donne chiesa mondo - n. 29 - novembre 2014

women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women L’OSSERVATORE ROMANO novembre 2014 numero 29 Inserto mensile a cura di R ITANNA A RMENI e L UCETTA S CARAFFIA , in redazione G IULIA G ALEOTTI www.osservatoreromano.va - per abbonamenti: ufficiodiffusione@ossrom.va donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo Parole che leggono dentro Maschile e femminile dalla Genesi al Nuovo Testamento di A NNE -M ARIE P ELLETIER L a nostra relazione con le Scritture non si esaurisce nel fatto che le leg- giamo. Esse stesse, simmetricamen- te, hanno come finalità quella di “leggere” il loro lettore, di scoprirlo a se stesso, di immetterlo in un moto di con- versione, quando accetta di porsi sotto la loro autorità. Nello stesso tempo, ci diventa mani- festo che la potenza di senso del testo è diret- tamente proporzionale agli interrogativi che gli rivolge il suo lettore. Per rilasciare la Rive- po apre la prospettiva di un progresso verso una maggiore giustizia. Ma, simultaneamente, ben presto appare che le risposte che si pre- tende di dare ai disordini denunciati fanno le- vare nuovi e temibili pericoli. In particolare, non c’è forse una nuova forma di violenza, subdola ed estrema, nel confondere, persino nel pretendere di cancellare, la differenza uo- mo-donna? Per rimediare alle ferite che colpi- scono la relazione tra i sessi, siamo forse ob- bligati a dichiarare che la differenza è solo il prodotto artificioso delle culture, che essa può e deve dunque essere superata? Quali risorse attivare per superare lo scetticismo antropolo- gico che impedisce di credere ancora all’incon- tro felice e duraturo tra un uomo e una donna? Ecco altrettante domande da porre oggi nel faccia a faccia con il testo biblico. Non si trat- ta di cercare semplicemente in esso protezioni contro il mare grosso o fuochi di sbarramento contro evoluzioni che riteniamo pericolose. Un obiettivo più giusto sarebbe, ci pare, tra- sformare gli interrogativi del momento in trampolino per acquisire verità che non abbia- mo ancora ascoltato nelle Scritture bibliche. In altre parole, occorre accettare di credere che le scosse attuali abbiano potenzialmente il potere di far sorgere rilievi nuovi in seno alla rivelazione biblica. In modo esemplare, a no- stro parere, la questione uomo-donna risuona nella Bibbia con una ricchezza di senso che non abbiamo ancora valutato pienamente, ma tali ( Genesi , 2, 22). Senza tirare il testo biblico dalla parte di teorie che gli sono estranee, converremo che non è privo di interesse vede- re la Scrittura prendere le distanze da un es- senzialismo rigido, per dar da pensare la real- tà di una elaborazione delle identità. Così, ap- pare chiaro che la differenza tra i sessi posta nel primo racconto di creazione è solo una condizione preliminare, in attesa del contenu- to di umanità che renderà singolari uomo e donna tra i viventi. Allo stesso modo dovremmo rilevare l’in- completezza che caratterizza il primo faccia a faccia della coppia umana messo in scena nel secondo capitolo della Genesi : la parola che spunta in questo istante non riesce ancora a innestare la reciprocità di un vero dialogo. Proprio per questo, l’incontro dell’uomo e del- la donna secondo la Genesi ha potuto venire caratterizzato come un «progetto etico» (An- dré Wénin), che Dio affida loro, perché insie- me siano «immagine» e «somiglianza» di Co- lui che li crea. Simultaneamente il racconto della Genesi verifica quella verità che ci è dive- nuta familiare: cioè che si è veramente due so- lo in presenza di un terzo. Nel nostro caso, bisogna che lo scenario di creazione mantenga ed espliciti qui il riferimento al Creatore, che sta tra uomo e donna, affinché il loro incontro entri nella sua giustezza. Bisogna sottolineare che tutto ciò è detto senza dogmatismo, lungi dalle rigidità di un’argomentazione speculati- va. La messa in opera di alcuni