donne chiesa mondo - n. 49 - settembre 2016
DONNE CHIESA MONDO 8 DONNE CHIESA MONDO 9 Il semplice fatto di proiettarsi mentalmente nella maternità, una proiezione che nessuna donna può evitare, che voglia o meno dei fi- gli, questo semplice fatto implica una riflessione sulla dimensione re- lazionale dell’esistenza femminile. Ogni donna sa di disporre di que- sta capacità di avere e soprattutto di allevare figli, ossia di entrare con loro in un processo di umanizzazione e di socializzazione. Ecco perché sostengo che le donne non sono mai in grado di concepire la possibilità di un’esistenza puramente individuale, ossia di un’esisten- za che si dà un senso da sola, che non ha bisogno di nessun’altra esi- stenza per affermarsi e svilupparsi. In breve, le donne sono individui anti-individualisti. Per dirla in parole semplici, le donne non possono far finta che gli altri non esistano, mentre gli uomini ci riescono mol- to bene. Non dico che tutti gli uomini siano egoisti patentati e neanche che tutte le donne siano pure altruiste. Penso semplicemente che non si può far finta che le donne non siano state, per secoli, relegate nella sfera domestica. Questa storia ha ripercussioni su quel che significa essere donna oggi, ossia un individuo allo stesso tempo privato e so- ciale, segnato dalla responsabilità secolare del parto, della cura dei più anziani e dei più vulnerabili. Che differenza fa lei tra “femminile” e “femminilità”? Bisogna distinguere tra ciò che dipende dall’ordine delle rappre- sentazioni e ciò che dipende dall’ordine dell’esperienza vissuta della corporeità. Quando si ragiona in termini di femminilità e di virilità, si è in una prospettiva essenzialistica di proiezione di un ideale sulla realtà. Disponibilità sessuale, dedizione materna e dipendenza mate- riale da un lato, vigore carnale, autonomia conquistatrice e sovranità sociale dall’altro. Queste rappresentazioni appartengono a un altro tempo, il tempo in cui il sesso biologico degli individui assegnava lo- ro funzioni e ruoli precisi. Io rifiuto questo registro della femminilità e della virilità e propon- go d’individuare tutto ciò che il femminile e il maschile conservano di singolare in quanto modalità della costruzione identitaria con la quale dobbiamo tutti confrontarci. In un mondo in cui i ruoli e le funzioni non sono più assegnati all’uno o all’altro sesso, credo che dobbiamo più che mai riflettere sul significato che rivestono l’incar- nazione e la sessuazione della nostra esistenza. Di fatto, chi può pre- tendere di vivere come “antropo”, ossia come soggetto puro, fuori da ogni incarnazione? Nelle nostre società desessualizzate, è al contrario la piena padronanza della propria singolarità sessuata a essere il mar- chio stesso della soggettività. Da parte mia, propongo di reintrodurre la corporeità femminile e dunque anche il soggetto femminile nella riflessione femminista, per- ché mi sembra importante tener conto di quell’altro aspetto dell’emancipazione costituito per le donne dal presentarsi al mondo e agli altri in un corpo di sesso femminile. In cosa consiste la singolarità dell’“esperienza del femminile”? Mi piace definire l’esperienza del femminile come esperienza dell’incarnazione nel rapporto. Poiché le donne non possono vivere prescindendo dalla loro corporeità, e poiché sono dotate di una capa- cità materna, hanno un rapporto con il mondo che io definisco rela- zionale. La cosa ha chiaramente a che fare con la maternità, che è so- lo una potenzialità ma che produce effetti psichici, si concretizzi o meno. Tamara de Lempicka «Autoritratto sulla Bugatti verde» (1925)
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==