donne chiesa mondo - n. 37 - luglio 2015

women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo Mensile dell’Osservatore Romano luglio 2015 numero 37 A cura di L UCETTA S CARAFFIA (coordinatrice) e G IULIA G ALEOTTI Redazione: R ITANNA A RMENI , C ATHERINE A UBIN , R ITA M BOSHU K ONGO , S ILVINA P ÉREZ (www.osservatoreromano.va , per abbonamenti: info@ossrom.va ) Il Paese delle donne L’eroico servizio durante la tragica guerra della Triplice alleanza modello ancora attuale per le nuove generazioni Questo articolo è stato scritto per «donne chiesa mondo» dall’équipe di catechiste e catechisti del- la parrocchia di San Francesco di Assisi in Oco- pilla (Huancayo, Perú). L a povertà estrema nella quale le donne che vivono nelle Ande de- vono provvedere alle necessità fa- miliari ha come conseguenza an- che la difficoltà nell’accesso all’educazione e la mancanza di attenzione per la salute fisica e mentale. Data la povertà delle zone rurali — rag- giunge il 66 per cento e la povertà estrema il 30 per cento — le donne sono prive di diritti, pur essendo protagoniste dell’alimentazione familiare: le donne delle campagne andine infatti, da millenni, svolgono un ruolo im- portante nel campo della sicurezza e della sovranità alimentare; contribuiscono all’eser- cizio del diritto all’alimentazione delle perso- ne e sostengono proposte volte a far sì che i popoli decidano il tipo di produzione per il loro sostentamento. Tale ruolo però non è riconosciuto né va- lorizzato nelle loro comunità e neppure da parte dello Stato: le donne vengono escluse dalla proprietà delle terre e dall’accesso all’acqua, dalle prese di decisioni e dalla for- mazione in campo tecnologico. Fin dall’in- fanzia su di loro gravano i lavori domestici e la cura della famiglia, anche se ciò significa trascurare se stesse e la propria salute e met- tere da parte le proprie aspirazioni. Maltrattamenti fisici, psicologici e sessuali, l’incesto seguito molto spesso da gravidanze forzate per bambine e adolescenti, la tratta ai fini di sfruttamento sessuale e il femminici- dio, sono alcune delle espressioni quotidiane della violenza contro le donne delle campa- gne andine. L’impunità di fronte a simili fatti è la norma, a causa dell’ignoranza delle don- ne riguardo ai loro diritti e alle norme che le proteggono, ma anche a causa di una società di tipo maschilista e della debole e inefficien- te presenza e azione dello Stato, che arriva a negare alle vittime il diritto alla giustizia. Il diritto a una vita libera dalla violenza è pertanto lungi dall’essere una realtà concreta per le donne andine delle campagne. La nor- mativa vigente, che risponde a una visione urbana e occidentale, non ha incluso la pro- spettiva interculturale. A ciò si aggiunge la mancanza di formazione e di sensibilizzazio- ne degli operatori responsabili della preven- zione e delle sanzioni per gli atti di violenza; una cultura che considera normale la discri- minazione e il maltrattamento di bambine, adolescenti, giovani e donne adulte. Nonostante la legge lo proibisca, ancora oggi alle donne che decidono di denunciare che in passato e sono economicamente indi- pendenti, anche rispetto alla maternità. Il problema è che, se la convivenza è associata alla povertà, la famiglia si lacera facilmente, e ne pagano il prezzo le donne e i bambini. Nonostante questi ostacoli, però, la donna andina svolge un ruolo importante all’interno dell’economia, in quanto amministratrice del- le risorse familiari, ma anche, più in generale, esercitando incarichi sempre più importanti in campo imprenditoriale, nella ricerca scien- tifica e accademica, e persino a livello gover- nativo. Secondo l’Istituto nazionale di statistica e informatica (Inei), ogni anno 187.000 donne entrano nel mercato del lavoro e rappresenta- no il 44,3 per cento della popolazione econo- micamente attiva del Paese; il 65,5 per cento opera nei settori dei servizi e del commercio, mentre il 14 per cento si dedica all’agricoltu- ra. Il 35,6 per cento delle donne sono lavora- trici indipendenti, mentre il 36 per cento so- no stipendiate. L’indice di opportunità economiche per le donne (The Women’s economic opportunity