grandi princi- pi fondatori di un’antropologia biblica si com- pie attraverso un discorso narrativo elastico, colorito, che mantiene un margine di enigma e di non detto. Se davvero l’umanità è a im- magine del Deus absconditus , come potrebbe la sua identità non incorporare una parte incom- primibile di mistero? Certo, Gesù viene al mondo in una carne maschile; nessuno può essere umano sfuggen- do alla legge che vuole che lo sia come uomo o come donna. Ma, così facendo, non viene né a rivelare Dio come un maschio, né a porre la parte maschile dell’umanità in una posizio- ne di autorità sovrastante, né a mettere fine a una differenza antropologica che fonda la no- stra umanità. Fondamentalmente, viene a su- scitare, come suo interlocutore faccia a faccia, quell’umanità ricostituita che è la Chiesa for- mata di uomini e di donne, alla quale il Van- gelo in modo sorprendente dà per riferimento e modello una serie di figure di donne. Come Marta e Maria, come la vedova che mette tutto quanto possiede nel tesoro del Tempio, come la donna del racconto giovan- neo che unge i piedi di Gesù prima della Pas- sione, o ancora come le donne che restano so- le ai piedi della Croce quando tutti se ne sono andati, e che saranno le prime ad accorrere al sepolcro. Come ancora Maria Maddalena, chiamata a essere apostolo degli apostoli. Co- me infine — segno più grandioso di ogni altro — la Vergine Maria, in cui si rivela la sconvol- gente cooperazione fra Dio e l’umanità al principio dell’opera di salvezza. Altrettante realtà da scrutare e da accogliere per trovare le vie di una giustezza — e anche di una giustizia — della relazione fra i sessi, che rimane un compito attuale della Chiesa. di A LBERTO F ABIO A MBROSIO N on è solo una voce della radio Krista Tippet, ma una persona dal ricco profilo intellettuale e umano. Lo si deduce facilmen- te dal suo libro Speaking of Fai- th: Why Religion Matters and How to Talk About It (Penguin, 2008) seria riflessione di una donna che sfida la sua cultura, quella dell’American Dream. Il titolo è un program- ma, certo, per la radio perché inizialmente la sua trasmissione radiofonica si intitolava pro- prio nella stessa maniera ( Speaking of Faith ), ma che diventa nel corso degli anni — e an- cora oggi — On Being che si potrebbe tradur- re «sull’essere», quasi a voler dire l’essere sul- la frontiera delle fede. Il suo programma è iniziato con una serie occasionale di incontri in una radio nel Min- nesota alla fine degli anni Novanta per di- ventare all’inizio degli anni Duemila un men- sile e, infine, un vero e proprio appuntamen- to settimanale. Nel 2010 il programma assu- me il nuovo titolo e viene ritrasmesso via in- ternet dove si possono trovare decine e deci- ne di interviste a uomini e donne americani e non, che hanno qualcosa da dire sulla reli- gione e sull’esperienza religiosa. Alla doman- da generica su quante persone abbia incon- trato, Krista risponde ignorando il numero esatto — come per modestia — ma si tratta di qualche centinaio: ogni programma ruota in- torno a un personaggio dalla profonda espe- rienza religiosa. Quando la incontro, in occasione di un se- minario di studio sulla compassione tra i bo- schi della cittadina di Kalamazoo, nel Michi- gan, riconosco immediatamente la sua voce, inconfondibile. Ha un tono che ti porta, ti fa meditare e ti invita alla riflessione. Ha una grande sensibilità e quando interviene per moderare le sessioni, un silenzio pieno di ri- spetto cala su tutti i presenti — alcuni dei quali professori di spicco dell’università cat- tolica di Notre Dame — per far spazio al contenuto delle sue osservazioni. La sua voce, infatti, così abituata all’attivi- tà radiofonica, conduce l’ascoltatore all’og- getto dei suoi pensieri: è un mezzo potente quello che le è stato dato in dono, Krista la- scia che traspaia con molta modestia perché è consapevole che si tratta di un servizio alla spiritualità. D’altro