donne chiesa mondo - n. 38 - settembre 2015

I donne chiesa mondo settembre 2015 Nata nelle Filippine, Judette Gallares è una religiosa del Cenacolo che si dedica ai ritiri e alla direzione spirituale. Do- cente di teologia e spiritualità all’Istituto di vita consacrata in Asia (a Manila, nelle Filip- pine) e visiting professor di spiritualità e cultura all’uni- versità di San Giuseppe di Macao, attualmente dirige la missione del Cenacolo in Cina e lavora con i migranti a Ma- cao. È autrice di diversi libri e articoli sulla spiritualità e la vita consacrata. La famiglia filippina alle prese con la migrazione Separati per amore di J UDETTE G ALLARES l ritmo vorticoso del mondo attuale ha posto la vita familiare in una situazione molto complessa. È come se fosse sotto l’assedio delle tante sfide e dei problemi con cui si deve confrontare oggi. La Chiesa è ben consapevole delle spaccature che attualmente si creano nelle famiglie. Annunciando l’indizione, da parte del Papa, di un Sinodo straordinario sulla famiglia nel 2014, il direttore della Sala stampa della Santa Sede ha affermato: «È giusto che la Chiesa si muova comunitariamente nella riflessione e nella preghiera e prenda gli orientamenti pastorali comuni nei punti più importanti — come la pastorale della famiglia — sotto la guida del Papa e dei vescovi». Durante la visita nelle Filippine nel gennaio 2015, nel discorso alle famiglie, Papa Francesco ha osservato che «innumerevoli famiglie soffrono ancora le conseguenze dei disastri naturali. La situazione economica ha provocato la frammentazione delle famiglie con l’emigrazione e la ricerca di un impiego, inoltre problemi finanziari assillano molti focolari domestici. Mentre fin troppe persone vivono in estrema povertà, altri vengono catturati dal materialismo e da stili di vita che annullano la vita familiare e le più fondamentali esigenze della morale cristiana». Quali sono le sfide che deve affrontare la vita familiare in Asia come conseguenza dell’emigrazione e della sua femminilizzazione? Quali sfide pongono questi cambiamenti alla missione evangelizzatrice della Chiesa? Sono queste le domande che intendiamo affrontare. Quando si parla della struttura familiare di tante culture asiatiche, sono più le analogie delle differenze. Le famiglie sono molto unite, piuttosto gerarchiche e allargate, composte da persone di diverse generazioni o gradi di consanguineità che vivono sotto lo stesso tetto o molto vicine tra loro. Tradizionalmente ci si aspetta che sia il padre a lavorare per mantenere la famiglia. Anche la madre può lavorare, ma spesso rimane a casa per accudire i figli. Sebbene sia in aumento il numero delle donne asiatiche che scelgono di seguire una propria carriera fuori casa o che decidono di lavorare per realizzarsi o per provvedere ai bisogni finanziari della famiglia, in molte famiglie asiatiche di solito è la madre a rimanere a casa o ad averne la responsabilità. Tuttavia, la grande povertà, gli squilibri socio-economici che minacciano la vita e la richiesta illimitata nel mercato mondiale di forza lavoro e di prodotti a basso prezzo stanno alimentando il movimento migratorio, modificando il panorama della famiglia asiatica tradizionale. La realtà della migrazione umana esiste sin da tempi antichi. Conosciamo racconti biblici di migrazione, che mostrano schemi della migrazione umana che attraversano il tempo, la storia e le culture. Le persone saranno sempre spinte a cercare la vita, non la morte (cfr. Deuteronomio , 30, 19 b), correndo dei rischi per la loro sopravvivenza, la sicurezza, il progresso e l’amore. In Asia, il fenomeno della migrazione ha una storia lunga e sfaccettata. A partire dalle tribù nomadi che hanno attraversato le vaste distese del continente asiatico alla ricerca di acqua e pascoli, le carovane commerciali che hanno percorso la famosa via della seta e gli eserciti invasori, che hanno cacciato popoli e comunità dalle loro terre ancestrali, la migrazione ha sempre caratterizzato il continente asiatico in ogni tempo. Nelle Filippine, negli ultimi quarant’anni si è verificata una crescita immensa dell’emigrazione di lavoratori. Secondo le statistiche governative, il numero tendente alla crescita dei filippini in tutto il mondo è stimato intorno ai dieci milioni e mezzo, ovvero quasi l’undici per cento della popolazione del Paese. Ogni giorno in media quattromila lavoratori, noti come Overseas Filipino Workers (Ofw), lasciano la loro patria per trovare lavoro in più di 193 Paesi nel mondo. Gli Ofw formano il gruppo di migranti più grande della nuova economia globale. Questo perché i cittadini