donne chiesa mondo - n. 37 - luglio 2015

donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne Dal Paraguay alle Madres de Plaza de Mayo I tanti colori della storia di Esther di G IULIA G ALEOTTI L a prima cosa che colpisce, entrando nella piazza, sono i colori. Il prato, le bandiere, i toni della Casa Rosada, ma anche quelli del Banco de la Na- ción Argentina e della cattedrale, sulla sinistra. Eppure, a metter bene a fuoco gli spazi, non v’è nulla di particolarmente sgargiante in Plaza de Mayo nel cuore di Buenos Aires: il punto è che la storia delle Madres e, con loro, la storia delle vittime della dittatura argentina, è — per chi non l’ha vissuta in pri- ma persona — una storia in bianco e nero. È, infatti, la storia dei volti sorridenti che rimbomba dalle migliaia di fotografie sventolate, nella disperazione, da chi non si è voluto rassegnare alla scomparsa dei propri cari, inghiottiti nel silenzio assordante della Guerra Sucia. Eppure, scavando un po’, ci si accorge che nelle vicende di questo popolo in- domito e delle sue Madres, di colori ce ne sono migliaia. È il caso della storia di Esther Ballestrino, paraguaiana paladina dei deboli che, nel tentativo di sfuggire alla dittatura nel suo Paese, si rifugia nella vicina Argentina, finendo così in- ghiottita da un altro disumano regime. I colori della storia di Esther sono, innanzitutto, i colori di Encarnación, terza città del Paraguay, dove la bimba nasce nell’inverno del 1918, il 20 gennaio. Esther è vispissima sin da piccola, in famiglia, con gli amici, nello studio. E mentre si diploma come maestra prima e si laurea, poi, in biochimica e farmacia all’università di Asunción, è già attivissima in favore degli ultimi e dei persegui- tati. Sostiene il Partito Revolucionario Febrerista d’ispirazione socialista e, men- tre infuria la dittatura di Morínigio (1940-1948), a 28 anni è tra le promotrici della Unión Democrática de Mujeres, che si scioglierà l’anno dopo per dare ori- gine al Movimento Femenino Febrerista de Emancipación. È il 1947. Il regime, però, non perdona: Esther si trova dunque costretta a scappare nella vicina Ar- gentina, dove si sposa con Raymundo Careaga. Oltre ai colori della passione politica, gli anni successivi hanno i colori di una vita che scorre febbrile e appassionata a Buenos Aires. Nascono tre figlie — Esther, Mabel e Ana María — ma la madre riesce comunque a districarsi tra gli impegni, proseguendo nella sua professione di biochimica. Tutto nello stesso giorno Maddalena, santa del mese, raccontata da Teresa Ciabatti Nata e cresciuta a Orbetello, Teresa Ciabatti ha scritto i seguenti romanzi: Il mio paradiso è deserto (Rizzoli, 2013), Tuttissanti (Il Saggiatore, 2013), I giorni felici (Mondadori, 2008), Adelmo, torna da me (Einaudi Stile Libero, 2002). Collabora con La Lettura e Io Donna. Giovanni Bellini, «Madonna con Bambino e le sante Caterina e Maria Maddalena» (1490 circa, particolare) A quindici anni Maddalena aveva vissuto molte esperienze: pasticche, sesso in chat con sconosciuti, sesso a tre. Sì, lei aveva vissuto. Poi però quella che le era sembrata vita, di- stinzione di privilegio — «tutti mi vogliono» — era diventata colpa. È colpa mia, si ripeteva da un mese. Per quello che ho fatto Dio mi ha punita, si rannicchiava nel letto, le persiane aperte, fuori la notte, si accoccolava in posizio- ne fetale. Lui era sparito il 12 marzo. Uscito per anda- re a vedere la partita al bar, mai più tornato. Nessuno l’aveva visto. Malore, sequestro, allon- tanamento volontario. «Se fossi stata buona — si ripeteva Maddalena — se avessi studiato, se non fossi uscita di nascosto». E intanto era passato un mese. Un mese sen- za papà. Con difficoltà aveva ripreso la vita di sempre. Se la prima settimana non era andata a scuola, poi era dovuta tornare. Tutti sapeva- no e la trattavano bene. Di più: con pena, pic- cola Maddy, povera Maddy. Nessun