canto, l’ospite di ogni suo programma è davvero messo in condizione di poter esprimere liberamente la sua esperien- za, sempre davvero profonda. La religione e la vita dei credenti costitui- scono il centro dei suoi interessi e questo è quanto mai sorprendente quando si pensa che giovanissima lasciò gli States per andare in Germania, corrispondente per diversi or- gani di stampa. Il suo libro illustra l’espe- rienza di un’americana in una Germania sof- ferente per il dramma della separazione e della Guerra fredda. Di ritorno negli Stati Uniti, segue un master in teologia all’univer- sità di Yale e qui riannoda i legami con il suo ambiente d’origine così orientato alla pratica della fede cristiana. In seguito al di- ploma nel 1994, frequenta per lungo tempo l’abbazia benedettina di Saint John a Colle- geville, nel Minnesota per un progetto di ri- cerca in storia orale. L’ascolto del racconto del monastero le offre lo stimolo per ideare un programma radiofonico. Così, pian piano, matura quel progetto che diventerà un patri- monio culturale e intellettuale per tutti. Il sito internet di On Being è una vera e propria enciclopedia della religione contem- poranea nel suo versante americano e, più in generale, internazionale. Quando le chiedo in maniera più precisa del perché dell’emis- sione radiofonica, Krista non ha dubbi: «In quegli anni, il tema religioso riguardava solo l’aspetto negativo, degenerato e corrotto del- le religioni intese soprattutto come istituzioni sociali e politiche. Avevo intuito che si dove- va offrire un nuovo approccio». Questo spa- zio vuoto, come definisce lei stessa, ha costi- tuito il successo del programma. Per Krista, le religioni non sono solo isti- tuzioni, ma sono i credenti a formarne il cuo- re pulsante. Non va dimenticato che siamo alla vigilia dei drammatici avvenimenti del 2001 e che il suo programma è stato inaugu- rato proprio quell’anno. Dire religione signi- ficava violenza o comportamenti in aperto contrasto con i principi religiosi professati. Krista ha quindi offerto a tutti gli ascoltatori l’esperienza concreta, vissuta, sofferta di deci- ne e decine di protagonisti della vita cri- stiana. Parlandomi, sa che si rivolge a un prete cattolico, lei di tradizione battista, ed è ono- rata di aver fatto conoscere negli States l’atti- vità dell’osservatorio astronomico vaticano che ha una sede anche in Arizona. Prima che realizzassi quell’emissione, mi dice — quasi sorridendo — molti americani pensavano an- cora il rapporto tra Chiesa cattolica e scienza come al tempo di Galileo. È convinta di aver contribuito alla causa di una revisione dell’opinione pubblica americana grazie all’intervista a fratel Guy Consolmagno e a padre George Coyne, perché è un modo di far comprendere agli ascoltatori l’articolazio- ne tra fede e scienza nel mondo cattolico e più in generale per il cristiano. La relazione tra scienza e religione sembra colpire la sua attenzione di credente come prova anche il programma interamente dedi- cato a Teilhard de Chardin, grazie alla parte- cipazione di Ursula King, teologa cattolica attenta alle questioni di gender e alla spiritua- lità oltre al pensiero riguardante l’evoluzione. La voce di Krista e le sue interviste sono una fonte eccezionale di conoscenza del mondo cristiano. Non vuole soffermarsi sulle tematiche scontate, quelle che riempiono le prime pagine dei giornali riguardanti la reli- gione, ma cerca di far parlare la religione at- traverso i credenti con un’esperienza tanto particolare quanto universale. È il caso dell’intervista a Marie Howe, poetessa dello Stato di New York, che espri- me il senso della poesia, della sua intraduci- bilità, della sua assoluta necessità e il riflesso della sua educazione cattolica. Marie Howe afferma che la vita morale si esprime tanto in quanto diciamo quanto in ciò che compiamo. Con questa frase si può sintetizzare anche l’essere cristiano della sua intervistatrice. Krista