index) elaborato da The Economist Intelli- gence Unit — che valuta i fattori che condi- zionano l’accesso delle donne alle opportuni- tà economiche all’interno del settore formale di ogni economia — pone il Perú al cinquan- taseiesimo posto a livello mondiale e al deci- mo livello del continente americano. L’Ente delle Nazioni Unite per l’ugua- glianza di genere e l’emancipazione delle donne mette il Perú al quarantanovesimo po- sto quanto a partecipazione delle donne a in- carichi ministeriali (insieme ad Haiti, Italia, Romania e Sud Sudan) e al cinquantottesi- mo posto rispetto al numero di donne pre- senti nel Parlamento (28 donne per 130 seggi). Indubbiamente la partecipazione femmini- le è aumentata negli ultimi anni, ma ci sono ancora molti problemi aperti, come per esem- pio quello dell’accesso all’istruzione superio- re, a cui passa solo il 28 per cento delle don- ne, e quello dell’accesso alle assicurazioni sa- nitarie, che dovrebbe essere garantito a una percentuale superiore all’attuale, che è solo del 67 per cento (Sis, Es Salud e altri). In una cultura che vede intrecciarsi ceri- monie religiose tradizionali e liturgie cristiane trasmesse dai missionari, le donne svolgono un ruolo non secondario. La vita religiosa si snoda in due fasi: una da aprile ad agosto (periodo secco, di raccol- ti e di buona salute) e l’altra da settembre a marzo (periodo piovoso, di semine, di malat- tia e di morte). Tra le due fasi, un periodo di transizione. Questi periodi permeano la vita delle donne andine, tanto da determinare la data dei matrimoni, che si celebrano da apri- le ad agosto. I calendari liturgici delle Ande seguono i momenti più importanti del ciclo liturgico cattolico che si conciliano con le fasi della vi- ta agricola: un primo e importante periodo di raccolti-stagione di siccità, un secondo che è la stagione definita delle piogge-periodo di semina, e tra i due un momento di separazio- ne e di transizione (il primo periodo va da aprile a giugno, poi viene agosto, e poi c’è il secondo periodo, da settembre a marzo). Una volta terminato il raccolto, dopo l’im- magazzinamento dei prodotti agricoli e la conta del bestiame, occorre rinnovare la ferti- lità della terra e prepararla per un nuovo pe- riodo di “gravidanza”, con un rito propizia- torio che si effettua nel mese di agosto come devozione alla Pachamama. Nelle Ande Cen- trali si dà molta importanza a questa divini- tà, alla sua pienezza femminile e materna, benevola ed esigente. La popolazione mette in rapporto il culto alla Pachamama con quello alla Vergine Maria. Durante la festa dell’Assunzione della Ver- gine, chiamata comunemente Vergine Assun- ta e familiarmente Mamacha Asunta, si cele- bra infatti il “pagamento alla terra” per la Pachamama. Le feste dei santi Domenico, Lorenzo e Girolamo, celebrate ad agosto in molte comunità delle Ande, coincidono an- ch’esse con questo omaggio. Il terzo periodo del calendario rituale ini- zia nel mese di settembre, con la situa , cioè la semina mediante l’irrigazione; la terra vie- ne arata e aperta e inizia allora il periodo della sua fecondazione. Con questo rituale si cerca di allontanare e scongiurare le malattie, le pestilenze e gli infortuni che avvengono quando si conclude il periodo della siccità e iniziano le piogge. La malattia infatti, e quindi anche la morte, è collegata alle piog- ge, perciò in questo periodo critico si com- piono atti purificatori e si cerca di allontana- re ritualmente le influenze nefaste e i mali. Le donne preparano il sango , impasto com- posto da farina di mais mescolata al sangue caldo di un lama appena sacrificato. Con questo yaguarsango , in modo rituale, si ungo- no il volto, le estremità e il corpo, e si co- spargono le porte e l’interno delle case, e an- che alcune provviste immagazzinate. Poi, si butta una parte dell’impasto nei fiumi per purificare l’acqua. Si consuma il sango anche collettivamente, al fine di rinnovare il patto tra gli autoctoni e gli stranieri e per propizia- re la semina. Nei villaggi questi riti di purificazione si realizzano all’arrivo delle prime piogge, con- siderate eccellenti per l’inizio della semina. Si fanno