maschio però le chiedeva di andare in bagno, o di vedersi in palestra. Cos’era suc- cesso? Nessuno più la desiderava. Eppure era sempre lei: stessi occhi azzurri, stessa bocca piena, stesse gambe lunghe. Nei corridoi vedeva gli altri amoreggiare, oh le sembrava che il mondo intero amoreggiasse, quanto amore intorno a lei! Vedeva le vite de- gli altri andare avanti: Simona si era messa con Gianluca, Giada aveva fatto sesso con Federi- co, pensava di iniziare una storia, ma lui si era messo con Carla. Dennis aveva chiesto a Stefa- nia di vedersi di pomeriggio, lei era indecisa, preferiva Paolo, ma Paolo voleva Maddalena, lo sapevano tutti. Anche se adesso Maddalena si domandava se fosse ancora così. Non che le piacesse Paolo, non le era mai piaciuto. La vita di tutti procedeva, tranne la sua. Lei era ferma al 12 marzo, inchiodata laggiù, quan- do invece erano passati due mesi, già due mesi senza papà. «La colpa è mia? — si torturava Maddalena — Davvero Dio mi ha punita?». Giorno dopo giorno tuttavia la colpa si con- fondeva col privilegio perduto («Tutti mi vo- bero potuta liberare dall’idea — presto ossessio- ne — che Dio ti vede e punisce. O premia. E dunque nel ricordo: lei corre su per le sca- le, entra nella sua stanza, guarda fuori dalla fi- nestra, al punto più lontano. E allora lo vede. Una figura piccola piccola in fondo alla strada. Maddalena non vuole gridare, ha paura che si dissolva, che sparisca di nuovo. Smette persino di respirare. Lui sempre più vicino. È davanti casa, apre il cancelletto. Lei ancora immobile alla finestra. Sente le voci al piano di sotto, la mamma che piange. I passi, sente i passi pesanti che non sentiva da mesi, li risente! E la porta della stanza si apre, e appare la figura scontornata nella luce, tanto che lei deve strizzare gli occhi per metterlo me- glio a fuoco. Oh, i suoi capelli hanno un alone argentato. Nella sua mente succede tutto lo stesso gior- no. Colpa, redenzione, e risurrezione. gliono»). Insieme al padre, svaniva anche lei, lei deside- rata dai maschi, lei invidiata dalle femmine. Si allontana- vano insieme, padre e figlia, giorno dopo giorno. Sul ve- tro della finestra di camera, la sua immagine riflessa le pare- va sempre più evanescente, un’immagine che si sovrappo- neva al campo fuori, alla li- nea di palazzi sul fondo, il punto più lontano, e no, pa- pà non era neanche laggiù. In quel punto spariva lui, e anche lei. Non era solo lotta contro l’assenza la sua. Stava diventando altro, sopravvi- venza, foga per non dissol- versi anche lei. Lei c’era an- cora! Era qui — avrebbe volu- to gridare in piedi sulla fine- stra — «Guardatemi, amate- mi!». Nella sua mente succede tutto lo stesso giorno. Tre mesi. A tre mesi senza papà, lei si avvicina a Paolo e gli dice che deve parlargli, una cosa privata, bagno fem- mine. Nel bagno lo bacia. E lo bacia ancora, mentre chiede — ansiosa, disperata — se la desideri: «Dimmi che mi vuoi sempre». E lui dice sì, intontito dall’eccitazione, dice sì. Allora succede qualcosa. Maddalena si ferma. Pensa: «Papà». Pensa: «Dio mi ve- de». Nella sua mente succede tutto lo stesso giorno. Colpa e redenzione. Va bene, gli ha tirato giù i pantaloni, ma poi basta. Pec- cato a metà. «Quasi non pec- cato, mio Signore». Nella realtà torna in classe, si siede al banco, passa l’ora di storia, e quella di matema- tica. Nel ricordo invece, dal bagno Maddalena fugge. Fuori da scuola, fuori dal cancello. Corre fino al cam- po, lo attraversa, arriva alla strada sterrata, prende fiato, poi torna a correre. Entra in casa, e su per le scale, sempre di corsa, due scalini alla volta. Nel ricordo è lo stesso giorno, così avrebbe ricordato per il resto della vita, nella realtà ci sono venti giorni di differenza. La mattina nel ba- gno con Paolo, venti giorni dopo alla finestra di camera sua. Venti giorni che l’avreb- pochissimi casi in tutta l’America latina, ma