Tippet può davvero vantarsi di aver contribuito a un serio cambiamento di men- talità negli Stati Uniti a riguardo della reli- gione. La sua emissione è diffusa in oltre duecento radio in tutto il Paese e grazie al suo sito internet, moltissimi sono gli ascolta- tori in tutto il mondo. La sua preoccupazio- ne fondamentale è raccontare veracemente cosa sia la religione per un credente che as- sume responsabilmente la propria vocazione. Nei giorni in cui l’incontro, è appena andata in onda l’emissione registrata con Nadia Bolz-Weber, luterana che dirige come pastore la sua comunità, la cui denominazione è già tutto un programma: Chiesa di tutti i santi e di tutti i peccatori, a Denver. Krista racconta di Nadia come di una donna che riesce a parlare a tutti, ai giovani soprattutto, grazie anche alla sua sorprenden- te esperienza di guarigione dalla dipendenza e con un corpo interamente tatuato, senza te- mere di mettere in luce una fede cristiana vi- va, anche se marginale o stravagante. Quan- do si ascolta l’intervista a Nadia, ci si rende conto che si è davanti a una fede vera, pro- fonda che cerca di andare al di là degli ste- reotipi e raggiungere il cuore dell’umanità. Il programma On Being ha rivoluzionato il modo di presentare la religione e tutto ciò che la riguarda negli Stati Uniti e il progetto della sua ideatrice non solo continua, ma prende sempre più vigore grazie anche alla sua personalità. Giornalista radiofonica per vocazione, Krista è anche scrittrice: al suo primo libro ne è seguito un altro più orienta- to al rapporto tra scienza e fede; il titolo Einstein’s God: Conversations About Science and the Human Spirit non inganna sul fatto che anche in questo, l’autrice si senta partico- larmente impegnata a comprendere come la fede e la religione debbano dialogare con la scienza. Chiaro è il suo intimo proposito: porre la fede e la teologia al centro del dibat- tito culturale e sociale. Il progetto di Krista è ben più di una sem- plice professione, è una vera e propria voca- zione cristiana. Il suo desiderio più profondo è di far parlare i credenti, di farli dialogare tra loro, in questa comunità di ascoltatori al- la ricerca di un senso più autentico della fede nella società contemporanea. Lo afferma con convinzione: «Sì certo, la radio per me è una vocazione, nel senso più profondo del termi- ne. È ciò a cui sono chiamata. Si tratta di una vocazione laicale, perché non sono un predicatore, bensì un’ascoltatrice». Più la si ascolta e più ci si rende conto di quanto la parola di san Paolo metta in luce una verità fondamentale: fides ex auditu , la fede dipende dall’ascolto della predicazione degli uomini e delle donne che continuano ad annunciare la buona novella e a incarnare perciò la voce di Cristo. Il romanzo The Group È un romanzo che ha segnato il Novecento The Group della scrittrice statunitense Mary McCarthy, uscito nel 1963: otto ragazze fresche di laurea al celebre Vassar College, alle prese ciascuna con le proprie insoddisfazioni, si ritrovano bruciate nelle loro grandi speranze. Intrecciandosi ai problemi dell’America rooseveltiana, infatti, il gruppo è stritolato tra le contraddizioni dell’emancipazione, nella difficile ricerca di un’identità che, prescindendo dal matrimonio, riconosca ciascuna davvero come persona. La scrittrice mette in luce anche le responsabilità degli uomini nei fallimenti di queste donne colte, intrappolate in gabbie antiche. Implose tra problemi sessuali, esistenziali, identitari e politici di una società insoddisfatta, le ex studentesse del Vassar incarnano un profondo disagio collettivo. È un romanzo crudele, benché ironico. Terribilmente amaro, e terribilmente inascoltato. ( @GiuliGaleotti ) Il film Teacher’s Pet La lotta è accanita. E alla fine vince lei. Il film Teacher’s Pet (1958) mette in campo due scuole di pensiero. L’una — incarnata dal reporter Jim Gannon (Clark Gable) — sostiene che nel giornalismo