offerte, e si crede che le prime piogge si portino via le malattie, i mali e i peccati, trascinandoli lontano. Naturalmente, il ruolo della donna viene messo in evidenza e valorizzato nella devo- zione per la Pachamama, ritratta mentre sor- ride: sorriso che è il tratto peculiare del volto della donna andina. Il romanzo Paula Nipote di una delle personalità più amate della storia cilena, con oltre venti libri Isabel Allende è una tra le scrittrici viventi più note al mondo. Tra romanzi, pagine autobiografiche, racconti, ricette e libri per ragazzi, nel 1994 è arrivato, però, il libro più difficile, Paula . È un lungo diario di addio alla figlia, morta a 28 anni di porfiria, malattia rara e gravissima che la trascinò in quasi un anno di coma. La madre, già scrittrice di successo, resta costantemente al capezzale della ragazza: prima nei corridoi di un ospedale di Madrid, poi in una stanza di albergo e infine accanto al letto nella casa in California, parla e scrive incessantemente a sua figlia. «Ascolta, Paula, ti voglio raccontare una storia, così quando ti sveglierai non ti sentirai tanto sperduta». Se i medici tentano (inutilmente) di salvare la giovane donna con la loro scienza, la madre si affida invece alla sola arma che ha: la narrazione. Perché non esiste separazione definitiva finché esiste il ricordo. Anche quando Paula si allontana mujer per diventare, e tornare poi, espíritu . ( @GiuliGaleotti ) Il film Ixcanul Ixcanul ( Vulcano , 2015), opera prima del regista guatemalteco Jayro Bustamante, è la storia di Maria, adolescente che vive in un villaggio dove regnano ancora superstizioni e tradizioni ancestrali. Retaggi di cui la stessa Maria diventa presto vittima, visto che i genitori le combinano un matrimonio. Prima della cerimonia, però, la ragazza, refrattaria alla decisione, ha un’avventura con un ragazzo e resta incinta. Scoperta la gravidanza, i genitori spingono per l’aborto. Ma la conclusione sarà per certi versi anche peggiore. Bustamante racconta un mondo chiuso e arcaico che vive a poca ma impermeabile distanza dalla società moderna. E non ne fa certo un bel quadro, denunciando la presenza di odiosi soprusi soprattutto nei confronti delle donne. D’altronde anche l’ambiente contadino, tante volte descritto con bonomia sul grande schermo, è qui inquadrato nei suoi aspetti più crudi e violenti, quasi contigui e propedeutici alle ingiustizie della comunità che lo abita. Lo stile del regista è descrittivo e piuttosto distaccato, tanto che fino a mezz’ora dalla fine ci si chiede perché abbia optato per un film a soggetto e non direttamente per un documentario. Nell’epilogo, però, si tirano finalmente le fila del racconto, rivelando una cospirazione che in realtà ha innervato silenziosamente tutta la vicenda. Non a caso la narrazione si conclude intelligentemente in modo circolare, a rimarcare il senso di ineluttabilità che grava sulla protagonista come, non è difficile immaginare, su tante sue coetanee. ( emilio ranzato ) I L SESSO DEBOLE «A prima vista — ha scritto qualche settimana fa «The Economist» nel suo editoriale — oggi il patriarcato parrebbe prosperare», con gli uomini che dominano dalla politica alla tecnologia, passando per il cinema. «Potrebbe dunque sembrare singolare allarmarsi per la brutta situazione in cui si trovano i maschi. Invece ci sono molte cause di preoccupazione». Se in generale i maschi finiscono in carcere molto più delle donne, hanno il più alto tasso di suicidi, sono spesso separati dai loro figli e studiano meno delle donne, ve n’è però un gruppo che soffre particolarmente: sono «gli uomini poveri e poco istruiti dei Paesi ricchi che hanno grandi difficoltà a relazionarsi con gli enormi cambiamenti che si sono verificati nel privato e nel mondo del lavoro nell’ultimo mezzo secolo». Il risultato, per loro, «è una combinazione avvelenata di nessun lavoro, nessuna famiglia, nessuna prospettiva». E il settimanale inglese così conclude: «La crescente uguaglianza tra i sessi è una delle maggiori conquiste dell’era post bellica: le persone hanno maggiori opportunità rispetto al passato di perseguire le ambizioni personali a prescindere dal loro sesso. Alcuni