donne chiesa mondo - n. 56 - aprile 2017
DONNE CHIESA MONDO 20 DONNE CHIESA MONDO 21 significa negare che nella nostra cultura si stia diffondendo una co- scienza superficiale di ciò che l’aborto comporta, come denuncia il Papa. Perciò non si devono dimenticare quelle donne che sono rima- ste con il cuore spezzato e che vivono un dramma esistenziale e mo- rale. Solitudine incomparabile, senso di colpa asfissiante, paura di se stesse, tristezza per quello che avrebbe potuto essere, senso d’irrever- sibilità nel suo aspetto più duro, impossibilità e incapacità di comu- nicare... Niente sarà più lo stesso. Il pentimento, in questo caso, è particolarmente doloroso. E il cammino della conversione tortuoso; pieno di paura e di senso di colpa (reale e necessario, ma delicato da gestire). Perdonare se stessa, quindi, è forse l’atto più difficile. Perché non è solo questione di gra- vità. Ci sono anche altri peccati che fanno gravi danni. Ma l’aborto ha per la donna una componente speciale: è legato al suo corpo e al- la sua anima. Significa interrompere, «togliere di mezzo», «strappa- re» la vita di un essere dentro il proprio essere. E, pur non essendo l’unica responsabile, c’è una differenza sostanziale rispetto all’espe- rienza degli altri: lei lo sperimenta in modo diretto, senza concessioni all’oblio. Perché l’organismo ha memoria, e ciò che accade vi rimane impresso, in un modo latente che diviene presente quando meno ce lo si aspetta. E poi restano le domande che non hanno più risposta: come sarebbe stata la sua vita ... e la mia? Dopo un aborto, la parola migliore dinanzi alla confusione e al dolore acuto è il silenzio. Accompagnare questo processo con rispet- to e tremito richiede persone lucide, sensibili e formate nello spirito di discernimento. Non basta la buona volontà. Perciò Papa France- sco esorta i sacerdoti a prepararsi per questo grande compito che presuppone il sapere accogliere la fragilità, riflettere con l’altro sulla serietà di quanto accaduto, e proporre un percorso — un cammino della carità — per compiere passi concreti nella conversione e nel pro- cesso di riconciliazione. «Siamo chiamati a far crescere una cultura della misericordia... in cui nessuno guarda all’altro con indifferenza né gira lo sguardo». La donna ne ha particolarmente bisogno, perché ha sperimentato in molti modi nel corso della storia che, solo per la sua condizione, il suo peccato è più grave. All’inizio della lettera apostolica Misericordia et misera , il Papa ri- corda, seguendo sant’Agostino, il momento in cui Gesù e l’adultera restarono soli; e come, in quell’istante di pietà e di giustizia, il perdo- no aprì un cammino nuovo: «Neanch’io ti condanno». E la donna non restò esclusa. >> 19 di battaglie, le associazioni di donne musulmane indiane sono riuscite a presentare alla Corte Suprema indiana le loro petizioni per mettere fine a quest’usanza. Ora la parola è passata alla Corte suprema di Delhi, che potrà anche dichiarare incostituzionale la pratica. Le’Jemalik a New York È il nome di un salone nella zona di Bay Ridge, Brooklyn. In arabo significa “per la tua bellezza” ed è già diventato un santuario per le musulmane di New York. Il negozio offre una vasta gamma di servizi estetici, dai capelli alla cura della persona. Dalla sua apertura, Le’Jemalik ha già attirato diverse clienti, musulmane ed ebree, ma si tratta di uno «spazio per tutte le donne», ci tiene a sottolineare la proprietaria. «Ho avuto clienti di altre confessioni religiose che si sono dette entusiaste del salone», ha raccontato la giovane trentasettenne che finalmente ha realizzato il suo sogno. R EPORTAGE di S ILVINA P ÉREZ Le lacrime di Lucia nella foresta del Chaco N on avere più scelta. Piangere in silenzio e non trovare una strada per- corribile. Sprofondare sempre più giù, in un burrone di cui non si in- travede la fine. Tutte queste sensazioni ha provato Lucia quando ha lasciato sua figlia, la piccola Mary, in una casa famiglia per donne che rinunciano alla maternità nel Paraguay. Per sempre. La sua bam- bina ha due anni, alcuni bimbi in quel centro sono alti il quadruplo di lei, rimasta fisicamente una lattante a causa di una malattia della crescita. Per arrivarci ha percorso a piedi strade di terra piene di bu- che che solcano campi di soia e decine di chilometri di natura selvag- gia della foresta. Il centro Casa Esperanza accoglie una trentina di bambini da zero a tre anni, tutti figli di donne sole, che non sono in grado di mantenere la propria prole. Ultima di cinque figli, anche Lucia all’età di tre anni è stata affidata a una coppia di campesinos molto poveri, morti quando aveva 16 anni. La sua famiglia d’origine non poteva prendersene cura per la grande povertà. Casa Esperanza si trova nella zona della foresta del Chaco, divisa tra Argentina, Bolivia, Brasile e Paraguay. Una zona ricchissima di biodiversità, seconda per estensione in America meridionale. Oggi quella foresta, sfruttata dall’agricoltura e dall’allevamento industriale è diventata una terra che espelle persone. Novemila famiglie all’anno
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