conta solo l’esperienza, maturata in strada. L’altra — propugnata dall’insegnante di giornalismo Erica Stone (Doris Day) — esalta il valore della cultura quale strumento per dare al fatto di cronaca un approfondimento più acuto e illuminante. Non è sufficiente la gavetta per spiegare al lettore perché un certo avvenimento accade: è la cultura che permette di dare risposte alle domande che l’uomo della strada, giornale in mano, si pone. Ed è questa la lezione che Erica si prefigge di trasmettere agli allievi. Suo padre, un grande giornalista, soleva dire: «L’esperienza è il fantino, ma la cultura è il cavallo». L’avversario, il rude Jim, è un osso duro. Detesta i laureati, le scuole e «perfino l’odore delle aule». Ma alla fine sarà proprio lui a chiedere al suo direttore di imprimere al giornale una nuova linea. I fatti di cronaca saranno spiegati alla luce di una cultura frutto della “detestata” laurea. Perché ha vinto lei. ( gabriele nicolò ) L A PREGHIERA DI T HÉRÈSE V ANIER «Possano le persone oppresse e quelle che le opprimono liberarsi vicendevolmente. Possano coloro che sono disabili e coloro che pensano di non esserlo aiutarsi gli uni gli altri. Possano quanti necessitano di qualcuno che li ascolti toccare i cuori di quanti sono troppo indaffarati. Possano coloro che non hanno una casa portare gioia a coloro che, controvoglia, aprono le loro porte. Possano quanti sono nella solitudine sanare coloro che credono di essere autosufficienti. Possano i poveri sciogliere i cuori dei ricchi. Possano coloro che cercano la verità dare la vita a quanti sono soddisfatti perché l’hanno già trovata. Possano i moribondi che vorrebbero non morire essere confortati da coloro che trovano durissimo vivere. Possano coloro che non sono amati essere autorizzati ad aprire i cuori di quanti non riescono ad amare. Possano i prigionieri trovare la vera libertà e liberare altri dalla paura. Possano coloro che dormono in strada condividere la loro gentilezza con quanti non riescono a comprenderli. Possano gli affamati strappare il velo dagli occhi di quanti non sono affamati di giustizia. Possano coloro che vivono senza speranza purificare i cuori dei loro fratelli e delle loro sorelle che hanno paura di vivere. Possano i deboli confondere i forti. Possa l’odio venire superato dalla compassione. Possa la violenza essere neutralizzata dagli uomini e le donne di pace. Possa essa arrendersi a coloro che sono totalmente vulnerabili. Perché noi tutti possiamo essere guariti». È stata Thérèse Vanier, morta a 91 anni, ad aver scritto questa preghiera. Nata in Canada nel 1923, laureatasi in medicina a Londra, Thérèse iniziò a lavorare nel reparto di ematologia del St. Thomas Hospital: nel 1965 sarà la prima donna primario dell’ospedale. Pioniera nella diffusione delle cure palliative in Europa e grande esperta nel settore, dopo aver preso parte al pellegrinaggio di Fede e Luce nel 1971 a Lourdes, decise di dedicarsi all’Arca, comunità ecumenica di vita con disabili mentali fondata dal fratello Jean. Fu Thérèse ad aprire, nel 1973, la prima comunità inglese dell’Arca, Little Ewell a Barfrestone nel Kent. Coordinatrice della regione dell’Europa settentrionale (Inghilterra, Scozia, Danimarca, Norvegia e Irlanda), responsabile della comunità londinese dell’Arca fino al 1981, grande fautrice dell’ecumenismo, di Thérèse tutti ricordano la dolcezza, la forza e il senso dell’umorismo. L E FOTOGRAFE E LA GUERRA Per più di un mese la città di Daegu nella Corea del Sud ha ospitato una grande esposizione, Women in War , che ha presentato i lavori di fotografe donne, originarie di vari Paesi, tutte alle prese con scontri, lotte, violenze e, soprattutto, guerre. Da quella del Vietnam al conflitto di Gaza, dal Rwanda alla ex Jugoslavia, dal Kashmir al Congo, passando per quella al confine tra India e Pakistan. Le opere — una delle quali riprodotta qui a destra — sono state divise in due parti: The