donne chiesa mondo - n. 48 - luglio 2016

DONNE CHIESA MONDO 6 DONNE CHIESA MONDO 7 ne dei figli. Non è più forte in tutto chiaramente. La donna è come una religione per i figli. La religione ci tocca nella coscienza, nel cuore, nel profondo. E la trasmissione dei valori da una madre ai fi- gli avviene in un modo molto interiore, intimo, e dunque agisce di più sui figli e farà di loro degli adulti con dei valori, soprattutto nell’amore. La riconciliazione passa, in qualche modo, per l’educazione... L’educazione, per me, è una condizione sine qua non affinché un intero popolo possa evolversi. In Rwanda è stata educata a «vivere insieme» una popolazione che si è lacerata durante il genocidio. Se qualcuno che non era un assassino lo diviene è perché qualcosa è ac- caduto. Che cosa è accaduto? Di fatto, ci si è resi conto che molti ruandesi sapevano leggere e scrivere, conoscevano la loro storia, la nostra storia vera, non quella rivista dalla colonizzazione. Ma si è an- che constatato che alcune persone non avevano capito. Ascoltavano radio R TLM [ritenuta complice del genocidio, avendo incitato a sradi- care i tutsi] ogni giorno, perché le divertiva, trasmetteva buona musi- ca, ma al tempo stesso le trascinava nell’ideologia del genocidio. Quanti leggevano giornali di fonti diverse e conoscevano altre lingue non si sono lasciati condizionare facilmente. Durante il genocidio, si promettevano anche ricompense a chi uccideva di più. E così è stato. Di fronte a tutto ciò, ci si è resi conto che l’educazione era veramente basilare. Ci parli del progetto che le sta a cuore... Oggi lo Stato ruandese si è dotato di un progetto che si chiama Je Suis Rwandais. Io aprirò una scuola materna che avrà lo stesso no- me. All’epoca della colonizzazione venivamo identificati come hutu o tutsi. Quella carta d’identità è stata abolita da tempo e ora veniamo identificati con la nostra vera identità: io sono ruandese prima di qualunque altra cosa. Desidero quindi che i bambini crescano in que- sto spirito, perché ho capito l’importanza dell’educazione. I bambini che hanno imparato la divisione, la sera in cucina con la madre o di- scutendone tra loro, sono diventati poi artefici del genocidio. Adesso bisogna fare in modo che i bambini abbiano la forza di dire «no, non è questo che ci insegnano a scuola». Perché allora a scuola ci ve- niva insegnata proprio la divisione. Oggi sono altri i valori con cui vorrei che i bambini crescessero: l’amore, la lotta contro l’odio, il «vi- vere insieme». Io sono ruandese. Negli anni che sono seguiti al genocidio, lei ha riflettuto molto sul tema della riconciliazione. Si è recata in Sud Africa, al Yad Vashem a Gerusalemme, per riflet- A pagina 6, l’incontro di Yolande con Patrice colpevole dell’uccisione di cento persone raccontato nel libro «Les blessures du silence» realizzato con il fotografo Alain Kazinierakis Nata in Rwanda nel 1954, Yolande Mukagasana è stata infermiera anestesista per 19 anni nel centro ospedaliero di Kigali, la capitale, poi ca- posala nell’ambulatorio che aveva aperto in quella stessa città. Vittima dei massacri che hanno devastato il suo paese nel 1994, è sopravvis- suta al genocidio dei tutsi ma ha perso la famiglia e gli amici. Nei cento giorni del genocidio, si è nascosta per la maggior parte del tempo nella boscaglia. È stata per- sino ospitata in una casa do- ve si trovava uno dei carne- fici. Rifugiatasi in Belgio, è stata naturalizzata nel 1999. Le sue competenze profes- sionali nell’ambito sanitario non sono state tuttavia rico- nosciute. Nel 1999 è tornata in Rwanda, accompagnata dal fotografo greco Alain Kazinierakis, per intervistare sia le vittime sia i carnefici del genocidio del 1994. Quel meticoloso lavoro ha dato vita al libro Les blessu- res du silence . Ma Yolande Mukagasana ha scritto an- che altri testi sul genocidio ruandese: opere teatrali, rac- conti, testi autobiografici. Nel suo libro La mort ne veut pas de moi racconta co- me ha vissuto il fatto di es- sere sopravvissuta, mentre suo marito, i tre figli, il fra- tello, le sorelle e altri fami- liari sono stati uccisi. Ora si reca spesso in Rwanda, ma non vi risiede stabilmente, perché perseguitata dai ri- cordi della tragedia. Yolande Mukagasana

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