maschi, però, hanno fallito nel relazionarsi con questo mondo nuovo. È ora di dar loro una mano». Per il benessere di tutti, varrebbe la pena di aggiungere. A SCUOLA DI GESTIONE PER LE SUORE DI G ERUSALEMME Venti suore di diverse comunità religiose presenti a Gerusalemme hanno preso parte a un corso sulla gestione dei progetti di carattere sociale e caritativo, organizzato nella casa delle missionarie comboniane. Durato una settimana, il corso è stato coordinato da Charles Camara, esperto di Project Management e collaboratore della diocesi cattolica di Stoccolma, che ha indicato alle religiose alcuni criteri-guida per gestire un progetto, come la valutazione del bilancio, la stima dei costi operativi, le modalità per la raccolta e la gestione delle offerte. Partecipando a fine evento alla consegna dei diplomi, il vescovo William Shomali, vicario patriarcale di Gerusalemme, nel plaudere all’iniziativa, ha ricordato come la Chiesa sia oggi chiamata a essere più trasparente nella gestione di progetti e denaro, secondo le chiare indicazioni di Papa Francesco. L’ ISTINTO DI MAMMA CICOGNA Tra i danni censiti dopo il rogo del municipio di Brunete, piccolo centro a trenta chilometri da Madrid, c’è anche il dramma di una famiglia di cicogne, che aveva messo su casa sul tetto dell’edificio. Appena il nido è stato lambito dalle fiamme — ha raccontato «La Razón» — papà cicogna, seguendo l’istinto di conservazione, è volato via. La mamma, invece, rischiando la vita, ha cercato in ogni modo di salvare i due piccoli, bruciandosi gran parte delle penne: i pulcini, infatti, nati da poco più di un mese, non erano ancora in grado di volare, e così mamma cicogna, trascinandoli con il becco, ha cercato di tirarli fuori dal nido in fiamme. Purtroppo solo uno dei due è riuscito a sopravvivere. Il piccolo superstite, ribattezzato Brunete dagli abitanti della cittadina, è stato adottato come mascotte insieme alla madre coraggio che ha sfidato il fuoco per proteggere la sua nidiata. R ELIGIOSE PER I MIGRANTI A R IO B RANCO Nella diocesi di Rio Branco, in Brasile, è stata ufficialmente inaugurata una nuova presenza missionaria per il servizio evangelico ai migranti delle suore missionarie di San Carlo Borromeo - scalabriniane. Al taglio del nastro erano presenti — oltre a circa quattrocento migranti — il vescovo di Rio Branco, monsignor Joaquín Pertíñez Fernández e suor Neusa de Fatima Mariano, superiora generale della congregazione. «Confidiamo che il Signore, per intercessione di Maria, madre dei migranti, del beato Giovanni Battista Scalabrini, apostolo dei migranti, e della beata Assunta Marchetti, possa sostenere questa nuova presenza missionaria della congregazione, come una realtà di solidarietà e accoglienza in difesa della vita e dei diritti dei migranti» ha sottolineato suor Neusa. «Le parole di Gesù “Ero migrante e mi avete accolto” ci fanno capire, vivere e vedere il volto di Cristo nel volto di ogni migrante, soprattutto in questa realtà così vulnerabile» hanno quindi aggiunto suor Zenaide Ziliotto, superiora provinciale, e suor Ires da Costa, pioniera della missione. La giornata si è conclusa con la preghiera nella cappella della comunità Nostra Signora Pellegrina, dove erano rappresentate varie congregazioni. L E SCIENZIATE E LO SCIENZIATO Aveva detto che era «meglio non avere donne nei laboratori perché ci innamoriamo di loro, si innamorano di noi e quando le criticate si mettono a piangere». E così, giustamente travolto dalle critiche, Tim Hunt, premio Nobel per la medicina nel 2001, si era dimesso dall’University College di Londra. La nuova punizione però ora arriva dalle colleghe scienziate che hanno lanciato una campagna fotografica via twitter per rispondere con il sorriso alle frasi sessiste. L’hashtag #distractinglysexy è così utilizzato da biologhe, archeologhe, chimiche, geologhe e via dicendo per far circolare immagini ironiche sulla capacità femminile di distrazione — tra tute da lavoro e occhialoni sul naso — sul posto di lavoro. Ancora una volta, donne e ironia contro il sessimo. L E RAGAZZE RAPITE E STUPRATE DA B OKO H ARAM «No all’aborto di massa per le ragazze liberate dopo essere state