Memory of War e The Memory of Truth . In alcuni casi, essendo il fronte domestico precluso ai maschi per motivi sociali o religiosi, le fotografe donne sono state le sole a poter testimoniare scene altrimenti ignorate dai colleghi. E da questa vasta e varia galleria di sguardi, macerie, luci e speranze, si è levato un grande grido per chiedere la pace. C ASA G ASKELL Apre al pubblico, per la prima volta, la sontuosa casa della scrittrice britannica Elizabeth Gaskell (1810-1865), restaurata e trasformata in un museo dell’Inghilterra ottocentesca. Si tratta della villa, in stile vittoriano, a Manchester, in cui Gaskell abitò per circa vent’anni e dove scrisse quasi tutti i suoi romanzi più famosi, compresi Ruth , strenua difesa della parità sociale della donna, e Cranford , studio di un ambiente provinciale descritto fra ironia e liricità. È stato il Manchester Historic Buildings Trust, con un investimento di 2,5 milioni di sterline, a dare nuovo smalto all’edificio, dopo un restauro durato decenni. La casa-museo propone ora un’esposizione di cimeli della vita e dell’opera della scrittrice, compresi oggetti d’arte e manoscritti. È stata ricostruita anche la vita familiare di Gaskell, e sono descritti, in una serie di pannelli didattici, i suoi legami con il mondo letterario dell’epoca. L A DENUNCIA DELLA DOTTORESSA P RANAY S INHA Pranay Sinha, medico al primo anno di specializzazione a Yale, ha scritto un articolo molto coraggioso sul «New York Times», dopo che nel giro di quindici giorni due specializzandi si sono suicidati nella città statunitense. Questi episodi, gli ultimi di una lunga serie, hanno indotto la giovane a tentare di dare volto a un dramma diffuso, ma assolutamente trascurato, che coinvolge in gran parte le donne. «Le statistiche sui suicidi tra medici sono spaventose: le cifre raccontano che il loro tasso di suicidio è doppio di quelli fra non medici; i suicidi tra le donne medico sono tre volte in più rispetto ai loro colleghi maschi». E più avanti: «I medici all’inizio della carriera sono particolarmente vulnerabili: da uno studio recente è risultato che il 9,4 per cento degli studenti di medicina al quarto anno ha avuto pensieri suicidi nelle due settimane precedenti il sondaggio». La depressione che sembra colpire la classe medica statunitense non è imputabile solo a stress, isolamento sociale, abuso di stupefacenti o predisposizione al disagio mentale, aspetti che la classe medica condivide con buona parte della popolazione adulta occidentale. Nel caso dei medici, invece, c’è qualcosa di più. Sinha parla innanzitutto di una strana forma di machismo che pervade la classe medica nel suo complesso: infallibilità, onnipotenza, assenza di dubbi. A ciò va aggiunto un altro elemento: senza alcun sostegno o reale preparazione sul campo, uno specializzando deve fronteggiare fino a dieci pazienti, mascherando davanti a loro, ai colleghi e ai superiori un enorme senso di inadeguatezza. Eppure basterebbe poco per cambiare entrambe le cose, che parrebbero in contraddizione, ma che in realtà si combinano in modo distorto. «Dobbiamo poter dare voce a dubbi e paure. Dobbiamo poter parlare della tristezza profonda che ci ingenera firmare il nostro primo certificato di morte, della mortificazione che ci causa la prima ricetta sbagliata che abbiamo firmato, dell’imbarazzo di non sapere la risposta a una domanda a cui qualunque studente di medicina saprebbe invece rispondere. Una cultura medica che ci incoraggiasse a condividere le nostre vulnerabilità ci potrebbe far capire che non siamo soli». Tutto questo, conclude Sinha, «ci renderebbe medici migliori». Il saggio De Unterrichter Jervolino «Alla base del suo impegno non poteva non esserci il riferimento diretto alle donne del Vangelo, Maria e Maria Maddalena, e al richiamo di san Paolo all’unità in Cristo di schiavo e libero, giudeo e greco, uomo e donna». Così scrive Roberto Violi in Maria De Unterrichter