donne chiesa mondo - n. 49 - settembre 2016

DONNE CHIESA MONDO 38 DONNE CHIESA MONDO 39 L UCA 7, 37-38 «E d ecco una donna, una peccatrice, saputo che Gesù si trovava nella ca- sa di Simone il fariseo, portò un vaso di profu- mo; stando dietro presso i piedi di lui, piangen- do, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciu- gava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo». Anche oggi il Vangelo ci pone di fronte a una storia che parla di altri da noi — un fariseo, una peccatrice — ma che in fondo parla di cia- scuno di noi: storia che giudica l’infinita omis- sione in cui consiste il nostro peccato. Dimenti- chiamo facilmente ciò che non abbiamo fatto, la responsabilità che non abbiamo risvegliato in noi per rispondere agli appelli di quel prossimo preciso racchiuso nei volti di quanti abbiamo accanto. Ci sono un non fare, una negligenza spesso celati grazie allo loro invisibilità. Il testo biblico ci interpella su tali realtà, su tutto quanto non M EDITAZIONE Lo asciugava con i suoi capelli a cura delle sorelle di Bose Lara Sacco, «La peccatrice perdonata» (icona della collezione del monastero di Bose) Nella pagina seguente: Antonio Tempera, «L’adultera ai piedi del Maestro» L’incontro con Anghelopoulos era stato pre- ceduto, nel 1976, da quello con Manfred Eicher, il fondatore e direttore artistico di ECM (Edition of Contemporary Music), la casa discografica che fa conoscere e ospita, tra gli altri, musicisti quali Arvo Pärt, Giya Kancheli, Keith Jarrett. Attraverso, la tavolozza sonora della Karaindrou si arricchisce di colori inimmaginati prima: il sassofono di Jan Garbarek, «il suono ardente e sensuale della viola di Kim» (Kaskashian). Eleni Karaindrou si interessa a tutto ciò che nella musica contemporanea è ricerca in profon- dità, ma non è attratta dallo sperimentalismo fi- ne a se stesso. La domanda cruciale è se l’arti- sta, il musicista, possa essere sradicato dall’uma- no soffrire. La musica di Eleni si lascia bruciare dalla materia stessa cui cerca di dare voce: il muto destino degli esiliati, dei clandestini, degli incamminati nell’esodo dalla vita; la disperata solitudine di Medea abbandonata che decide di uccidere i suoi stessi figli. La sua arte ci dona emozioni profonde, esplorando zone irredente della nostra anima: ma come nella tragedia greca, la cantabilità struggente dei temi accompagna l’azione dram- matica alla sua catarsi. Malinconica è la sua musa, non è difficile piangere abbandonandosi al suo abbraccio, ma è un pianto che conduce a una strana felicità: lacrime come lavacro, catarsi, rigenerazione. «Prima di iniziare a scrivere sen- to dentro di me qualcosa come il travaglio del parto». È una musica che agisce maieuticamen- te sull’ascoltatore, come nei cori femminili delle musiche di scena per Medea , culmine della de- vastazione tragica e al tempo stesso ostinata promessa di rigenerazione: Indietro alle sorgenti risalgono i sacri fiumi. La giustizia e il mondo intero rinascono di nuovo Onore alle donne: sorge la loro era, Le loro vite sono coronate di gloria La musica di Eleni Karaindrou aiuta ancora a sognare, come cantano i versi della lirica di Christofis Rosa [Luxemburg]: Il mio nome è Rosa e io sono la canzone dell’anima sulla cima dei tetti di là dal vento. Cercai di cambiare il mondo e mi trasformai in un canto per salvare il sogno. La vena onirica non abbandona la musicista greca nemmeno nelle sue opere drammaturgica- mente più complesse: le musiche di scena per le Troiane di Euripide, un «grido contro la guer- ra»; The Weeping Meadow («Il prato che pian- ge», diventato Le sorgenti del fiume nella distri- buzione italiana); l’ Elegia dello sradicamento : «Il prato piange, ha sempre pianto, non importa quanto la gente continui a implorare. Ci sarà sempre un lamento per Astianatte, per una Ecu- ba». L’impiego degli strumenti folklorici greci — la lira costantinopolitana, il kanonaki , l’arpa, il ney , il santouri , il liuto, il daouli , «suoni dell’Oriente, greci ma anche globali» — avviene in modo non tradizionale, secondo un’intenzio- ne straniante: «Ero certa che soltanto questi suoni potevano dipingere il paesaggio delle donne troiane (...) che dettero una lezione di moralità e interiore grandezza ai conquistatori greci». Sono i suoni e i colori di una geografia interiore che canta lo sradicamento contempora- neo. Eleni Karaindrou sa che nessuna Itaca at- tende più Ulisse, ma la musica può indefinita- mente cantarne la nostalgia, rendendola presen- te nel desiderio, nel coraggio di continuare a sperare. All’aforisma di Garbarek, «si potrebbe dire che vivo in un vicinato spirituale, sparso geograficamente intorno al mondo», rispondo- no i versi di Georgios Seferis, che Eleni ama ri- petere per sé: «Ovunque io viaggi / la Grecia continua a ferirmi».

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