donne chiesa mondo - n. 66 - marzo 2018

DONNE CHIESA MONDO 40 forte (cfr. Matteo 12, 29), è colui che può vincere la potenza del male che ci abita (cfr. Matteo 15, 19), è colui che con il suo Spirito può cambiare il nostro cuore di pietra in cuore di carne (cfr. Ezechiele 36, 25-26). Ma la parola del Signore non è magica, poi- ché il Signore non vuole dominare gli uomini, ma essere a loro servizio, ed è per questo che anche la sua parola non porta frutto se non vie- ne accolta, se cioè non trova acconsentimento da parte della libertà di chi la ascolta. Il Signo- re non desidera fare degli uomini dei burattini in suo potere, ma elevarli alla dignità di suoi partner in una relazione di comunione, di al- leanza, poiché a sua immagine egli li ha fatti (cfr. Genesi 1, 26-27). Per questo l’accoglienza della parola del Signore ha bisogno di una fede che sia adesione con tutta la propria persona, anche con il proprio corpo, con la propria vita, con le proprie forze; in una parola: ha bisogno anche di essere accolta con un cammino di con- versione, di ripudio degli idoli, cammino a cui la quaresima che stiamo vivendo ci invita in ma- niera assidua. E anche questo itinerario ci è presentato da questa pagina di vangelo non come un dovere ma come una «furbizia», una forma di sapien- za, un essere scaltri, «prudenti» (cfr. v. 24), un modo di sapere dove sta la via della vita e intra- prenderla, abbandonando le vie mortifere in cui potevamo essere incorsi. Molte volte Gesù nei vangeli ritorna su questo concetto: la vita cri- stiana è una vita che invita alla furbizia, si tratta di essere scaltri, intelligenti, imboccando e per- correndo la via della vita, poiché per questo Ge- sù confessa di essere venuto (cfr. Giovanni 10, 10). Allora, si tratterà per i discepoli di essere prudenti, astuti come i serpenti, e allo stesso tempo semplici come le colombe (cfr. Matteo 10, 16), si tratterà di usare dei beni di questo mon- do in modo tale che ci conducano alla vita e non alla rovina (cfr. Luca 16, 8-9), si tratterà di imparare a vivere questo tempo di attesa della venuta gloriosa del Signore in modo da non la- sciarci trovare impreparati alla sua venuta (cfr. Matteo 25, 1-13). E il segno della fedeltà di un discepolo e di una comunità cristiana è la sua perseveranza nell’amore, nella carità (cfr. Matteo 24, 12). Questo è il frutto da cui si conosce l’albero (cfr. Matteo 7, 15-20; 12, 33-37), e non una reli- giosità apparente, magari ammantata di devo- zione («Signore, Signore!», v. 22). No, non so- no né le apparenti confessioni di fede né i mira- coli, ci dice Gesù, che possono autenticare la vi- ta di un vero discepolo (cfr. v. 22), poiché nel giorno del giudizio vi saranno magari molti che in vita hanno compiuto molti miracoli nel nome del Signore, ma a cui egli dirà: «Non vi ho mai conosciuti» (cfr. vv. 22-23). Non dobbiamo dare nessun credito a forme di religiosità fatte sia di tante parole (cfr. Matteo 6, 7-8) sia della ricerca di grandi segni (cfr. Matteo 16, 1-4), poiché la venuta del regno di Dio avviene nella debolezza del Crocifisso (cfr. Matteo 12, 38-40) e nell’ascol- to obbediente, in quello che Giovanni chiama un “rimanere”, un abitare, un dimorare senza la- sciarsi smuovere, nella sua Parola (cfr. Giovanni 8, 31: «Se rimanete nella mia parola siete vera- mente miei discepoli». Sta a noi accogliere o rifiutare questo lieto annuncio.

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