donne chiesa mondo - n. 42 - gennaio 2016

L’OSSERVATORE ROMANO gennaio 2016 numero 42 Sua madre confrontava tutte queste cose nel suo cuore donne chiesa mondo La collaborazione tra donna e uomo Paradigma per la Chiesa Suor Pereira e il progetto per il Sud Sudan dove vivono e lavorano insieme religiose e religiosi da tutto il mondo È la prima volta che esiste ufficialmente un progetto comune frutto di un accordo formale e sostanziale tra l’unione generale dei superiori maschili e l’unione generale delle superiori femminili Religiosa spagnola di Gesù-Maria, Yudith Pereira Rico ha vissuto 17 anni in Africa occidentale dirigendo progetti educativi, pastorali e di promozione delle donne in Guinea e Camerun. Dal gennaio 2014 è la responsabile dell’ufficio internazionale di Solidarity with South Sudan. donne chiesa mondo Sud Sudan (fotografia di Paul Jeffrey) di G IULIA G ALEOTTI «Davvero Dio l’ha chiamata?» chiede, sgranando gli occhi, la nipotina di suor Yudith quando la madre le racconta la storia di questa zia che vive in Africa e che ora, giacché lavora per alcuni periodi anche a Roma, la piccola e i suoi genitori sono venuti a trovare nella città eterna. Probabilmente il nostro sguardo deve aver lasciato trasparire uno stupore simile, ascoltando il progetto a cui questa religio- sa spagnola lavora ormai da qualche anno in un Paese dilaniato da conflitti e con- trapposizioni di una violenza senza ugua- li. Un progetto che non ha pari nella Chiesa cattolica; Solidarity with South Su- dan rappresenta, infatti, un paradigma inedito per la vita religiosa: congregazioni diverse sia femminili che maschili; prove- nienti da ogni parte del mondo, vivono e collaborano insieme per dare la risposta più efficace possibile alle necessità, enormi e urgenti, di questo Paese africano. Si la- vora principalmente su salute, istruzione, alte al mondo: muore di parto una donna su 7; il 50 per cento dei bambini soffre di grave malnutrizione; e se il 41,5 per cento frequenta la scuola primaria, solo il 2,3 quella secondaria. I bambini scolarizzati sono il doppio delle bambine; 8 donne su 10 sono analfabete, e almeno il 40 per cento delle donne subisce violenza dome- stica. Istruzione, salute, guerra: dall’infanzia all’età adulta sono sempre le donne a pagare il prezzo più alto? La violenza che subiscono le donne nel Sud Sudan, come in molti altri luoghi del mondo, è un problema endemico. È una realtà doppiamente presente: non solo per la crescente crisi e il conflitto armato, ma anche perché è una caratteristica costante e quotidiana nella cultura del Paese. Si tratta di un problema così fortemente ra- dicato che ha, ha avuto e continuerà ad devono partecipare a questi programmi per riprendersi. Le Chiese — non solo quella cattolica — lavorano direttamente con le donne, riuscendo a fare riscoprire loro la propria dignità, e a conoscere i propri diritti. Ci sono ancora molte sfide pastorali, come far accedere ai sacramenti donne costrette al matrimonio o alla poli- gamia. La speranza però c’è: le donne so- pravvissute al conflitto, di confessioni di- verse, si stanno riunendo per sostenere vi- cini e familiari. Presiedono colloqui tra le varie comunità tribali per promuovere la guarigione e la fiducia reciproca di fronte all’insicurezza dominante, come base per costruire la pace. È così importante ascol- tare le donne e pensare con loro per trova- re insieme una soluzione al conflitto arma- to. La loro presenza nei dialoghi istituzio- nali di pace porterebbe a una differenza qualitativa: non si parlerebbe solo di poli- tica e di potere, ma si metterebbero in lu- granti, ma non era un progetto che partiva dai vertici. Dopo la richiesta dei vescovi, vi è stata — ed è durata qualche anno — una attenta fase preparatoria volta a stu- diare situazioni e possibilità: giacché l’esi- to è stato positivo, il progetto è ufficial- mente partito nel 2008. Il nostro lavoro è primariamente quello di costruire centri e scuole di formazione per insegnanti, infer- mieri, ostetriche, agenti pastorali e perso- nale agricolo. Il nostro è un lavoro di em- powerment delle persone, di prepararle a fare. Solidarity, che dispone attualmente di cinque comunità miste intercongrega- zionali che servono il popolo del Sudan del Sud, è stato capace d’immaginare e di realizzare una forma profetica di vita reli- giosa per rispondere ai bisogni del Paese. Siamo insieme! Le faccio un esempio sem- plice: qui quando partiamo per un viag- gio, preghiamo il nostro fondatore di assi- sterci; con Solidarity diciamo «che tutti i fondatori ci assistano!». Religiose e religiosi che vivono, decidono e la- vorano insieme: una bella novità! Solidarity non solo riunisce le forze del- le diverse congregazioni collaborando con i vescovi nella loro missione evangelizza- trice, ma è anche una comunità che dà una testimonianza reale di unità nella di- versità, di inclusione e di parità tra uomini e donne. Una testimonianza importante per la Chiesa e, soprattutto, per la società divisa e discriminatoria del Sud Sudan. Certo, in generale nelle missioni in Africa c’è molta collaborazione tra gli ordini (mentre in Europa, ambito che io cono- sco, è molto diverso). E comunque Solida- rity compie un passo ulteriore. Africani, americani, asiatici ed europei: uomini e donne vivono, collaborano e lavorano in- sieme sia a livello di governo che nelle co- munità. Da Roma ci occupiamo di comu- nicazione, relazioni con altre congregazio- ni, agenzie, ricerca di fondi, reclutamento; invece tutta la parte decisionale si fa lì. Effettivamente è un miracolo. Lavoriamo insieme, e lavoriamo benissimo insieme! È un modello, un paradigma di vita religio- sa che funziona. Siamo veramente comple- mentari. Quello che è un problema per noi, non lo è per i religiosi, e viceversa: vi- vendo e lavorando insieme impariamo tut- ti, ad esempio, a relativizzare. Impariamo ogni giorno. Tutti fanno tutto: non ci so- no ruoli da maschio e ruoli da femmina. Anche i religiosi cucinano (alcuni sono cuochi eccezionali!), dividiamo tutto il la- voro domestico e di cura delle nostre case. Ovviamente devi imparare come vivere in- sieme. Ma sono convinta che la formazio- ne religiosa in questo aiuti molto: a diffe- renza dei sacerdoti, quando un uomo en- tra in un ordine religioso, di solito gli vie- ne insegnato a cucinare, a pulire; come re- ligioso, non hai nessuno che ti serva, sic- ché devi imparare! Credo, del resto, che il primo requisito per poter essere lì insieme è di essere felici con la propria vocazione, con quello che si sta facendo. La vostra varietà come è stata accolta dalla popolazione locale? Il fatto che siamo religiosi e religiose in- sieme è veramente un vantaggio in molti modi. Innanzitutto perché abbiamo origi- ni diverse, da tutto il mondo. Consideri che in Sud Sudan ci sono enormi proble- mi tribali, quindi paradossalmente la no- stra varietà finisce per essere un valore. Una varietà presente anche a livello di vo- lontari laici, maschi e femmine (ne abbia- mo un grande bisogno!). Certo, la popo- lazione ha dovuto conoscerci: ma superata la diffidenza iniziale, la risposta è stata molto positiva. L’idea, del resto è quella di consegnare, alla fine, il progetto alla Chiesa locale, non di essere lì per sempre. Magari poi potremmo importare il model- lo in altri Paesi! Per concludere, qual è secondo lei oggi il pro- blema più urgente? Il vero problema — in occidente come in Africa — è quello della paura. Se c’è la paura, la fede manca. La prudenza è qual- cosa di diverso, io parlo della paura che porta alla stregoneria e al devozionismo. Dobbiamo liberarcene. Ci sono due modi di vivere la fede: pensare di doverla meri- tare o scoprire di essere amati. Scoprendo che sei amata, ringrazi. Scegliere di crede- re è accettare che Dio ti ami. Benedetto XVI ci ha scritto un’enciclica: Dio è amore! sviluppo pastorale e formazione agricola. «Scintille luminose di un miracolo in at- to», le definisce suor Yudith Pereira Rico, ingegnere agronomo di formazione («Quello che ho imparato all’università a Madrid lo applico costantemente nel mio lavoro missionario»). Iniziamo dal Sud Sudan... È il Paese più giovane al mondo, con meno di tre anni di vita. Prima faceva par- te del Sudan e prima ancora dell’Egitto. Dopo tre lunghe guerre civili nell’ultimo secolo, culminate nella indipendenza otte- nuta nel dicembre 2013, la lotta per il po- tere politico ed economico ha scatenato la prima guerra civile del nuovo Paese, che continua ancora oggi. La pace e l’identità nazionale non hanno avuto il tempo di consolidarsi e così lo scontro per il potere si è trasformato in una lotta tribale, pros- sima al genocidio. Parliamo dello Stato più fragile del pianeta, classificato al livel- lo 3 di emergenza, il più alto; un dramma continuo e silenzioso che più di duecento agenzie e ong internazionali, tra