donne chiesa mondo - n. 58 - giugno 2017

DONNE CHIESA MONDO 38 DONNE CHIESA MONDO 39 qua che disseterà me» celebrano la ricerca dello Sposo da parte dell’anima: si tratta di testi colti, ma mai pedanti, tracimanti anzi una spiritualità appassionata, autentica. Lo stesso si dica per la toccante canzone intitolata La sua figura , ispira- ta al cantico Dove mai ti celasti di san Giovanni della Croce, collaboratore di santa Teresa d’Ávi- la nella riforma dell’ordine carmelitano, di cui Giuni Russo possedeva le opere complete. In questa canzone, la sofferta ricerca di un appro- do amoroso nelle braccia dell’Assoluto («Sai che la sofferenza d’amore non si cura / se non con la presenza della sua figura») è incalzata da una percezione di sradicamento, di spossatezza, di sofferenza provati nella vita terrena («Come un bambino stanco ora voglio riposare / E la- scio la mia vita a te»). Nella vita di Giuni era presente il desiderio di un Amore divino, rappa- cificante, capace di placare l’erranza, la fatica, il mistero dell’essere nel mondo. La canzone Moro perché non moro fu concepita nel 1955, durante la quaresima, nel viaggio di ri- torno a casa dopo i vespri nella chiesa sarda di Valledoria. Giuni, che da tempo senza riuscirvi aveva provato a mettere in musica le parole di santa Teresa, incominciò improvvisamente, in macchina, a cantare una melodia chiara, ispirata ai versi della grande mistica. Per paura di di- menticare quelle parole e quella musica che le “dettavano dentro”, fu costretta a cantare per tutto il percorso: finalmente a casa, registrò quella canzone meravigliosa che sembrava lette- ralmente essere “piovuta dal cielo” e intitolata poi Moro perché non moro . Ancora una volta i versi narrano una vita dal percorso tortuoso: «Quanto è mai lunga all’esule / Questa affan- nosa vita, / Quanto mai duri i vincoli che m’hanno ormai sfinita». Eppure, nel momento di prostrazione estrema, balugina la possibilità di rimettere la propria esistenza in mani più grandi, abbandonandosi a Dio: «Per quello che ho nell’anima / Che posso fare, o vita, / Se non te stessa perdere / E andare in lui smarrita»? Giuni, prima della pubblicazione, volle sotto- porre questa canzone alle carmelitane scalze, or- dine fondato da santa Teresa: le suore del con- vento milanese, dopo un primo momento di stupore, ne furono entusiaste e da questo episo- dio nacque con l’artista una profonda amicizia. Nel 1999, a Giuni Russo fu diagnosticato un tumore: la donna visse la malattia senza alcuna autocommiserazione, addirittura spesso ironiz- zando su questa. Nel 2003, pur essendo reduce da un pesante ciclo di chemioterapia, salì sul palco di Sanremo per cantare la bellissima Mo- rirò d’amore , senza nascondere i segni della ma- lattia, e mostrando una eccezionale serenità d’animo, nonostante ogni speranza di guarigio- ne fosse svanita. A proposito di questa strug- gente canzone, Giuni dichiarò: «Pensate che io la canti per un uomo, per una mamma, per un figlio; io invece la canto per l’amore alto che è questa parola: morirò d’amore, morirò per te, in te». Nella notte tra il 13 e il 14 settembre 2004, all’età di 53 anni, Giuni Russo morì nella sua casa di Milano: le carmelitane scalze accolsero il suo funerale nella loro chiesa e il suo corpo ri- posa nella zona del cimitero a loro riservata. La superiore dell’ordine, madre Emanuela, durante il funerale, dichiarò che Giuni era stata una vera carmelitana, poiché con il suo canto ( carmen) , aveva profondamente rallegrato gli animi di tut- ti i fratelli. Oggi, grazie all’instancabile lavoro di Maria Antonietta Sisini, la musica di Giuni Russo non viene dimenticata, ma riproposta e finalmente apprezzata. Nel 2013 il gesuita Claudio Zonta, sulla «Civiltà Cattolica», in un lungo articolo monografico dedicato all’artista siciliana, sottoli- neò come «il suo canto ha saputo esplorare le differenti dimensioni della bellezza e della soffe- renza, come se fossero compagni di pari dignità e di uguale rispetto, anzi sembra che nel dolore ella abbia trovato quella “goccia di splendore” a cui ha sempre anelato». L UCA 1, 57-66.80 U n figlio è sempre se- gno dello sguardo benevolo del Signo- re, è prova e testimo- nianza del suo amore per un uomo e una donna che stanno fa- cendo storia assieme. Il vangelo, che è “la” buona notizia e narra la vita, non poteva non contenere quindi anche delle storie di nascite. Due nascite ci sono nar- rate nel Nuovo Testamento: due figli che solo il Signore poteva dare, due vite portatrici di novi- tà: Giovanni e Gesù. “Che sarà mai questo bambino?”: la nascita di Giovanni è fonte di gioia, i vicini si rallegrano ma portano nel cuore anche grandi domande, riconoscono che egli non è frutto umano ma dono. Luca colloca que- sto evento vitale nell’ambiente povero di un uo- mo e una donna che nella loro povertà, umiltà sono però in una tensione, nell’attesa del Mes- sia promesso; portano in loro un seme di spe- M EDITAZIONE Un nome nuovo per una vita nuova a cura delle sorelle di Bose El Greco, «San Giovanni Battista» (1600) Nella pagina successiva Alexander Ivanov, «Predicazione di Giovanni Battista» ( XIX secolo)

RkJQdWJsaXNoZXIy