filippini guadagnano di più all’estero che nel loro Paese. Tuttavia, a causa della crescente competizione tra altri Paesi dell’est e del sud- est asiatico, ciò che promette un lavoratore filippino non è meramente un lavoro di buona qualità, ma, in fondo, un lavoro a basso prezzo. Negli anni Ottanta dello scorso secolo, il bisogno globale di lavoratori si è spostato verso nuovi settori, dischiudendo possibilità d’impiego per le migranti donne nell’ambito delle vendite, della salute e dei servizi, del quale i lavoratori domestici costituivano una larga fetta. Dopo il 1992 la migrazione femminile ha subito una forte crescita, spinta soprattutto dalla richiesta di bambinaie o badanti nelle economie asiatiche sviluppate, come il Giappone, Singapore, Hong Kong, Macau e Taiwan, dove la richiesta di lavoratori nel settore dell’accudimento è particolarmente forte. Le donne sono ora più numerose degli uomini. Definito femminilizzazione della migrazione, tale fenomeno è stato prodotto da cambiamenti nel mercato globale del lavoro, dove si osserva una crescente difficoltà degli uomini a trovare un impiego a tempo pieno nel proprio Paese o in quelli di destinazione, che costringe le mogli o le figlie al ruolo di principali artefici del mantenimento della famiglia. Donne del sud-est asiatico (e anche altre) sono giunte in Paesi dell’Asia orientale, specialmente in Giappone e in Corea, in risposta a una grande richiesta di lavoratori del sesso, esponendo così le migranti ad abusi e al traffico di persone. La nozione di femminilizzazione è collegata alla questione della differenza sessuale: le esperienze dei migranti uomini sono ben diverse da quelle dei migranti donna. Una lente che tenga conto della differenza permette di modificare la messa a fuoco, concentrandola sull’effetto e sull’impatto che la migrazione, e specialmente la femminilizzazione della migrazione, ha sulla vita familiare e sulle donne migranti. Ricerche compiute sulle donne migranti asiatiche hanno indicato che i migranti sono abituati a trattare l’emigrazione come qualcosa fatto “per il bene della famiglia”. Fa parte del sacrificio materno che quelle donne compiono per permettere alle loro famiglie di sopravvivere e godere di una vita migliore. Primo, c’è la separazione della famiglia, spesso per lunghi periodi, con i figli che crescono senza padre, senza madre o senza nessuno dei due. Il cardinale Tagle, arcivescovo di Manila, di recente ha espresso la sua preoccupazione per la piaga dei filippini che, a causa della povertà, sono costretti a recarsi all’estero per trovare lavoro e guadagnare abbastanza per mantenere le famiglie lasciate a casa. Molte coppie si separano non per disaccordi matrimoniali, ma per amore, un amore disposto a sopportare il dolore della separazione per il bene della famiglia. Secondo, ci sono la mutata struttura familiare e l’emergere di “case transnazionali” o “maternità transnazionali”. Basandosi su numerose esperienze degli Ofw e sugli studi compiuti in diverse discipline, l’impatto sulla famiglia della partenza della madre è molto più grande rispetto a quando sono i padri a lasciarla. Quando è la madre a migrare, l’organizzazione della vita subisce molti più adattamenti per colmare il vuoto nella responsabilità di accudimento che solitamente si assume la madre. Quando invece sono i padri a lavorare all’estero, le madri continuano a fornire cure e a svolgere altri ruoli che prima spettavano al padre. Le donne che lasciano a casa i figli sperimentano un fenomeno definito “maternità transnazionale”. Separati dalle distanze, i rapporti familiari vengono mantenuti con l’aiuto delle tecnologie delle comunicazioni. Terzo, avviene una inversione dei ruoli di genere. Una moglie che migra a causa del lavoro diventa la figura che mantiene la famiglia, mentre il marito deve prendersi cura dei figli e della casa. Quando il marito che rimane a casa non è in grado di svolgere questo ruolo in seno alla famiglia si verificano conflitti matrimoniali. In molti casi si è constatata l’incapacità dei padri di assumere in modo efficace il ruolo materno. Con il ribaltamento dei ruoli, alcuni perdono il proprio senso di mascolinità mentre altri si rifugiano nell’alcol e nel sesso per sfuggire al loro senso di fallimento. In tali situazioni i bambini diventano più vulnerabili. È possibile che ad altri membri della famiglia venga chiesto sostegno nell’accudimento, così da rassicurare i migranti sul fatto che le famiglie lasciate a casa, specialmente i bambini, saranno nelle mani di parenti. Quarto, è inevitabile che nel lavoratore migrante avvenga un cambiamento personale. Le Nazioni