donne chiesa mondo - n. 46 - maggio 2016

DONNE CHIESA MONDO 30 DONNE CHIESA MONDO 31 I ncontriamo la figura di Debora nel Libro dei Giudici e i re- dattori biblici dovettero considerarla importante se le dedica- rono ben due capitoli nello stesso libro, il quarto e il quinto, rispettivamente in prosa e in poesia. In essi viene narrata la stessa vicenda, ma con linguaggio e sfumature diverse: nella prosa troviamo la narrazione degli eventi durante il loro svolgimento, il canto — invece — celebra e narra quegli stessi eventi a posteriori, arricchendoli di numerosi particolari e insistendo sulla straordinarietà della figura di Debora. Il canto a lei attribuito è considerato uno dei gioielli della poesia biblica. Se, come dicono i rabbini, «nulla è a ca- so nella Bibbia», la presentazione di questo personaggio dovrà tener conto sia della trama narrativa sia dei dettagli che contribuiscono a costruirla. Il capitolo in prosa introduce la vicenda di Debora con uno sche- ma ricorrente all’interno del Libro: muore un giudice, Israele torna a peccare, allontanandosi così da Dio e cade in mano ai nemici. A quel punto, Israele alza il proprio grido al Signore per ottenere il suo aiu- to (4, 3). È a questo punto, nel pieno della sofferenza, che il narrato- re spiega che «in quel tempo era giudice d’Israele una donna» (4, 4). La funzione del giudice, shoftà , era molto importante, perché svolge- va due funzioni essenziali alla vita comune: quella di dirimere le ver- tenze giudiziarie tra i membri delle tribù di Israele e quella di gover- nare. Si trattava di una carica non elettiva, ma “carismatica”, come dice il testo biblico nel presentare i giudici: «Allora il Signore fece sorgere dei giudici, che li salvarono dalle mani di quelli che li depre- davano» (2, 16). Negli altri capitoli la presentazione del giudice si li- mita alla menzione del suo nome ed eventualmente a qualche notizia (3, 9.15; 10, 1; 11, 1; 12, 8; 12, 11), questo è l’unico caso in cui il narra- tore dice esplicitamente che si trattava di una donna, sintomo dell’ec- cezionalità del fatto che, tuttavia, non si teme di sottolineare e che, anzi, viene ampliato da altri dettagli: «una profetessa, Debora, mo- glie di Lappidot» (4, 4). La funzione religiosa di profetessa ( nevi’à ) era importante almeno quanto quella politica. Con questo termine si indica la moglie del profeta (per esempio in Isaia , 8, 3), ma in questo caso il narratore vuole indicare proprio l’attività profetica di Debora, come avviene anche per Culda ( 2 Re 22, 14-20). La menzione del suo nome proprio e il significato dello stesso contribuiscono a imprimere nel lettore l’immagine di una figura fuori dal comune. Nel mondo biblico, infatti, il nome proprio esprimeva il significato del ruolo del personaggio nella vicenda narrata e certamente facilitava la tradizione orale. Da quest’uso possiamo dedurre anche l’importanza che i nomi propri avevano nella cultura dell’epoca. La radice del nome “Debo- ra” sembra risalire ad una parola che significa “ape”, animale con cui Charles Landelle «Deborah» (1901)

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