cui un gran numero di Caritas di diversi Paesi, cercano di alleviare. Bastino alcuni dati: l’età media è di 16,8 anni e la speranza di vita di 55; la mortalità materna è tra le più avere conseguenze devastanti sulla salute, il benessere e il futuro di intere generazio- ni di donne. Eppure, sebbene in questo scenario di guerra voluta e mantenuta da- gli uomini le donne siano le vittime per eccellenza, esse vanno avanti con pazienza e con fede, lottando per sopravvivere. E per far sopravvivere le loro famiglie. Che cosa fa la Chiesa? Attraverso laici, sacerdoti, religiosi e so- prattutto religiose, la Chiesa locale lavora assistendo le vittime nei campi per gli sfollati. Conduce programmi che mirano a fare superare i traumi e favorire la riconci- liazione. Le storie sono terrificanti, lascia- no ferite indelebili: si cerca di aiutare le vittime a superarle e a conviverci in modo da divenire a loro volta capaci di sanare gli altri; anche molti sacerdoti e religiosi ce anche temi chiave come l’educazione, la salute e la giustizia, temi dei quali di soli- to gli uomini non parlano. È questo il contesto in cui opera Solidarity with South Sudan? Solidarity è un’associazione di congre- gazioni maschili e femminili — attualmen- te i sostenitori sono più di duecento — che ha risposto alla chiamata dei vescovi locali che domandarono alle religiose e ai reli- giosi presenti nel Paese di fare qualcosa, in particolare a livello di ospedali e scuo- le. È la prima volta che esiste ufficialmen- te un progetto comune frutto di un accor- do formale e sostanziale da parte del- l’unione generale dei superiori maschili e dell’unione generale delle superiori fem- minili. In Spagna ci fu qualche forma di collaborazione nel lavoro in favore dei mi- Se si guarda alla Chiesa dall’esterno, l’impressione che riceviamo da ogni cerimonia vaticana, qualsiasi riunione di alto livello che si occupa del futuro, qualsiasi momento di comunicazione con l’esterno, è che siamo di fronte a un mondo rigorosamente maschile, nel quale non esiste collaborazione con donne. Le donne — e ben si sa che sono molte e indispensabili nella vita della Chiesa — non compaiono, non si sente la loro voce, e quindi spesso si deduce un po’ frettolosamente che obbediscano in silenzio. Per fortuna, invece, non è così: non solo negli anni più recenti, ma in tutta la millenaria storia della Chiesa la collaborazione fra donne e uomini è stata importante e fruttuosa. In questo numero anche la santa del mese, Paola, può vantare una storia di collaborazione con Girolamo proprio agli albori della vita cristiana: dal loro sforzo comune è nata la Vulgata, cioè la traduzione latina della Bibbia su cui si è fondata per secoli la tradizione scritturale. E la nostra pagina teologica si apre quest’anno a una nuova serie — le figure femminili nell’Antico Testamento — che ci raccontano grandi vicende di collaborazione fra matriarche e patriarchi, solidale e talvolta anche conflittuale. In tempi recenti, la crescente autonomia raggiunta dalle donne nella vita sociale ha favorito il nascere di nuove e interessanti forme di collaborazione: pensiamo ad esempio allo stretto rapporto fra Hans Urs von Balthasar e Adrienne von Speyr, medico e mistica, dal quale sono nati importanti e innovativi scritti teologici. E non possiamo certo dimenticare la fondatrice del movimento dei Focolari, Chiara Lubich che, oltre a essere la prima e finora unica donna a fondare un movimento ecclesiale, ha impostato tutta la sua organizzazione sulla collaborazione fra donne e uomini, declinata negli anni con grande creatività in molti settori. La proposta di Lubich è chiaramente quella di una Chiesa che sia fondata sulla collaborazione fra donne e uomini, una Chiesa che faccia della differenza fra i sessi la sua fonte di ricchezza, e il movimento da lei fondato si propone come esempio profetico. In questo numero presentiamo altre esperienze vive e oggi in crescita di collaborazione fra i sessi, ma anche storie del passato, importanti perché rivelano le antiche radici di questo lavorare insieme, nella Chiesa e per la Chiesa. Prenderne atto è molto importante, perché è il primo passo per pensare a una Chiesa più viva e calda, una Chiesa che non si limiti a difendere la differenza, ma la scopra al suo interno, e decida finalmente di viverla in tutte le sue forme vitali. ( lucetta scaraffia )

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