rapite e stuprate da Boko Haram; siamo pronte ad aiutarle»: così monsignor Anselm Umoren, vescovo ausiliare di Abuja e presidente del comitato per la salute della Conferenza episcopale della Nigeria. «Condanniamo con forza alcune linee d’azione suggerite da diverse persone e gruppi in direzione di aborti di massa» afferma in un messaggio inviato all’Agenzia Fides il presule, facendo riferimento al dibattito in corso su come aiutare le ragazze rimaste incinte. «Non è sostenibile la posizione secondo cui l’uccisione dei bambini concepiti a seguito della violenza sessuale dei terroristi sia l’azione più umana da assumere. Dato che i nascituri sono innocenti e ignari dei crimini commessi contro le loro madri, è immorale punirli per i peccati e i crimini dei loro padri traviati». Il responsabile della pastorale della salute sottolinea che la Chiesa cattolica è pronta ad aiutare le vittime che hanno subito «l’enorme trauma» dello stupro. «In collaborazione con tutte le persone di buona volontà, la Chiesa cattolica in Nigeria è pronta a fornire tutto il supporto necessario per accelerare la cura, la riabilitazione e il ristabilimento delle vittime, in modo che possano essere reintegrate rapidamente nella società». Il diario Tra un’onda e l’altra Si legge come un appassionante romanzo il libro Tra un’onda e l’altra di santa Francesca Cabrini. Racconta di una donna, una suora che affronta viaggi faticosi e terribili dall’Europa al continente americano, da Le Havre a Buenos Aires. Attraversa interi e immensi Paesi, supera sui muli la Cordigliera delle Ande, passa pericolosamente per il Nicaragua, spesso senza trovare un posto per dormire e per mangiare. E intanto apre scuole, asili, fondazioni e organizza gli emigranti. Dispensa speranza. Francesca Cabrini è spinta dalla fede che in quelle terre lontane a metà del diciannovesimo secolo diventa desiderio di fare e di fare per gli altri, per migliorare un mondo che descrive in tutta la sua povertà e disperazione. Il suo libro ci dona un modello di emancipazione che sa fare i conti con la solitudine e con il pericolo e invita le donne sciogliersi da tutti i vincoli. «Scioglietevi e mettete le ali ve ne prego per istar sempre sollevate dalla terra» è il messaggio di Francesca. Anche, e forse soprattutto, alle donne di oggi. ( @ritannaarmeni ) Donarono i gioielli per la patria Ma soprattutto assistettero i feriti coltivarono la terra fecero ripartire l’economia e la fecondità Sono state e sono tutt’oggi il pilastro della società nazionale Cándido López, «Triple alianza» ( XIX secolo) Si ripartì dal matriarcato La vita quotidiana delle donne andine I riti della terra Il loro ruolo non è riconosciuto o valorizzato né dalle loro comunità né dallo Stato Oggetto di violenze e abusi sono escluse dalla proprietà delle terre e dall’accesso all’acqua Dalle prese di decisioni e dalla formazione Il diritto a una vita libera dalla violenza è lontano dall’essere una realtà concreta per chi vive nelle campagne Cerezo Barredo, «Magnificat» (pittura murale, chiesa di Luciara, prelatura di São Félix, Brasile, 1993) di R OMINA T ABOADA T ONINA * Nonostante l’eroismo e il coraggio del popolo paraguayano, la guerra si concluse con un mas- sacro per il Paraguay, vista l’evidente sproporzio- ne delle forze in campo. Tra le conseguenze di questo conflitto, vi fu anche un disastro demo- grafico: il Paese perse tra il 50 e l’85 per cento della popolazione, e forse il 90 per cento della popolazione maschile adulta. Lo storico argenti- no Felipe Pigna ha realizzato uno studio in cui ha dimostrato che la popolazione passò da 1,3 milioni di abitanti a 0,3: in pratica restarono so- lo donne e bambini. La British Encyclopaedia del 1911 stimò che la popolazione paraguayana fosse passata da 1.337.439 abitanti a 221.079 so- pravvissuti, ossia appena il 17 per cento del tota- le. Il Paraguay aveva praticamente smesso di esi- stere come comunità organizzata ed economica- mente sviluppata. Restavano solo vedove, orfani, madri, figlie e sorelle indifese, che decisero di portare comunque avanti un Pae- se ridotto in cenere, facendo so- pravvivere la sua fede, la sua lin- gua e la sua cultura. Il