donne chiesa mondo - n. 64 - gennaio 2018

DONNE CHIESA MONDO 34 DONNE CHIESA MONDO 35 8). Egli si reca in Samaria e sulla strada deserta che porta verso Gaza per evangelizzare gli scismatici del suo popolo e un eunuco prove- niente dall’Etiopia. Quindi l’impiego del termine diákonos fa pensare che il ministero di Febe non riguardi solo l’ambito della carità, ma che includa anche la predicazione e l’opera evangelizzatrice. Prostátis , invece, è un hapax nel Nuovo Testamento, un termine tecnico che fa pensare al magistrato che ad Atene difendeva gli inte- ressi degli stranieri o a colui che presiede a una comunità e garanti- sce gli interessi degli altri. Potrebbe indicare il fatto che questa don- na, in qualità di “patrona” e garante abbia aiutato molti credenti, Paolo compreso, dinanzi alle autorità civili. Si tratterebbe di una donna benestante e ricca che ha messo la propria abitazione a dispo- sizione per permettere alla comunità dei credenti di Corinto di ritro- varsi, un po’ sulla falsariga dei thíasoi o collegia , che erano le associa- zioni religiose del tempo. Appare così la presenza di una donna che riveste diverse responsabilità a Cencre e per la quale Paolo chiede ac- coglienza e assistenza in segno di gratitudine per aver collaborato di- namicamente con il ministero dell’apostolo. Per questo viene ritenuta persino la latrice della lettera. Il fatto che Febe abbia protetto molti fa pensare che questa donna sia stata facoltosa, ma anche che la comunità abbia subito la minac- cia della persecuzione che spingeva i credenti a nascondersi e, talune volte, ad agire in clandestinità. Febe allora emerge ancora più lumi- nosa come figura coraggiosa, capace di mettere a repentaglio la pro- pria vita pur di salvare i suoi fratelli e le sue sorelle. Per questo Pao- lo, con profonda gratitudine, chiede ai suoi collaboratori di riservarle una generosa ospitalità e di andare incontro a ogni sua necessità. Dalla sintetica indagine circa la triade di sostantivi con cui Febe viene descritta, si comprende come nell’ambito dell’evangelizzazione paolina esistessero spazi per una missione incisiva della donna nella comunità delle origini. Due sono gli elementi che il testo della lettera ai Romani mette particolarmente in luce della figura di Febe: un par- ticolare amore per la Chiesa, manifestato dalla disponibilità al servi- zio e, con tutta probabilità, all’evangelizzazione/diffusione della Pa- rola; e la natura totalizzante del suo impegno (caratterizzato da acco- glienza, cura e protezione). Si tratta di due elementi che caratterizza- no spesso l’investimento della donna nella Chiesa e fanno trasparire la sua femminilità generativa, mostrando la sua piena e dinamica par- tecipazione alla gestazione del corpo ecclesiale e provocando quel processo di intelligenza creativa che apre nuove piste e permette di valorizzare questo tempo privilegiato di germinazione del seme evan- gelico che sta vivendo la Chiesa universale. que l’unità dei credenti nella molteplicità dei doni ricevuti dallo Spi- rito. Nella comunità ogni membro, dunque, sia uomo che donna, contribuisce «per la sua parte» all’edificazione della Chiesa. Nel cuo- re dell’ecclesiologia paolina sta il primato della dignità battesimale e della conformazione a Cristo. Per questo, parlando dei carismi, Paolo si sofferma più sullo stile agapico del loro esercizio (cfr. l’elogio all’amore di 1 Corinzi 13) che sulla loro specificità. Da questo fonda- mento scaturisce l’esperienza di un apostolato e di una missione che vedono la partecipazione attiva dell’uomo e della donna e della colla- borazione di entrambi i sessi. Febe è «sorella» come lo è Appia in Filemone 2, perché, innestata in Cristo, è entrata a pieno titolo nella famiglia di Dio. Resa figlia di Dio e vivendo ormai «nel Signore» è dunque sorella dei suoi fratelli, i «santi» (cioè santificati nel battesimo). Questa sororità diventerà nella Chiesa una «specifica manifestazione della bellezza spirituale della donna (…) rivelazione di una sua intangibilità» (Giovanni Pao- lo II , Lettera ai sacerdoti ). In secondo luogo, Febe è «diacono della Chiesa di Cencre» o, co- me si legge nella traduzione della Conferenza episcopale italiana (2008), «al servizio della Chiesa di Cencre». Diákonos è detto di Ge- sù che è «servitore dei circoncisi» in Romani 15, 8; è detto di Paolo (cfr. 1 Corinzi 3, 5; 2 Corinzi 3, 6; 6, 4), mentre in Filemone 1, 1 appare Diversamente dal pregiudizio diffuso che lo ha reso misogino nell’immaginario di molti Paolo si colloca sulla stessa scia di Gesù contando per la sua missione su una partecipazione molto nutrita di donne come uno status ecclesiale preciso. Già in Aristofane il vocabolo po- teva avere anche valenza femminile, ma la parola diakoníssa nel con- testo ecclesiale è tardiva: appare per la prima volta nel canone 19 del concilio di Nicea (325) a designare, stando al Panarion di Epifanio, chi assiste il sacerdote nel battesimo delle donne. Stando alla testimonianza degli Atti degli apostoli , il diacono non si occupava solo di compiti di assistenza sociale. Il diacono Stefano, protomartire, muore lapidato a causa della sua predicazione di fuoco (nel capitolo 7) e il diacono Filippo non lo troviamo a servire le mense, ma a predicare e a compiere segni di potenza (nel capitolo

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