Jervolino (1902-1975). Donne, educazione e democrazia nell’Italia del Novecento (Studium, 2014), e proprio qui sta il merito della ricerca dello storico italiano. Ripercorrendo infatti la ricca e complessa biografia di Maria De Unterrichter, trentina appassionata di politica e di educazione, presidente nazionale della Fuci, membro della direzione generale della Democrazia Cristiana, eletta prima alla Costituente e poi deputata, a lungo sottosegretaria alla Pubblica istruzione. Violi ne ricostruisce il percorso indagandone anche le radici spirituali ed etiche. Ritiratasi dalla politica nel 1963, nonostante le insistenze del partito, da allora Maria si dedicò a tempo pieno alla pedagogia, ricoprendo per quasi trent’anni la carica di presidente dell’Ente Opera Nazionale Montessori. Ricordata da quanti la conobbero e con lei collaborarono come donna energica e serena, De Unterrichter era convinta che la cultura dovesse divenire «cibo per menti affamate». E ciò anche perché «il linguaggio non è semplicemente un agglomerato di parole, è tutto un mondo psichico e materiale che le parole rappresentano». ( @GiuliGaleotti ) Un testo per essere accolto ha bisogno di un lettore solido Che esiste come soggetto radicato nel concreto della sua condizione e del suo tempo Filippo Brunello, «Il giardino dell’Eden» In ascolto Krista Tippet, voce radiofonica d’America È la dimostrazione di quanto san Paolo metta in luce una verità fondamentale La fede dipende dalla predicazione degli uomini e delle donne che annunciano la buona novella La religione e la vita dei credenti costituiscono il centro dei suoi interessi Parlandomi sa che si rivolge a un prete cattolico lei che è di tradizione battista tire da qui si chiarisce tutta una logica biblica profondamente diffidente nei confronti di ciò che dà risalto alla mescolanza, all’ibrido, che tende alla confusione e all’indistinzione. La convinzione, che si ritrova al principio di tanti aspetti della legislazione biblica, è che la me- scolanza sia mortifera. Cancellare le frontiere riporta al caos originario, disfa la creazione. Verità rilevante che deve servire da bussola nei dibattiti odierni. Serve una differenza, uno scarto, perché possa sorgere la vita, cioè la re- lazione. Ma, nello stesso tempo, il testo biblico prende atto del fatto che il mondo di relazioni che suscitano i gesti creatori di separazione è un mondo votato a vivere la prova della rela- zione. Incontrare, infatti, positivamente e feli- cemente l’altro è necessariamente una sfida. Con estrema finezza il testo della Genesi or- chestra questa realtà, facendo sfilare, a partire dal racconto della trasgressione, i conflitti o le perversioni che sorgono tra uomo e donna, tra fratelli e, sul lungo periodo, tra comunità umane. Per limitarsi alla relazione uomo-donna, si può rilevare una sottigliezza particolarmente eloquente nel nostro tempo, nel quale circola l’idea che uomini o donne si diventa solo at- traverso l’imposizione di stereotipi culturali o addirittura, scherzano alcuni, per una scelta che ormai potrebbe essere questione personale di ognuno. Il testo biblico non dà sostegno né all’una né all’altra di queste prospettive, ma comporta comunque un’apertura molto sugge- stiva. Ricordiamo infatti che il primo capitolo della Genesi rievoca solennemente la creazione dell’umanità «a immagine di Dio». Ma lo fa in un versetto ( Genesi , 1, 27) in cui la lettera del testo non comporta ancora le parole uomo e donna. Vi si fa solo questione di maschio e di femmina. Così, occorre che la lettura prose- gua fino al secondo racconto di creazione e al- la misteriosa operazione chirurgica che, nel linguaggio del mito, farà sorgere un uomo e una donna esplicitamente designati in quanto Vita e Pensiero Anticipiamo stralci del contributo che la studiosa francese di esegesi biblica, vincitrice del premio Ratzinger 2014, ha scritto per il numero della rivista «Vita e Pensiero» — che celebra