matriar- cato che si creò in quel momen- to permise al Paraguay di non morire. Le nostre donne piene di coraggio, forza d’animo, pronte al sacrificio, dal cuore nobile e generoso, le no- stre antenate, le nostre trisnonne, bisnonne, la garra guaraní del Dna delle donne paraguayane. Alcuni comandanti della Triplice alleanza vo- levano uccidere i paraguayani ancora prima che nascessero. «Di quante vite e di quante risorse abbiamo bisogno per porre fine alla guerra, os- sia per trasformare in fumo e in polvere tutta la nazione paraguayana, per uccidere persino il fe- to nel grembo della donna paraguayana?» chiese il duca di Caixas, Luis Alves de Lima e Silva, comandante alleato del Brasile. Le donne del Paraguay scelsero invece di avere figli e di rico- struire così la famiglia paraguayana, consolidata poi nelle sue fondamenta dall’azione pastorale di grandi figure della Chiesa come monsignor Juan Sinforiano Bogarín. Dopo centocinquant’anni l’affetto che Papa Francesco ha espresso per le donne paraguaya- ne, nel ricordare quei fatti storici, motivati da in- teressi meschini, che ebbero conseguenze inso- spettate e crudeli, ci permette di rincontrarci, ri- valorizzarci e ricordare le nostre radici e cercare di risanare le ferite di quel momento così tragi- co. *Ambasciata del Paraguay presso la Santa Sede di B EATRIZ G ONZÁLEZ DE B OSIO * «A nche quando ormai il giovane e l’anzia- no, / il figlio e il fratello e lo sposo, / caddero per sempre … e nella pianura / regnò dei sepolcri il riposo, / lei intraprese il ritorno, con il petto / dalla patria nostalgia oppresso, / e invano scrutò nella sua casa distrutta / l’antico luogo dell’essere amato». Così, nella poesia La Mujer Paraguayana , Ignacio A. Pane (1880-1920) celebrava la donna paraguayana. La Guerra guazu — “Guerra grande” in guaranì, o guerra della Triplice alleanza — continua a essere per la popolazione paraguayana l’episodio più traumatico sponeva neppure di un corpo di ufficiali ben addestrato e con esperienza di guer- ra: di fatto, il Paraguay aveva smesso di partecipare a scontri bellici dalla batta- glia di Tacuary nel marzo 1811, prima dell’indipendenza dalla Spagna. Il trattato segreto della Triplice allean- za, firmato il 1° maggio 1865 da Brasile, Argentina e Uruguay, contro il Paraguay, smise di essere segreto ancor prima del primo anniversario della sua firma: per esteso, infatti, venne pubblicato sulle pa- gine di un giornale londinese. Da quel momento la causa paraguaya- na si circondò di una mistica difensiva e di un eroismo incrollabile. I giganteschi vicini del Paraguay, desiderosi di appro- priarsi di nuovi territori, invasero e muti- larono il territorio nazionale. La memoria collettiva della guerra della Triplice alleanza dà particolare ri- salto nella storia ufficiale alle donne pa- raguayane che donarono i loro gioielli per la causa della patria. Ma le donne paraguayane fecero in realtà molto di più: svolsero infatti un ruolo centrale coltivando la terra, assistendo i feriti, seppellendo i morti e accompagnando le truppe, come residentas o destinadas . È indubbio che le donne sono state — e sono tutt’oggi — il pilastro della società paraguayana. Il presidente López e quel che restava del suo esercito furono seguiti da vicino dalle residentas , donne che — costrette ad abbandonare la capitale del Paese, Asun- ción, di fronte all’occupazione e al sac- cheggio degli invasori all’inizio del 1869 — non ebbero altra scelta se non quella di seguire da vicino i sopravvissuti e condividere con loro le privazioni, la fa- me e gli inenarrabili sacrifici. Fu questo, ad esempio, il caso di Ra- mona Martínez, un’adolescente che, brandendo la spada, in quel fatidico 1869, salvò la vita a Solano López nella località di Lomas Valentinas, permetten- dogli di fuggire. O di Juliana Insfran de Martínez, Pancha Garmendia, María Meque, e molte altre donne coraggiose. Tornata la pace, alle donne paragua- yane spettò essere reconstructoras de la patria , essere cioé l’asse centrale per il ri- popolamento, facendosi carico per molto tempo dell’attività produttiva volta a ot- tenere gli alimenti di base. Tutto venne compiuto in modo anonimo ma