paolo ri- spetto al ruolo della donna si mostri ambiguo in alcuni testi ( 1 Corin- zi 11, 2-16), in generale nelle lettere propriamente paoline le donne partecipano attivamente alla diffusione del Vangelo e alla guida delle comunità. Il che viene messo in luce da alcune coppie di missionari formate da coniugi come Priscilla e Aquila ( 1 Corinzi 16, 19; Romani 16, 3-5) o Giunia e Andronico ( Romani 16, 7) o addirittura da due donne, come Evodia e Sintiche ( Filippesi 4, 2) e Trifena e Trifosa ( Romani 16, 12). Tuttavia, con il passare dei secoli, la tradizione successiva a Paolo si è mostrata più restia al riguardo. Così si riflette nell’evoluzione stessa dei “codici domestici”. Mentre i primi, che accettano l’ordine patriarcale, insistono ancora sulla reciprocità delle funzioni tra i L’autrice 2009 ha iniziato a insegnare nella facoltà di teologia della Pontificia università Comillas (Madrid). La sua pubblicazione principale è: Consolad, consolad a mi pueblo. El tema de la consolación en Deuteroisaías (Analecta Biblica 181, Roma 2010). Posto che nella società civile l’ambito pubblico era ri- servato agli uomini. Le prime comunità cristiane infatti erano nate come “chiese domestiche”, strutturate attorno a una casa ( domus ) che alcuni credenti mettevano a disposizione dei missionari e della comunità locale ( Romani 16, 2. 5; 1 Corinzi 16, 19). Gli scritti del Nuovo Testamento riferiscono che donne ricche, nobili o di una certa rile- vanza sono le principali benefattrici di alcune comuni- tà. Così, negli Atti degli apostoli , Tabita di Giaffa (9, 36.42), Maria, la madre di Giovanni soprannominato Marco (12, 12-17), Lidia (16, 14; 15.40), Damaris di Ate- ne (17, 34) o donne illustri di Tessalonica e Berea (17, 4-12), Priscilla e suo marito Aquila (18, 2-3) a Efeso ( 1 Corinzi 16, 19) e a Roma ( Romani 16, 5), e Febe a Cencre ( Romani 16, 1-2), che, oltre a ricevere il titolo di «sorella» e «diacono», è anche chiamata «bene- fattrice» ( prostátis ). Questa sorta di matronato non si limita a contribuire con i beni, l’ospitalità o l’influenza sociale, ma spesso funge da anfitrione o svol- ge un ruolo di presidenza nelle riunioni, come afferma Paolo per la famiglia di Stefana, «che si è dedicata al servizio dei fratelli» ( 1 Co- rinzi 16, 15-18). Inoltre la condizione sociale di queste donne compor- ta verosimilmente un livello culturale più alto di quello della media e quindi esse possono esercitare una funzione d’insegnamento all’inter- no delle comunità. La disposizione a rimanere in silenzio nelle as-
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