ovviamente ciò non impedisce che la Guerra Sucia deflagri tra i suoi affetti più cari. Il 13 settembre 1976 viene se- questrato il genero Manuel Carlos Cuevas, marito della secondogenita Mabel. È in questo frangente che padre Bergoglio riceve una strana telefonata dalla direttrice di un tempo — con cui non ha in realtà perso i contatti. Lui, sacerdote gesuita, corre a casa dell’amica atea e comunista, ma quando arriva è chiaro che della suocera per cui è stata chiesta l’estrema unzione non v’è traccia. Esther gli domanda aiuto perché la figlia minore, Ana Maria, è sotto controllo e bisogna liberarsi della sua biblioteca marxista. Bergoglio non batte ciglio: prende i libri e se li nasconde in casa. Il rischio che corre è enorme: nell’Argentina del tempo, essere un religioso non è affatto una protezione. Nascondere i libri, però, non salva la ragazza che il 13 giugno 1977 viene arrestata. Ha solo 16 anni ed è incin- ta di tre mesi: anche lei, come un numero impressionante di coetanee, viene tor- turata nel Club Atlético a San Telmo, un centro clandestino di detenzione. Dal giorno dell’arresto della figlia minore, un nuovo colore entra nella vita di Esther: il bianco dei fazzoletti delle Madres de la Plaza de Mayo, fondate il 30 aprile 1977 quando 14 madri marciano nella piazza chiedendo di conoscere la sorte dei figli scomparsi. E dal 14 giugno, ogni giovedì, anche Esther è della partita. Fortunatamente, però, in ottobre Ana Maria viene rilasciata: Esther capisce che deve portare le sue tre figlie in salvo, prima in Brasile e poi in Svezia. Ma l’esilio dura poco: le Madres la supplicano di restare dov’è, ma Esther torna: «Resto qui, insieme a voi, finché non li riavremo tutti vivi», è la sua risposta, te- stimoniata anche da un infiltrato militare, Gustavo Astiz. È un attimo, e il colore della tragedia chiude la storia di questa donna appas- sionata e coraggiosa. L’8 dicembre, infatti, all’uscita della chiesa di Santa Cruz (tra le vie Urquiza e Estados Unidos), al termine di una riunione per raccogliere fondi per la pubblicazione sul quotidiano «La Nación» della lettera che chiede- va conto alle istituzioni delle persone scomparse, Esther viene arrestata — insie- me alla madre María Ponce e ad altre dieci persone, tra cui due monache fran- cesi, Alice Domon e Léonie Duquet — dall’ex capitano della marina militare Al- fredo Astiz. Ha 59 anni e non farà mai ritorno a casa. Secondo alcune testimonianze, Esther avrebbe trascorso qualche giorno nel settore Capucha dell’Esma (Escuela Mecánica de la Armada), il più efferato centro di detenzione situato proprio nel cuore di Buenos Aires, prima di essere eliminata con un volo della morte. «Una donna straordinaria, una grande donna a cui devo molto», racconterà decenni dopo quel giovane di origine italiana che aveva lavorato alle sue dipen- denze a Buenos Aires: «In quel laboratorio capii il bello e il brutto di qualun- que attività umana». A metà anni Cinquanta, mentre Esther è di- rettrice di un laboratorio, arriva a lavorarvi un ragazzo di origine italiana. Si chia- ma Jorge Mario Bergoglio. Le diffe- renze tra loro sono tantissime, ma que- sto non impedirà la nascita di un rap- porto profondo e duraturo. Passano intanto gli anni finché, il primo luglio 1974, con la morte di Pe- ron, i colori dell’Argentina si fanno sempre più tetri, culminando nel golpe del 24 marzo 1976. E così la dittatura irrompe per la se- conda volta nella vita di Esther. Il copione è il medesimo: lei — appassionata di giustizia, amica dei deboli e simpatizzante co- munista — continua a parlare, a scrivere e a battersi per la liber- tà, mentre il regime la guarda a vista. In realtà inizialmente Esther chiede — e sorprendentemente ottiene — la condizione di rifu- giata dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifu- giati (Unhcr/Acnur), uno dei

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