il suo centenario — in uscita a novembre. Già docente nell’università di Paris X e all’Institut Catholique, attualmente insegna Sacra Scrittura ed Ermeneutica biblica allo Studium della Facoltà Notre Dame del seminario di Parigi. Tra le sue opere tradotte in italiano: La Bibbia e l’Occidente (1999), Il Cristianesimo e le donne (2001), Creati maschio e femmina. La differenza, luogo dell’amore (2010). ti processi di rimessa in discussione e revisio- ne, che sembrano sovvertire senza appello le rappresentazioni bibliche. I dibattiti infuriano soprattutto intorno all’identità sessuata della condizione umana. La deriva generalizzata dei punti di riferimento a cui assistiamo scuote in modo del tutto particolare tale realtà. Sarebbe deplorevole limitarsi alla preoccupazione di fronte ai pericoli che la situazione comporta. Interrogando l’identità dei sessi, il nostro tem- po permette di riportare la luce su una zona mantenuta accuratamente in ombra in molte società. Permette di identificare meglio un es- senzialismo che rinchiude uomini e donne in una dissimmetria, giocando evidentemente a detrimento di queste ultime. E prendendo me- glio le misure della violenza multiforme e im- memoriale che pesa sulle donne, il nostro tem- del singolare, e quindi cancellando le differen- ze. Ma tale confusione delle frontiere è evi- dentemente ipso facto confusione e perdita del- le identità, ivi compresa la divisione che arti- cola l’umanità nel faccia a faccia del maschile e del femminile. Indiscutibilmente, le Scritture bibliche con- trastano tale logica. Ma ne abbiamo davvero potuto prendere coscienza prima che la psi- coanalisi mettesse in guardia sul ruolo fonda- tore della separazione o che, all’inverso, il ri- fiuto diffuso delle differenze ci costringesse a interrogare con più attenzione il testo? Oggi abbiamo modo di vedere meglio che creazione e separazione sono eminentemente solidali, come mostrava già dagli anni Settanta il gran- de biblista francese Paul Beauchamp nel com- mentare il primo capitolo della Genesi . A par- che può appunto svilupparsi nel contesto presente. Le brevi rifles- sioni seguenti vorrebbero dar corpo a tale convinzione. La questione è evidentemente di piena attualità, dato che in di- versi modi le nostre culture ten- dono a cancellare le frontiere, a sostituirle con continuità tra mondo della materia e mondo del vivente, e poi, in quest’ulti- mo, tra le diverse modalità del vivente. Così accade con le pole- miche che oggi contestano l’idea che vi sarebbe una rottura essen- ziale tra condizione umana e condizione animale. Ma accade anche per le prospettive aperte dalla biochimica o da una roboti- ca dalle ambizioni prometeiche. Non vi è dubbio che la pregnan- za dello spirito scientifico nella nostra post-modernità sia un fat- tore di tali evoluzioni, se è vero che quanto caratterizza la scienza è proprio trasformare ciò che de- scrive oltrepassando il registro Una madre e i suoi figli fanno capolino dalla loro grotta a Bamiyan nel novembre 2003. Molte furono allora le famiglie che trovarono rifugio nelle grotte adiacenti le statue di Buddha distrutte dai talebani. Foto di Paula Bronstein (Getty Images). Per rimediare alle ferite che colpiscono la relazione tra i sessi siamo forse obbligati a dichiarare che la differenza è solo il prodotto artificioso delle culture? lazione di cui è portatore, il testo ha bisogno di essere aperto da un lettore solido. Intendia- mo con questo un lettore che esiste come sog- getto personale, radicato nel concreto della sua condizione e del suo tempo. E intendiamo anche un lettore che ha abbastanza fiducia da credere che le Scritture non vengano rovinate dagli interrogativi e dalle obiezioni che le no- stre culture contemporanee in continua muta- zione possono loro rivolgere. Nelle nostre società occidentali, il campo dell’antropologia è oggi interessato da rilevan-

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