Unite hanno osservato che «sebbene tutti i migranti possono essere agenti di cambiamento», è molto più probabile che le donne migranti vedano ostacolato il loro sviluppo personale. Tuttavia, in qualche caso le donne tendono a considerare l’emigrazione più come parte del loro sviluppo personale, poiché permette loro di sfuggire dalle convenzioni sociali, acquisendo più spazio e libertà personale e uno status economico e sociale più elevato. Quinto, avvengono cambiamenti nel sistema di valori della famiglia. Con un reddito più alto rispetto a quanto guadagnato nel proprio Paese, i migranti tendono a sperperare il loro salario in consumi inutili, acquistando cose per la loro famiglia al fine di compensare la loro assenza da casa o di esibire agli altri una “immagine di prosperità”. Il concetto di vita migliore viene assimilato all’acquisizione di più beni materiali. I migranti privi di forza psicologica e spirituale tendono a rispondere alla solitudine, all’alienazione e alle condizioni di lavoro oppressive attraverso il consumo, il materialismo, il sesso e il gioco d’azzardo. Questi cinque cambiamenti non sono i soli a incidere sull’individuo e sulla famiglia. Ma sono abbastanza pervasivi da sfidare la Chiesa a rispondere ai bisogni pastorali pressanti delle famiglie attuali. La Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche (Fabc), come organismo, da molto tempo è consapevole dell’impatto della migrazione in Asia. Sostiene che la migrazione non può essere scissa dal complesso intreccio di fattori sociali, economici, di classe, religiosi e politici che interagiscono per allontanare le persone dalla loro patria. Riconoscendo l’urgente bisogno di prendere sul serio le conseguenze della migrazione sul matrimonio e sulla vita familiare, la Chiesa in Asia è chiamata ad «accompagnare il migrante come persona umana, seguendo l’esempio di Cristo stesso. Questo cammino della Chiesa con il lavoratore migrante è un segno della solidarietà nella Chiesa universale e una partecipazione alla missione evangelizzatrice comune affidata a tutti i seguaci di Cristo». I vescovi hanno concluso che «i lavoratori migranti e le loro famiglie hanno urgente bisogno di assistenza pastorale dalle Chiese dei Paesi di origine e di accoglienza». È evidente che si aprono molte possibilità al ministero. Vorrei menzionarne alcune: nel servizio di accompagnamento della persona del migrante e della famiglia lasciata a casa, occorre offrire accompagnamento psicologico e spirituale, formazione ai valori, consulenza matrimoniale, assistenza socio-culturale per aiutare negli adattamenti interculturali. Il ministero della vita familiare nelle parrocchie può andare incontro alle famiglie lasciate a casa, offrendo loro sostegno morale e spirituale e organizzando incontri familiari, specialmente quando il migrante ritorna dopo una lunga assenza. Le diocesi dei Paesi che accolgono i migranti sono invitate a fornire avverranno nella loro vita, offrendo loro conoscenze concrete, come la gestione del reddito. Abbiamo visto che con la globalizzazione sempre più grande del mondo, la migrazione accelera a un ritmo veloce, incidendo sulle famiglie e gli individui, specialmente con la femminilizzazione della migrazione. L’immagine della famiglia è legata alla sua trasformazione dalla sua forma tradizionale in un qualcosa che si sta ancora sviluppando, come l’emergente struttura familiare transnazionale. La Chiesa è chiamata a offrire non solo orientamenti pastorali per il ministero delle famiglie, ma anche servizi immediati e di sostegno alle persone e alle famiglie per rafforzare la loro fede, per aiutare i migranti ad adattarsi a nuove culture, per consolidare il loro rapporto in famiglia malgrado le distanze, e per chiamarli a essere evangelizzatori della Buona Novella ovunque si trovino. La Buona Novella non deve essere solo predicata e insegnata, ma anche vissuta e testimoniata nelle situazioni concrete di ogni giorno tra persone di molte fedi e culture. l’autrice Madonna filippina accompagnamento pastorale, in particolare a quanti devono confrontarsi con la solitudine, le tentazioni, un trattamento ingiusto sul lavoro e altre difficoltà. Le chiese, le case religiose e i centri pastorali sono chiamati a offrire conforto e ospitalità al migrante che si sente smarrito o è privo di lavoro. I governi e le organizzazioni non governative, insieme con la Chiesa, sia nei Paesi di origine sia in quelli di accoglienza, sono chiamati a collaborare e a formare una rete per preparare i migranti e le loro famiglie ai cambiamenti che

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