molto significativo. Vanno quindi ricordare figure del post-guerra come Asunción Escalada, Rosa Peña de González, Adela e Celsa Speratti: donne dedite all’istruzione che, superando mille ostacoli per educare va- rie generazioni, furono paradigmi di de- dizione e di coraggio. Grazie a loro, in- fatti, le bambine e le ragazze paraguaya- ne ricevettero la stessa educazione pri- maria e secondaria dei maschi. Una pari- tà per nulla diffusa all’epoca. Nel riflettere sul nostro divenire stori- co come nazione, ci colpisce il ruolo che le donne paraguayane hanno svolto nella storia del Paese: un ruolo che fu dunque preponderante fin dall’inizio. Non a ca- so uno dei modi in cui il Paraguay veni- va definito era “il Paese delle donne”, come risulta dal titolo dell’opera maestra sulla storia sociale paraguayana scritta dalla storica tedesca Barbara Potthast nel 1996. Anche nell’altra guerra, quella del Chaco, combattuta contro la Bolivia tra il 1932 e il 1935, le donne si fecero carico dell’attività agricola e mai come allora si ottenne tanta produzione alimentare. Eppure, nonostante questi successi, que- sto eroismo, questa storia, le donne pa- raguayane ancora oggi lottano contro la povertà e l’esclusione. L’equazione ci mostra che donna e mancanza di educazione danno come ri- sultato la povertà. Perciò qualsiasi inizia- tiva dello Stato che voglia essere feconda dovrà necessariamente mirare al campo educativo, in modo da superare il ciclo della povertà e dell’esclusione in una so- cietà asimmetrica e polarizzata. Un ciclo che è diventato una ferita aperta. Nel ricordare le donne eroiche di ieri, facciamo sì che le donne di oggi otten- gano quel riconoscimento dato loro da Papa Francesco: la visita al nostro amato Paraguay fa vibrare il nostro popolo di profonda emozione, di gioia e speranza. *Università cattolica Nuestra Señora de la Asunción, Paraguay della storia nazionale, la fase storica più drammatica e cruenta dell’America latina dalle sue origini ai giorni nostri. Perciò è stata anche chiamata «la guerra della tri- plice infamia» (Juan Bautista Alberdi) o «genocidio americano». È stato un evento che ha segnato un prima e un dopo. Un prima, il Paraguay come autentica potenza nei suo assi cen- trali, ossia potere economico e tecnologi- co, rispetto regionale e presenza sovrana. Un dopo segnato invece dalla desolazio- ne, dalla rovina, dalla dipendenza, dalla sottomissione, pur se in un stato di democrazia e di li- bertà, per quanto imper- fette. Era il 1865 quando il presidente del Paraguay, maresciallo Francisco Sola- no López, si ritrovò coin- volto in uno scontro belli- co dalle enormi proporzio- ni. Il momento d’inizio delle ostilità non fu tra i più favorevoli per il Paese poiché l’armamento mo- derno, commissionato in Europa, ancora non gli era pervenuto. Né sarebbe più arrivato: ora, di certo non avrebbe superato il blocco che l’attendeva nei canali di accesso. E così gli impo- nenti mezzi militari, ancora in costruzione in Europa, furono acquistati dal Brasi- le, che li utilizzò contro il Paraguay durante il con- flitto. Solano López non di- Una donna paraguayana in un’illustrazione del 1870 Il monumento a Las Residentas a Luque in plaza de las Residenta solo il 9 per cento quello di coniugata (dati del Ministero della salute). Nello stesso pe- riodo hanno partorito anche donne single (12,26 per cento), donne separate (0,23 per cento), vedove o divorziate (0,04 per cento), sempre in base alle cifre fornite all’agenzia Andina. L’elevato numero di donne che partorisce con lo stato civile di convivente rivela la fra- gilità e la vulnerabilità delle famiglie, ma al tempo stesso mette in luce la maggiore auto- nomia delle donne, che oggi lavorano più il proprio compagno, persino in casi di violenza sessuale, si propone la conciliazione, e le pene imposte agli aggressori si limitano a multe o a giornate di lavoro comunitario. Lo stato civile delle donne andine costituisce un problema: il 78 per cento delle madri che hanno partori- to in ospedali pubblici e cliniche del Perú tra gennaio e ottobre del 2013 aveva lo stato civile di convivente,

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